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PARTE SECONDA
10.
Il ritorno del Re del Mare
11.
La crociera del Re del Mare
13.
Il disastro della Marianna
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De Bibliotheca - La biblioteca di
Babele
Biblioteca Telematica
Classici Della Letteratura Italiana
EMILIO SALGARI
PARTE
PRIMA
- Dunque, si va avanti sì o no? Corpo di Giove! È impossibile che
noi siamo caduti come tanti stupidi su un banco.
- È impossibile avanzare, signor Yanez.
- Che cos'è dunque che ci ha fermati?
- Non lo sappiamo ancora.
- Per Giove! Era ubriaco il pilota? Bella fama che si acquistano i
malesi! Ed io che li avevo creduti, fino a stamane, i migliori marinai dei due
mondi!
Sambigliong, fa' spiegare dell'altra tela. Il vento è buono e
chissà che non riusciamo a passare.
- Non faremo nulla, signor Yanez, perchè la marea cala
rapidamente.
- Che il diavolo si porti all'inferno quell'imbecille di pilota!
L'uomo che così parlava, si era voltato bruscamente verso la poppa
colla fronte aggrottata e il viso alterato da una collera violentissima.
Quantunque avesse varcata, e forse di qualche anno, la cinquantina, era ancora
un bell'uomo, aitante, con lunghi baffi grigiastri accuratamente arricciati, la
pelle leggermente abbronzata, con lunghi capelli che gli sfuggivano al di sotto
di un ampio cappello di paglia di Manilla, somigliante ad un sombrero
messicano, adorno d'un gallone di velluto azzurro con nappine.
Vestiva con molta eleganza, di flanella bianca, con bottoni d'oro
e portava alla cintura una larga fascia di velluto rosso, reggente un paio di
pistole dalla canna lunga e rabescata ed il calcio con intarsi d'argento e di
madreperla, armi senza dubbio di fabbrica indiana, e calzava alti stivali di
mare, di pelle gialla, colla punta un po' rialzata.
- Pilota! - gridò.
Un malese, dalla pelle quasi fuligginosa, con riflessi color del
mattone, gli occhi un po' obliqui che avevano un lampo giallastro che produceva
uno strano effetto su chi lo vedeva, a quella chiamata, aveva abbandonata la
ribolla del timone che fino allora aveva tenuta e si era accostato a Yanez con
un fare sospettoso che tradiva una coscienza poco tranquilla.
- Padada, - disse l'europeo con voce secca, mentre appoggiava la
destra sul calcio d'una delle due pistole. - Come va questa faccenda? Parmi
avessi detto che conoscevi tutti i passi della costa bornese ed è solo per ciò
che io ti ho imbarcato.
- Ma, signore... - balbettò il malese con aria imbarazzata.
- Che cosa vuoi dire? - chiese Yanez che forse, per la prima volta
in vita sua, pareva avesse perduta la sua flemma abituale.
- Questo banco non esisteva prima.
- Briccone, vuoi tu che sia sorto stamane dal fondo del mare? Sei
un imbecille! Tu hai dato un colpo falso di barra per arrestare la Marianna.
- A quale scopo, signore?
- Che ne so io? Potrebbe darsi che tu fossi d'accordo con quei
misteriosi nemici che hanno sollevato i dayaki.
- Non ho avuto altri rapporti che coi miei compatriotti, signore.
- Credi che ci potremo disincagliare?
- Sì, all'alta marea.
- Vi sono molti dayaki sul fiume?
- Non credo.
- Sai che abbiano buone armi?
- Non ho veduto presso di loro che qualche fucile.
- Chi può essere stato a sollevarli? - borbottò Yanez. - Vi è un
mistero qui sotto che io non riesco a spiegare, quantunque la Tigre della
Malesia si ostini a vedere in tutto ciò la mano degli inglesi. Speriamo di
giungere in tempo e di ricondurre Tremal-Naik e Darma a Mompracem, prima che i
ribelli invadano le loro piantagioni e distruggano le loro fattorie. Vediamo se
possiamo lasciare questo banco prima che la marea abbia raggiunto la sua
massima altezza.
Volse le spalle al malese e si diresse verso prora, curvandosi
sulla murata del castello.
La nave che aveva dato in secco, probabilmente in causa d'una
falsa manovra, era uno splendido veliero a due alberi, costruito di certo da
poco tempo a giudicarlo dalle sue linee ancora perfette, con due immense vele
simili a quelle che portano i grossi prahos malesi. Doveva stazzare non meno di
duecento tonnellate ed aveva un armamento da renderlo temuto anche a qualche
piccolo incrociatore.
Infatti, aveva sul cassero due pezzi da caccia di buon calibro,
protetti da una barricata mobile formata da due grosse lastre di acciaio
congiunte ad angolo e sul castello di prora quattro lunghe e grosse spingarde,
armi eccellenti per mitragliare i nemici, quantunque di corta portata.
Inoltre aveva un equipaggio numeroso, fin troppo per un legno così
piccolo, formato da una quarantina di persone, malesi e dayaki, per la maggior
parte attempati ma ancora solidi, dai visi fierissimi e con non poche
cicatrici, ciò che indicava come quegli uomini fossero gente di mare e anche di
guerra.
La nave si era arrestata all'entrata d'una vasta baia, entro cui
sboccava un fiume che pareva abbondante d'acqua.
Numerose isole, fra cui una grandissima, riparavano la baia dai
venti di ponente, tutte cinte di scogliere corallifere e di banchi e coperte da
una vegetazione foltissima d'un bel verde intenso.
La Marianna si era arenata su uno di quei banchi che le acque
nascondevano e che, in quel momento, cominciava ad apparire, continuando la
marea ad abbassarsi.
La ruota di prora aveva toccato molto profondamente, in modo da
rendere impossibile lo scagliamento col solo mezzo delle àncore gettate a
poppavia e alate all'argano.
- Cane d'un pilota! - esclamò Yanez, dopo d'aver osservato
attentamente il banco. - Non ce la caveremo prima di mezzanotte. Che cosa ne
dici, Sambigliong?
Un malese che aveva il viso assai rugoso ed i capelli biancastri,
e che tuttavia sembrava ancora robustissimo, si era accostato all'europeo:
- Dico, signor Yanez, che nessuna manovra riuscirebbe a toglierci
di qui senza l'aiuto dell'alta marea.
- Hai fiducia in quel pilota?
- Non so, capitano, - rispose il malese, - non avendolo mai veduto
prima d'ora. Nondimeno...
- Continua, - disse Yanez.
- Quello d'averlo trovato solo, così lontano da Gaya, in un
canotto incapace di resistere ad un'ondata e di essersi subito offerto di
guidarci, non mi pare chiaro.
- Che abbia commesso una imprudenza ad affidargli il timone? - si
chiese Yanez, che era diventato pensieroso.
Poi, scuotendo il capo come se avesse voluto scacciare lungi da sè
un pensiero importuno, aggiunse:
- Per quale scopo quell'uomo, che appartiene alla vostra razza,
avrebbe cercato di perdere il migliore e più poderoso praho della Tigre della
Malesia? Forse che noi non abbiamo sempre protetti gli indigeni bornesi contro
le vessazioni degli inglesi? Forse che non abbiamo rovesciato James Brooke per
ridare l'indipendenza ai dayaki di Sarawak?
- E perchè mai, signor Yanez, - disse Sambigliong - i dayaki della
costa si sono messi in armi improvvisamente, contro i nostri amici? Eppure
Tremal-Naik, creando fattorie su queste spiagge, che prima erano quasi deserte,
ha dato loro il mezzo di guadagnarsi da vivere comodamente, senza correre i
rischi della pirateria che li decimava.
- È un mistero questo, mio caro Sambigliong, che nè io nè Sandokan
siamo ancora riusciti a spiegare. Questo improvviso scoppio d'ira contro
Tremal-Naik deve avere una causa che per ora ci sfugge, ma certo qualcuno ha
soffiato sul fuoco.
- Che Tremal-Naik e sua figlia Darma corrano un vero pericolo?
- Il messo che ci ha mandato a Mompracem ha detto che tutti i
dayaki sono in armi e sembrano presi da una improvvisa pazzia, che tre delle
fattorie sono state saccheggiate e poi incendiate e parlavano di massacrare
Tremal-Naik.
- Eppure non c'è un uomo migliore di lui in tutta l'isola, - disse
Sambigliong. - Non comprendo come quei furfanti guastino e saccheggino le sue
proprietà.
- Ne sapremo qualche cosa quando giungeremo al kampong di
Pangutaran. La comparsa della Marianna sul fiume calmerà un po' i dayaki e se
non deporranno le armi, li mitraglieremo come si meritano.
- E conosceremo le cause che li hanno indotti a sollevarsi.
- Oh! - esclamò ad un tratto Yanez, che aveva volti gli sguardi
verso la foce del fiume. - Vi è qualcuno che pare voglia dirigersi verso di
noi.
Un piccolo canotto, munito d'una vela, era sbucato dietro gli
isolotti che ingombravano la foce del fiume ed aveva puntato la prora verso la
Marianna.
Un solo uomo lo montava, ma era così lontano ancora da non poter
distinguere se era un malese o un dayako.
- Chi può essere costui? - si chiese Yanez, che non lo perdeva di
vista. - Guarda, Sambigliong, non ti sembra indeciso sulla sua manovra? Ora si
dirige verso gli isolotti, ora se ne allontana per gettarsi verso le scogliere
corallifere.
- Si direbbe che cerchi d'ingannare qualcuno sulla sua vera rotta,
signor Yanez, - rispose Sambigliong. - Che sia sorvegliato e che cerchi
d'ingannarli?
- Pare anche a me, - rispose l'europeo. - Va'a prendermi un
cannocchiale e fa' caricare una spingarda a palla. Se si cercherà d'intralciare
la manovra di quell'uomo, il quale evidentemente mira a raggiungerci, faremo
fuoco.
Un momento dopo puntava l'istrumento sul piccolo canotto che
allora si trovava a non meno di due miglia e che aveva finalmente abbandonato
le isolette della foce, per spingersi risolutamente verso la Marianna.
Ad un tratto gli sfuggì un grido:
- Tangusa!
- Quello che Tremal-Naik aveva condotto con sè da Mompracem e che
aveva innalzato alla carica di fattore?
- Sì, Sambigliong.
- Finalmente sapremo qualche cosa su questa insurrezione, se è
veramente lui, - disse il dayako.
- Non m'inganno: lo vedo benissimo. Oh!
- Che cosa avete, signore?
- Vedo una scialuppa montata da una dozzina di dayaki che mi pare
voglia dare la caccia a Tangusa. Guarda verso l'ultima isola: la vedi?
Sambigliong aguzzò gli sguardi e vide infatti un'imbarcazione
stretta e molto lunga, lasciare la foce del fiume e slanciarsi velocemente
verso il mare, sotto la spinta di otto remi poderosamente manovrati.
- Sì, signor Yanez, danno la caccia al fattore di Tremal-Naik, -
disse.
- Hai fatto caricare una spingarda?
- Tutte e quattro.
- Benissimo: aspettiamo un momento.
Il piccolo canotto che aveva il vento in favore, filava diritto
verso la Marianna con sufficiente velocità, nondimeno non pareva che potesse
gareggiare colla scialuppa. L'uomo che la montava, accortosi di essere seguìto,
aveva legata la barra del timone ed aveva preso due remi per accelerare
maggiormente la corsa.
Ad un tratto, una nuvoletta di fumo s'alzò sopra la prora della
scialuppa, poi una detonazione giunse fino a bordo della Marianna.
- Fanno fuoco su Tangusa, signor Yanez, - disse Sambigliong.
- Ebbene mio caro, io mostrerò a quei furfanti come tirano i
portoghesi, - rispose l'europeo colla sua solita calma.
Gettò via la sigaretta che stava fumando, si fece largo fra i
marinai che avevano invaso il castello di prora attirati da quello sparo e
s'accostò alla prima spingarda di babordo, puntandola sulla scialuppa.
La caccia continuava furiosa ed il piccolo canotto, nonostante gli
sforzi disperati dell'uomo che lo montava, perdeva via.
Un altro colpo di fucile era partito da parte degli inseguitori e
senza miglior successo, essendo generalmente i dayaki più abili nel maneggio
delle loro cerbottane che delle armi da fuoco, non conoscendo l'alzo.
Yanez, calmo, impassibile mirava sempre.
- È sulla linea, - mormorò dopo qualche minuto.
Fece contemporaneamente fuoco. La lunga e grossa canna s'infiammò
con un rombo strano che si ripercosse perfino sotto gli alberi che coprivano le
sponde della baia.
Sul tribordo della scialuppa si vide alzarsi uno sprazzo d'acqua,
poi si udirono in lontananza delle urla furiose.
- Presa, signor Yanez! - gridò Sambigliong.
- E fra poco affonderà, - rispose il portoghese.
I dayaki avevano interrotto l'inseguimento ed arrancavano
disperatamente per raggiungere uno degli isolotti della foce, prima che la loro
imbarcazione affondasse.
Lo squarcio prodotto dalla palla della spingarda, un buon
proiettile di piombo misto a rame, del peso d'una libbra e mezzo, era così
considerevole da non permettere di prolungare molto quella corsa.
Ed infatti i dayaki distavano ancora trecento passi dall'isolotto
più vicino, quando la scialuppa, che si riempiva rapidamente d'acqua, mancò
loro sotto i piedi, scomparendo.
Essendo i dayaki della costa tutti abilissimi nuotatori, perchè
passano la maggior parte della loro esistenza in acqua al pari dei malesi e dei
polinesiani, non vi era pericolo che si annegassero.
- Salvatevi pure, - disse Yanez. - Se tornerete alla carica vi
scalderemo i dorsi con della buona mitraglia a base di chiodi.
Il piccolo canotto, liberato dai suoi inseguitori, mercè quel
colpo fortunato, aveva ripresa la rotta verso la Marianna spinto dalla brezza
che aumentava col calar del sole e ben presto si trovò nelle sue acque.
L'uomo che lo guidava era un giovane sulla trentina, dalla pelle
giallastra, ed i lineamenti quasi europei, come se fosse nato da un incrocio di
due razze, la caucasica e la malese; di statura piuttosto bassa e assai
membruto; aveva il corpo avvolto in brandelli di tela bianca che gli fasciavano
strettamente le braccia e le gambe e che apparivano qua e là macchiati di
sangue.
- Che l'abbiano ferito? - si chiese Yanez. - Quel meticcio mi
sembra assai sofferente. Ohe, gettate una scala e preparate qualche cordiale.
Mentre i suoi marinai eseguivano quegli ordini, il piccolo
canotto, con un'ultima bordata, giunse sotto il fianco di tribordo del veliero.
- Sali presto! - gridò Yanez.
Il fattore di Tremal-Naik legò la piccola imbarcazione a una corda
che gli era stata gettata, ammainò la vela, poi salì quasi con fatica la scala,
comparendo sulla tolda.
Un grido di sorpresa ed insieme d'orrore era sfuggito al
portoghese.
Tutto il corpo di quel disgraziato appariva crivellato come se
avesse ricevuto parecchie scariche di pallini e da quelle innumerevoli,
quantunque piccolissime ferite, uscivano goccioline di sangue.
- Per Giove! - esclamò Yanez, facendo un gesto di ribrezzo.
- Chi ti ha conciato in questo modo, mio povero Tangusa?
- Le formiche bianche, signor Yanez, - rispose il malese con voce
strozzata facendo un'orribile smorfia strappatagli dal dolore acuto che lo
tormentava.
- Le formiche bianche! - esclamò il portoghese. - Chi ti ha
coperto il corpo di quei crudeli insetti così avidi di carne?
- I dayaki,
signor Yanez.
- Ah! Miserabili! Passa nell'infermeria e
fatti medicare, poi riprenderemo la conversazione. Dimmi solamente per ora se
Tremal-Naik e Darma corrono un pericolo imminente.
- Il padrone ha formato un piccolo corpo di malesi e tenta di far
fronte ai dayaki.
- Va bene, mettiti nelle mani di Kickatany che è un uomo che si
intende di ferite, poi mi manderai a chiamare, mio povero Tangusa. Ora ho altro
da fare.
Mentre il malese, aiutato da due marinai, scendeva nel quadro,
Yanez aveva rivolto la sua attenzione verso lo sbocco del fiume dove erano
comparse altre tre grosse scialuppe montate da numerosi equipaggi ed una
doppia, munita di ponte sul quale si scorgeva uno di quei piccoli cannoni di
ottone chiamati dai malesi lilà, fusi insieme con rame tolto dalla carena delle
vecchie navi e qualche particella di piombo.
- Oh diavolo! - mormorò il portoghese. - Che quei dayaki abbiano
intenzione di venirsi a misurare colle tigri di Mompracem? Non sarà con quelle
forze che voi avrete ragione di noi, miei cari. Abbiamo dei buoni pezzi che vi
faranno saltare come capre selvatiche.
- Purchè non abbiano altre scialuppe nascoste dietro le isole,
signor Yanez, - disse Sambigliong.
- Siamo troppo forti per aver paura di loro, quantunque noi
conosciamo l'audacia e lo slancio di quegli uomini, figli di pirati e di
tagliatori di teste. Ne abbiamo due di quelle casse.
- Palle d'acciaio armate di punte? Sì, capitano Yanez.
- Falle portare in coperta e da' ordine a tutti i nostri uomini di
calzare stivali di mare se non vorranno guastarsi i piedi. Ed i fasci di spine
li hai imbarcati?
- Anche quelli.
- Falli gettare sulle impagliature tutto intorno al bordo. Se
vorranno montare all'assalto li udremo a urlare come belve feroci. Pilota!
Padada che si era issato fino sulla coffa del trinchetto per
osservare le mosse sospette delle quattro scialuppe era disceso e si era
accostato al portoghese guardando obliquamente.
- Sai dirmi se quei dayaki posseggono molte barche?
- Non ne ho vedute che pochissime sul fiume, - rispose il malese.
- Credi che tenteranno di abbordarci, approfittando della nostra
immobilità?
- Non credo, padrone.
- Parli sinceramente? Bada che comincio ad avere qualche sospetto
su di te e che questo arenamento non mi è sembrato puramente accidentale.
- Il malese fece una smorfia come per nascondere il brutto sorriso
che stava per spuntargli sulle labbra, poi disse un po' risentito:
- Non vi ho dato alcun motivo per dubitare della mia lealtà,
padrone.
- Vedremo in seguito, - rispose Yanez. - E ora andiamo a trovare
quel povero Tangusa, mentre Sambigliong prepara la difesa.
Se quel veliero appariva bellissimo all'esterno, tale da poter
gareggiare coi più splendidi yachts di quell'epoca, l'interno, specialmente il
quadro di poppa, era addirittura sfarzoso.
La sala centrale sopratutto, che serviva da pranzo e da
ricevimento insieme, era ricchissima, con scaffali, tavola e sedie in mogano
con intarsi di madreperla e filettature d'oro, con tappeti persiani in terra e
arazzi indiani alle pareti e tende di seta rosa con frangie d'argento alle
piccole finestre.
Una grande lampada, che pareva di Venezia, pendeva dal soffitto e
tutto all'intorno, negli spazi nudi, si vedevano splendide collezioni d'armi di
tutti i paesi.
Coricato su un divano di velluto verde, fasciato dal capo alle
piante e avvolto in una grossa coperta di lana bianca, stava l'intendente di
Tremal-Naik già medicato e rinforzato da qualche buon cordiale.
- Sono cessati i dolori, mio bravo Tangusa? - gli rispose Yanez.
- Kickatany possiede degli unguenti miracolosi, - rispose il
ferito. - Mi ha spalmato tutto il corpo e ora mi sento molto meglio di prima.
- Raccontami come è successa la cosa. Innanzi tutto, è sempre al
kampong di Pangutaran, l'amico Tremal-Naik?
- Sì, signor Yanez, e quando l'ho lasciato stava fortificandosi
per resistere ai dayaki fino al vostro arrivo. Quando è giunto a Mompracem il
messo che vi abbiamo spedito?
- Tre giorni or sono e come vedi noi non abbiamo perduto tempo ad
accorrere col nostro miglior legno.
- Che cosa pensa la Tigre della Malesia di questa improvvisa
insurrezione dei dayaki, che fino a tre settimane or sono guardavano il mio
padrone come il loro buon genio?
- Abbiamo fatto insieme tante congetture e forse non abbiamo
indovinato il vero motivo che ha deciso i dayaki a prendere le armi e a
distruggere le fattorie che erano costate tante fatiche a Tremal-Naik. Sei anni
di lavoro e più di centomila rupie spese forse inutilmente! Avete qualche
sospetto?
- Ecco, signore, quanto abbiamo potuto sapere. Un mese fa e
probabilmente anche prima, è sbarcato su queste coste un uomo che non sembra
appartenere nè alla razza malese, nè a quella bornese, che si diceva fervente
mussulmano e portava in testa il turbante verde come tutti coloro che hanno compiuto
il pellegrinaggio alla Mecca. Voi sapete, signore, che i dayaki di questa parte
dell'isola non adorano i geni dei boschi, nè gli spiriti buoni e cattivi come i
loro confratelli del sud e che sono invece mussulmani, a loro modo s'intende e
non meno fanatici di quelli dell'India centrale. Che cosa abbia dato ad
intendere quell'uomo a questi selvaggi, nè io nè il mio padrone siamo riusciti
a saperlo. Il fatto è che riuscì a fanatizzarli ed indurli a distruggere le
fattorie ed a ribellarsi all'autorità del signor Tremal-Naik.
- Ma che istoria mi racconti tu! - esclamò Yanez, che era al colmo
della sorpresa.
- Una storia tanto vera, signor Yanez, che il mio padrone corre il
pericolo di morire abbruciato nel suo kampong assieme alla signorina Darma, se
voi non accorrete in suo aiuto.
- L'uomo dal turbante verde ha aizzato quei selvaggi non solo
contro le fattorie...
- Anche contro il mio padrone e vogliono la sua testa, signor
Yanez.
Il portoghese era diventato pallido.
- Chi potrà essere quel pellegrino? Quale misterioso motivo lo
spinge contro Tremal-Naik? L'hai visto tu?
- Sì, mentre scappavo dalle mani dei dayaki.
- È giovane, vecchio...
- Vecchio, signore, alto di statura e magrissimo, un tipo da vero
pellegrino che ha fame e sete. E vi è di più ancora che aggrava il mistero, -
aggiunse il meticcio. - Mi hanno detto che due settimane or sono è giunta qui
una nave a vapore che portava la bandiera inglese e che il pellegrino ha avuto
un lungo colloquio con quel comandante.
- È partita subito quella nave?
- La mattina seguente ed ho il sospetto che, durante la notte,
abbia sbarcato delle armi, perchè ora non pochi dayaki posseggono dei moschetti
e anche delle pistole, mentre prima non avevano che delle cerbottane e delle
sciabole.
- Che gli inglesi c'entrino in tutta questa faccenda? - si domandò
Yanez, che appariva molto preoccupato.
- Possibile, signor Yanez!
- Sai la voce che corre a Labuan? Che il governo inglese abbia
intenzione di occupare la nostra isola di Mompracem col pretesto che noi
costituiamo un pericolo costante per la sua colonia e di mandarci a occupare
qualche altra terra più lontana.
- Gli inglesi che devono a voi tanta riconoscenza, per averli
sbarazzati dei thugs che infestavano l'India!
- Mio caro, credi tu che un leopardo possa avere della
riconoscenza verso una scimmia, supponiamo, che l'ha sbarazzato degli insetti
che lo tormentavano?
- No, signore, quei carnivori non hanno quel sentimento.
- E non ne avrà nemmeno il governo inglese che viene chiamato il
leopardo dell'Europa.
- E voi vi lascerete cacciare da Mompracem?
Un sorriso comparve sulle labbra di Yanez. Accese una sigaretta,
aspirò due o tre boccate di fumo, poi disse con voce calma:
- Non sarebbe già la prima volta che le tigri di Mompracem si
mettono in guerra col leopardo inglese. Un giorno hanno tremato e Labuan ha
corso il pericolo di vedere i suoi coloni divorati da noi o cacciati in acqua.
Non ci lasceremo nè sorprendere, nè sopraffare.
- Sandokan ha mandato dei suoi prahos a Tiga ad arruolare uomini?
- chiese il meticcio.
- Che non varranno meno per coraggio, delle ultime tigri di
Mompracem - rispose Yanez. - L'Inghilterra ci vuole scacciare dalla nostra
isola, che da trent'anni occupiamo? Si provi e noi metteremo la Malesia intera in
fiamme e daremo battaglia, senza quartiere, all'insaziabile leopardo inglese.
Vedremo se sarà la Tigre della Malesia che soccomberà nella lotta.
In quel momento si udì la voce di Sambigliong, il mastro della
Marianna, a gridare:
- In coperta, capitano!
- Giungi in buon punto, malese mio, - rispose Yanez. - Ho appena
terminato ora il mio colloquio con Tangusa. Che cosa c'è di nuovo?
- S'avanzano.
- I dayaki?
- Sì, capitano.
- Va bene.
Il portoghese uscì dal quadro, salì la scala e giunse in coperta.
Il sole stava allora per tramontare in mezzo ad una nuvola d'oro, tingendo di
rosso il mare, che la brezza lievemente corrugava.
La Marianna era sempre immobile, anzi essendo quello il momento
della massima marea bassa, si era un po' coricata sul fianco di babordo, in
maniera che la coperta rimaneva sbandata.
Verso le isolette che facevano argine all'irrompere del fiume, una
dozzina di grossi canotti, fra cui quattro doppi, s'avanzava lentamente verso
il mezzo della baia, preceduta da un piccolo praho che era armato d'un mirim,
un pezzo d'artiglieria un po' più grosso dei lilà, quantunque fuso allo stesso
modo, con ottone grossolano, rame e piombo.
- Ah! - fece Yanez, colla sua solita flemma. - Vogliono misurarsi
con noi? Benissimo, avremo polvere in abbondanza da regalare, è vero
Sambigliong?
- La provvista è copiosa, capitano, - rispose il malese.
- Noto che s'avanzano molto adagio. Pare che non abbiano nessuna
fretta, mio caro Sambigliong!
- Aspettano che la notte scenda.
- Prima che la luce se ne fugga vediamo che musi sono. - Prese il
cannocchiale e lo puntò sul piccolo praho che precedeva sempre la flottiglia
delle scialuppe.
Vi erano quindici o venti uomini a bordo, che indossavano l'abito
guerresco; pantaloni stretti, abbottonati all'anca e al collo dei piedi, sarong
cortissimo, in testa il tudung, un curioso berretto con lunga visiera e molte
piume. Alcuni erano armati di fucile; i più avevano invece dei kampilang,
quelle pesanti sciabole a doccia d'un acciaio finissimo, dei pisau-raut, ossia
specie di pugnali dalla lama larga e non serpeggiante come i kriss malesi, e
avevano dei grandi scudi di pelle di bufalo di forma quadrata.
- Bei tipi, - disse Yanez colla sua solita calma.
- Sono molti, signore.
- Ouff! Un centinaio e mezzo, mio caro Sambigliong.
Si volse guardando la tolda della Marianna.
I suoi quaranta uomini erano tutti ai loro posti di combattimento.
Gli artiglieri dietro ai due cannoni da caccia e alle quattro spingarde, i
fucilieri dietro alle murate i cui bordi erano coperti di fasci di spine acutissime
e gli uomini di manovra, che pel momento non avevano nulla da fare essendo il
veliero sempre arenato, sulle coffe muniti di bombe da lanciare a mano e armati
di carabine indiane di lunga portata.
- Vengano a trovarci! - mormorò, visibilmente soddisfatto degli
ordini impartiti da Sambigliong.
Il sole stava per scomparire, diffondendo i suoi ultimi raggi e
bagnando di luce aurea o rossastra le coste dell'immensa isola e le scogliere
contro cui si frangevano rumoreggiando le onde che venivano dal largo.
Il grande globo incandescente calava superbamente in acqua,
incendiando un gran ventaglio di nubi al di sopra delle quali s'innalzavano
grandi zone d'oro e lembi ampi di porpora, smaglianti sull'azzurro chiaro del
cielo.
Finalmente s'immerse, quasi bruscamente, infiammando per alcuni
istanti tutto l'orizzonte, poi quell'onda di luce si attenuò rapidamente, non
essendovi crepuscoli sotto quelle latitudini, la grande fantasmagoria solare si
estinse e le tenebre piombarono avvolgendo la baia, le isole e le coste
bornesi.
- Buona notte per gli altri e cattiva per noi, - disse Yanez, che
non aveva potuto fare a meno di contemplare quello splendido tramonto.
Guardò la flottiglia nemica. Il piccolo praho, le doppie scialuppe
e quelle semplici affrettavano la corsa.
- Siamo pronti? - chiese Yanez.
- Sì, - rispose Sambigliong per tutti.
- Allora, Tigrotti di Mompracem, non vi trattengo più.
Il piccolo praho era a buon tiro e copriva le scialuppe che lo seguivano
in fila, l'una dietro all'altra, per non esporsi al fuoco delle artiglierie
della Marianna.
Sambigliong si curvò su uno dei due pezzi da caccia piazzati sul
cassero che erano montati su perni giranti onde potessero far fuoco in tutte le
direzioni e, dopo aver mirato per qualche istante, fece fuoco, spezzando netto
l'albero di trinchetto, il quale cadde sul ponte assieme all'immensa vela.
A quel colpo veramente meraviglioso, urla furiose s'alzarono sulle
scialuppe, poi la prora del legno mutilato a sua volta avvampò.
Il mirim del piccolo veliero aveva risposto al fuoco della
Marianna, ma la palla, male diretta, non aveva fatto altro danno che quello di
forare il contro fiocco che Yanez non aveva fatto ammainare.
- Quei bricconi tirano come i coscritti del mio paese, - disse
Yanez, che continuava a fumare placidamente, appoggiato alla murata di prora.
A quel secondo sparo tenne dietro una serie di detonazioni secche.
Erano i lilà delle doppie scialuppe che appoggiavano il fuoco del piccolo
praho.
Quei cannoncini non erano fortunatamente ancora a buon tiro e
tutto finì in molto baccano e molto fumo senza nessun danno per la Marianna.
- Demolisci il praho, innanzi tutto, Sambigliong, - disse Yanez, -
e cerca di smontare il mirim che è il solo che possa danneggiarci. Sei uomini
ai due pezzi da caccia e accelerate il fuoco più...
Si era bruscamente interrotto ed aveva lanciato un rapido sguardo
verso poppa. Ad un tratto trasalì e fece un gesto di sorpresa.
- Sambigliong! - esclamò, impallidendo.
- Non temete, signor Yanez, il praho fra due minuti sarà
fracassato o per lo meno rasato come un pontone.
- È il pilota che non vedo più.
- Il pilota! - esclamò il malese lasciando il pezzo di caccia che
era già puntato. - Dov'è quel briccone?
Yanez aveva attraversata rapidamente la tolda, in preda ad una
visibile emozione.
- Cerca il pilota! - gridò.
- Capitano, - disse un malese che era al servizio dei due pezzi di
poppa, - l'ho veduto or ora scendere nel quadro.
Sambigliong, che forse aveva avuto il medesimo sospetto del
portoghese, si era già precipitato giù per la scaletta, impugnando una pistola.
Yanez lo aveva subito seguìto mentre i due cannoni da caccia tuonavano contro
la flottiglia, con un rimbombo assordante.
- Ah! cane! - udì gridare.
Sambigliong aveva afferrato il pilota che stava per uscire da una
cabina, tenendo in mano un pezzo di corda incatramata accesa.
- Che cosa facevi, miserabile? - urlò Yanez precipitandosi a sua
volta sul malese che tentava di opporre resistenza al mastro.
Il pilota, vedendo il comandante che aveva pure impugnata una
pistola e che pareva pronto a fargli scoppiare la testa, era diventato
grigiastro, ossia pallido, pure rispose con una certa calma:
- Signore, sona disceso per cercare una miccia per le spingarde...
- Qui, le micce! - gridò Yanez. - Tu, briccone, cercavi
d'incendiarci la nave!
- Io!
- Sambigliong, lega quest'uomo! - comandò il portoghese. - Quando
avremo battuto i dayaki avrà da fare con noi.
- Non occorrono corde, signor Yanez, - rispose il mastro. - Lo
faremo dormire per una dozzina d'ore, senza che ci dia alcun fastidio.
Afferrò brutalmente per le spalle il pilota che non cercava più di
opporre resistenza, e gli compresse coi pollici tesi la nuca, poi gli affondò
nel collo, un po' al disotto degli angoli mascellari, gli indici ed i medi in
modo da stringergli le carotidi contro la colonna vertebrale. Allora si vide
una cosa assolutamente strana. Padada stralunò gli occhi e spalancò la bocca
come se si fosse manifestato un principio d'asfissia, la respirazione gli divenne
improvvisamente affannosa, poi rovesciò il capo indietro e s'abbandonò fra le
braccia del mastro, come se la morte lo avesse colto.
- L'hai ucciso! - esclamò Yanez.
- No, signore, - rispose Sambigliong. - L'ho addormentato e prima di
dodici o quindici ore non si sveglierà.1
- Dici davvero?
- Lo vedrete più tardi.
- Gettalo su qualche branda e saliamo subito. Il cannoneggiamento
diventa vivissimo.
Sambigliong alzò il pilota, che pareva non desse più alcun segno
di vita, e lo adagiò su un tappeto, poi tutti e due salirono rapidamente sulla
tolda, nel momento in cui i due cannoni da caccia tornavano a tuonare con tale
fragore da far tremare tutto il veliero.
Il combattimento fra la Marianna e la flottiglia si era impegnato
con grande ardore.
Le scialuppe doppie, che, come abbiamo detto, erano armate di
lilà, si erano disposte su una fronte piuttosto larga, a destra e a sinistra
del praho, onde dividere maggiormente il fuoco del veliero e si erano impegnate
risolutamente a proteggere le altre imbarcazioni che, quantunque più piccole,
portavano equipaggi più numerosi, riserbati certamente per l'attacco finale.
Gli spari si succedevano agli spari e le palle, quantunque tutte
di piccolo calibro, fischiavano in gran numero sulla Marianna, smussando
qualche pennone, forando le vele, maltrattando il sartiame e scheggiando le
murate. Alcuni uomini erano stati già feriti e qualcuno ucciso, nondimeno gli
artiglieri di Mompracem facevano freddamente il loro dovere, con una calma ed
un sangue freddo meraviglioso.
Le spingarde, essendo ormai la distanza diminuita, avevano pure
cominciato a tuonare, lanciando sulla flottiglia bordate di mitraglia, composta
per la maggior parte di chiodi, che si piantavano nella pelle dei dayaki,
facendoli urlare come scimmie rosse.
Nonostante quelle scariche formidabili, la flottiglia non cessava
di avanzare. I dayaki, che sono generalmente coraggiosi non meno dei malesi e
che non temono la morte, davano dentro ai remi furiosamente, mentre quelli che
erano armati di fucile, mantenevano un fuoco vivissimo, quantunque poco
efficace, non avendo molta pratica di quelle armi, che forse adoperavano per la
prima volta.
Erano già giunte le scialuppe a cinquecento passi, quando il praho
su cui si era concentrato il fuoco dei pezzi da caccia della Marianna, si
coricò su un fianco.
Aveva ormai perduto i suoi due alberi, il bilanciere era stato
fracassato di colpo da una palla tiratagli da Yanez e le sue murate erano state
ridotte in così cattivo stato, che non esistevano quasi più.
- Smonta il mirim, Sambigliong! - gridò Yanez, vedendo una doppia
scialuppa accostarsi al praho coll'evidente intenzione d'impadronirsi del pezzo
d'artiglieria, prima che il piccolo veliero affondasse.
- Sì, comandante, - rispose il malese, che serviva al pezzo da
caccia di babordo.
- E voi altri mitragliate l'equipaggio prima che venga raccolto, -
aggiunse il portoghese, che dall'alto del cassero seguiva attentamente le mosse
della flottiglia, senza levarsi dalle labbra la sigaretta.
Una bordata colpì il praho, bordata di pezzi da caccia e di
spingarde, smontando il mirim il cui carrello fu fracassato di colpo e
spazzando il ponte da prora a poppa, con un uragano di mitraglia che storpiò e
ferì la maggior parte dell'equipaggio.
- Bel colpo! - esclamò il portoghese, colla sua flemma abituale. -
Eccone uno che non ci darà più fastidio.
Il piccolo veliero non era ormai che un rottame che si empiva
rapidamente d'acqua. Gli uomini che erano sfuggiti a quella tremenda bordata,
si erano gettati in mare e nuotavano verso le scialuppe, mentre i pontoni
tiravano furiosamente coi lilà con non troppa fortuna, quantunque la Marianna,
colla sua mole ed immobilizzata come era, offrisse un ottimo bersaglio.
Ad un tratto il legno si capovolse bruscamente, rovesciando in
acqua morti e feriti e rimase colla chiglia in aria.
Urla feroci s'alzarono dalle scialuppe, vedendo il praho andarsene
alla deriva in quello stato.
- Gridate come oche, - disse Yanez. - Ci vuole ben altro per
vincere le tigri di Mompracem, miei cari. Fuoco sulle scialuppe! Avanti,
fucilieri! L'affare diventa caldo.
Sebbene privati del praho che col suo pezzo poteva contrabbattere
i cannoni da caccia, la flottiglia aveva ripreso la corsa e s'avvicinava
rapidamente alla Marianna.
Le tigri di Mompracem non facevano economia nè di palle nè di
polvere. Colpi di cannone e di spingarda si alternavano a nutrite scariche di
fucileria che facevano dei larghi vuoti fra gli equipaggi delle scialuppe e dei
pontoni.
Quei vecchi guerrieri, che un giorno avevano fatto tremare gli
inglesi di Labuan, che avevano vinto e rovesciato James Booke, il rajah di
Sarawak, e che avevano distrutti, dopo formidabili combattimenti, i terribili
thugs indiani, si difendevano con accanimento ammirabile, senza nemmeno
prendersi la briga di ripararsi dietro i bordi.
Anzi, sprezzanti d'ogni pericolo, nonostante i consigli del
portoghese che ci teneva a conservare i suoi uomini, erano saliti tutti sulle
murate per mirare meglio e di là, e anche dalle coffe, facevano un fuoco
infernale sulle scialuppe, decimando crudelmente i loro equipaggi.
Gli assalitori però erano così numerosi, che quelle gravi perdite
non li scoraggiavano. Altre scialuppe, uscite dal fiume, avevano raggiunta la
flottiglia e anche quelle cariche di guerrieri. Erano almeno trecento selvaggi,
sufficientemente armati, che muovevano all'abbordaggio della Marianna,
risoluti, a quanto pareva, ad espugnarla e massacrare i suoi difensori fino
all'ultimo, non potendosi sperare quartiere da quei barbari sanguinari che non
hanno che un solo desiderio: quello di fare raccolta di crani umani.
- La faccenda minaccia di diventare seria, - mormorò Yanez,
vedendo quelle nuove scialuppe. - Tigrotti miei, date dentro più che potete o
noi finiremo per lasciare qui le nostre teste. Quel cane d'un pellegrino li ha
fanatizzati per bene e li ha fatti diventare idrofobi.
S'accostò al pezzo da caccia di tribordo, che in quel momento era
stato scaricato e allontanò Sambigliong che stava pigliando la mira.
- Lascia che mi scaldi un po' anch'io, - disse. - Se non sfasciamo
i pontoni e mandiamo in acqua i loro lilà, fra tre minuti saranno qui.
- Le spine li tratterranno, capitano.
- Eh, non so, mio caro. I loro kampilang avranno buon gioco.
- Ed i nostri gabbieri non ne avranno meno colle loro granate.
- Sia, ma preferisco che non giungano qui.
Diede fuoco al pezzo e, come al solito, non mancò il colpo. Uno
dei pontoni, formati da due scialuppe riunite da un ponte, andò a catafascio.
Le prore, spaccate a livello d'acqua, in un momento si riempirono ed il
galleggiante affondò.
Un secondo fu pure gravemente maltrattato, ma al terzo colpo di
cannone sparato da Yanez le scialuppe erano già quasi sotto.
- Impugnate i parangs e portate le spingarde a poppa! - gridò, abbandonando
il pezzo che ormai diventava inutile. - Sgombrate la prora!
In un baleno quei comandi furono eseguiti. I fucilieri si
ammassarono sul cassero, lasciando soli i gabbieri nelle coffe, mentre
Sambigliong con alcuni uomini sfondava a colpi di scure due casse lasciando
scorrere per la coperta una infinità di pallottoline d'acciaio irte di punte
sottilissime.
I dayaki, resi furiosi dalle gravi perdite subite, avevano
circondata la Marianna urlando spaventosamente e cercavano di arrampicarsi,
aggrappandosi alle bancazze, alle sartie, ai paterazzi ed alla dolfiniera del
bompresso.
Yanez aveva impugnata una scimitarra e si era messo in mezzo ai
suoi uomini.
- Stringete le file attorno alle spingarde! - gridò.
I fucilieri che stavano presso le murate non avevano cessato il
fuoco, fulminando a bruciapelo i dayaki dei pontoni e quelli che cercavano di
montare all'abbordaggio.
Le canne dei fucili e delle carabine indiane erano diventate così
ardenti che scottavano le mani dei tiratori.
I dayaki arrivavano, inerpicandosi come scimmie. Ad un tratto
atroci urla di dolore scoppiarono fra gli assalitori.
Avevano posate le mani sui fasci di spine che coprivano le murate
e che erano dissimulati dalle brande stese sopra i bastingaggi, straziandosi
orribilmente le dita e non reggendo a così atroce dolore si erano lasciati
cadere addosso ai compagni, travolgendoli nella loro caduta.
Se non erano pel momento riusciti a scavalcare le murate di
babordo e di tribordo, quelli che si erano issati sulle trinche del bompresso,
erano stati invece più fortunati, avendo trovato subito un appoggio sull'albero
istesso.
Accortisi delle spine, a gran colpi di kampilang staccarono i
fasci gettandoli in mare, ed in dieci o dodici irruppero sul castello di prora
mandando urla di vittoria.
- Dentro colle spingarde! - gridò Yanez che li aveva lasciati
fare.
Le quattro bocche da fuoco lanciarono una bordata di chiodi su
quel gruppo, spazzando tutto il castello.
Fu una scarica terribile. Nessuno degli assalitori era rimasto in
piedi, quantunque non vi fosse nemmeno un morto.
Quei disgraziati, che avevano ricevuto in pieno quella bordata, si
rotolavano pel castello, dibattendosi e mandando urla spaventevoli e gemiti
strazianti.
I loro corpi, foracchiati in cento luoghi dai chiodi, parevano
schiumarole gocciolanti sangue.
La vittoria era nondimeno ancora ben lungi. Altri dayaki salivano
da tutte le parti, disperdendo prima le spine coi kampilang e rovesciandosi in
coperta, malgrado il fuoco vivissimo delle tigri di Mompracem.
Là un altro ostacolo però, non meno duro delle spine, attendeva
gli assalitori: erano le pallottole d'acciaio che coprivano tutta la tolda e le
cui punte non si potevano sfidare senza i pesanti stivali di mare.
Per di più, i gabbieri delle coffe avevano cominciato a lanciare
le granate che scoppiavano con fragore, lanciando intorno frammenti di metallo.
I dayaki, presi fra due fuochi, impossibilitati ad avanzare, si
erano arrestati; poi un subitaneo terrore, accresciuto da un'altra bordata di
mitraglia che ne gettò a terra parecchi, li prese e si precipitarono
confusamente in acqua, nuotando disperatamente verso i pontoni e le scialuppe.
- Pare che ne abbiano finalmente abbastanza, - disse Yanez, che
durante la lotta non aveva perduto un atomo della sua flemma. - Ciò v'insegnerà
a temere le vecchie tigri di Mompracem.
La disfatta degli isolani era completa. Pontoni e scialuppe
fuggivano a forza di remi verso le isolette che si estendevano dinanzi al
fiume, senza più rispondere al fuoco del veliero, fuoco che ben presto fu fatto
cessare dal portoghese, ripugnandogli di massacrare delle persone che ormai non
si difendevano più.
Dieci minuti dopo, la flottiglia, le cui scialuppe facevano per la
maggior parte acqua, scompariva entro il fiume.
- Se ne sono andati, - disse Yanez. - Speriamo che ci lascino
tranquilli.
- Ci aspetteranno nel fiume, signore, - disse Sambigliong.
- E vi daranno nuovamente battaglia, - aggiunse Tangusa, che ai
primi colpi di cannone era pure salito in coperta per prendere parte alla
difesa, quantunque esausto di forze.
- Lo credi? - chiese il portoghese.
- Ne sono certo, signore.
- Daremo loro un'altra lezione che leverà loro, e per sempre, la
voglia d'importunarci. Troveremo acqua sufficiente per spingerci fino alle scale
del kampong?
- Il fiume è profondo per un tratto lunghissimo e purchè il vento
sia favorevole non troverete difficoltà a salirlo.
- Quanti uomini abbiamo perduto? - chiese Yanez a Kickatany, il
malese che funzionava da medico a bordo.
- Ve ne sono otto nell'infermeria, signore, fra cui due gravemente
feriti e quattro morti.
- Che il diavolo si porti quei maledetti selvaggi ed il loro
pellegrino! - esclamò Yanez. - Orsù, così è la guerra, - aggiunse poi con un
sospiro.
Quindi volgendosi verso Sambigliong che pareva aspettasse qualche
ordine:
- La marea sta per raggiungere la sua massima altezza. Cerchiamo
di trarci da questo maledetto banco.
L'acqua già da cinque ore continuava a montare nella baia e a poco
a poco aveva coperto interamente il banco, su cui la Marianna si era
incagliata.
Era quindi quello il buon momento per cercare di liberarsi e la
cosa non sembrava dovesse essere molto difficile, poichè i marinai avevano
rimarcato un leggero spostamento della ruota di prua. Il veliero non
galleggiava ancora; tuttavia nessuno disperava di riuscire a levarlo da quel
cattivo passo, aiutandolo con qualche sforzo.
Sbarazzata la coperta dei cadaveri che la ingombravano, essendo
molti dayaki caduti sul castello di prora sotto le micidiali scariche delle
spingarde ed a mezza nave, e, ricollocate nelle casse le pericolosissime palle
d'acciaio, che avevano arrestato così bene l'attacco dei bellicosi isolani, i
Tigrotti di Mompracem si misero alacremente all'opera sotto la direzione di
Yanez e di Sambigliong.
Furono gettati due ancorotti a sessanta passi dalla poppa, su un
buon fondo e le gomene passate all'argano onde trarre indietro la nave ed
aiutare l'azione della marea, poi le vele furono girate in modo che la spinta
del vento avvenisse non più verso la prora.
- All'argano, ragazzi! - gridò Yanez, quando tutto fu pronto. -
Noi ci leveremo presto di qui.
Già qualche scricchiolo si era udito sotto la ruota, segno
evidente che l'acqua tendeva, aumentando sempre, a sollevare la carena.
Dodici uomini si erano precipitati verso l'argano, mentre
altrettanti si erano gettati sulle funi collegate ai due ancorotti, affinchè lo
sforzo fosse maggiore, e, al comando del portoghese, i primi avevano cominciato
a spingere energicamente le aspe.
Avevano dato appena quattro o cinque giri all'argano, quando la
Marianna scivolò, per modo di dire, sul banco su cui s'appoggiava, virando
lentamente sul tribordo, per l'azione del vento che gonfiava fortemente le due
immense vele.
- Eccoci liberi! - aveva esclamato Yanez, con voce giuliva. -
Forse sarebbe bastata la sola marea a trarci di qui. Che bella sorpresa pel
pilota, quando si risveglierà. Salpate gli ancorotti, contrabbracciate le vele
e avanti, diritti verso il fiume.
- Lo imboccheremo senza attendere l'alba? - chiese Sambigliong.
- È largo e profondo, mi ha detto Tangusa, e non è interrotto da
banchi, - rispose Yanez. - Preferisco attraversare la foce ora e sorprendere i
dayaki, che non s'aspettano di certo di vederci così presto.
Con uno sforzo poderoso i marinai dell'argano avevano strappati
dal fondo i due ancorotti, mentre i gabbieri avevano orientato rapidamente le
due vele e i fiocchi del bompresso. Tangusa, che non aveva lasciata la tolda,
si era messo alla barra del timone, essendo il solo che conoscesse la foce del
Kabatuan.
- Conducici solamente entro il fiume, mio bravo ragazzo, - gli
aveva detto Yanez. - Poi penseremo noi a guidare la Marianna e tu andrai a
riposarti.
- Oh signore, non sono già un fanciullo, - aveva risposto il meticcio,
- per aver bisogno d'un immediato riposo. Quel balsamo prodigioso, sparso sulle
mie ferite da Kickatany, mi ha calmato i dolori.
- Ah! - esclamò ad un tratto Yanez, mentre la Marianna, girato
prudentemente il banco, s'avanzava verso il fiume, - tu non mi hai ancora
narrato come sei caduto nelle mani dei dayaki e il perchè ti hanno
martirizzato.
- Non mi avevano lasciato il tempo, quei furfanti, di finire di
raccontarvi la mia triste avventura, - rispose il meticcio forzandosi a
sorridere.
- Venivi dal kampong di Tremal-Naik, quando ti catturarono?
- Sì, signor Yanez. Il mio padrone mi aveva incaricato di
raggiungere le rive della baia per guidarvi sul fiume.
- Era certo dunque che noi non avremmo indugiato ad accorrere in
suo aiuto.
- Non ne dubitava, signore.
- Dove sei stato sorpreso?
- Sulle isolette della foce.
- Quando?
- Due giorni or sono. Alcuni uomini che avevano lavorato nelle
piantagioni del kampong mi avevano subito riconosciuto, sicchè assalirono senza
indugio il mio canotto e mi fecero prigioniero. Dovevano essersi immaginati che
Tremal-Naik mi aveva mandato alla costa per attendere qualche soccorso, perchè
mi sottoposero ad un lungo interrogatorio, minacciando di accopparmi se non
rivelavo loro lo scopo della mia gita. Siccome rifiutavo ostinatamente di
rispondere, quei miserabili mi gettarono in una buca che era prossima ad un
formicaio, mi legarono per bene, poi mi fecero sul corpo alcune incisioni onde
il sangue uscisse.
- Briganti!
- Voi sapete, signor Yanez, quanto sono avide di carne le formiche
bianche. Attirate dall'odore del sangue non tardarono ad accorrere a
battaglioni e cominciarono a divorarmi, vivo, pezzetto a pezzetto.
- Un supplizio degno di selvaggi.
- E che durò un buon quarto d'ora facendomi provare tormenti
spaventevoli. Fortunatamente quegli insetti si erano gettati anche sulle corde
che mi legavano le braccia e le gambe e non tardarono a rosicchiare anche
quelle, essendo state spalmate d'olio di cocco onde, disseccandosi, mi
stringessero vieppiù.
- E tu, appena libero, scappasti? - disse Yanez.
- Ve lo potete immaginare, - rispose il meticcio. - Essendosi i
dayaki allontanati, mi gettai nella vicina foresta, raggiunsi il fiume e avendo
trovato sulla riva un canotto munito d'una vela, presi senza indugio il largo,
avendo già scorto in lontananza il vostro veliero.
- Sei stato però ben vendicato!
- E ne sono lieto, signor Yanez. Quei selvaggi non meritano
compassione. Oh!
Quell'esclamazione gli era sfuggita, scorgendo alcuni fuochi che
brillavano sulle coste delle isolette che formavano la barra del fiume.
- I dayaki vegliano, signor Yanez, - disse.
- Lo vedo, - rispose il portoghese. - Possiamo passare al largo,
senza essere veduti?
- Prenderemo l'ultimo canale, - rispose il meticcio, dopo d'aver
osservato attentamente la foce del fiume. - In quella direzione non vedo
brillare alcun fuoco.
- Vi sarà acqua bastante?
- Sì, ma vi sono dei banchi colà.
- Ah! diavolo!
- Non temete, signor Yanez. Conosco benissimo la foce e spero di
farvi entrare nel Kabatuan senza malanni.
- Noi intanto prenderemo le nostre precauzioni per respingere
qualsiasi attacco, - rispose il portoghese, avvicinandosi verso il castello di
prora.
La Marianna, spinta da una leggera brezza di ponente, scivolava
dolcemente, come se appena sfiorasse l'acqua, accostandosi sempre più alla foce
del fiume.
La marea che montava ancora doveva facilitare l'entrata, risalendo
per un buon tratto il Kabatuan.
L'equipaggio, eccettuati due o tre uomini incaricati della cura
dei feriti, era tutto in coperta, al posto di combattimento, non essendo
improbabile che i dayaki, nonostante la terribile sconfitta, tentassero
nuovamente un abbordaggio o aprissero il fuoco tenendosi nascosti fra i
boschetti che coprivano le isole.
Tangusa che teneva la barra e che, come abbiamo detto, conosceva a
menadito la baia, guidò la Marianna in modo da tenerla lontana dai fuochi che
ardevano presso le scogliere e che dovevano dominare gli accampamenti dei
nemici, poi con un'abile manovra la spinse dentro un canale piuttosto stretto
che s'apriva fra la costa ed un isolotto, senza che alcun grido d'allarme fosse
partito nè da una parte nè dall'altra.
- Siamo nel fiume, signore, - disse a Yanez, che lo aveva
raggiunto.
- Non ti sembra un po' strano che i dayaki non si siano accorti
della nostra entrata?
- Forse dormivano della grossa e non sospettavano che noi
potessimo trarci così felicemente dal banco.
- Uhm! - fece il portoghese, scuotendo il capo.
- Dubitate?
- Io ritengo che ci abbiano lasciati passare per darci battaglia
sull'alto corso del fiume.
- Può darsi, signor Yanez.
- Quando potremo giungere?
- Non prima di mezzodì.
- Quanto dista il kampong dal fiume?
- Due miglia.
- Di foresta, probabilmente.
- E folta, signore.
- Peccato che Tremal-Naik non abbia fondata la sua principale
fattoria sul fiume. Noi saremo costretti a dividere le nostre forze. È bensì
vero che i miei Tigrotti si battono splendidamente sia sui ponti dei loro
prahos, che a terra.
- Saliamo dunque, signore? Il vento è favorevole e la marea ci
spingerà per qualche ora ancora.
- Avanti e bada di non mandare la Marianna in secco.
- Conosco troppo bene il fiume.
- Il veliero superò una lingua di terra che formava la barra del
fiume e rimontò la corrente, spinto dalla brezza notturna che gonfiava le sue
enormi vele.
Quel corso d'acqua, che è ancora oggidì poco noto, in causa della
continua ostilità dei dayaki che non risparmiano nemmeno le teste degli
esploratori europei, era largo un centinaio di metri e scorreva fra due rive
piuttosto alte, coperte da manghi, da durion e da alberi gommiferi. Nessun
fuoco si vedeva brillare sotto gli alberi, nè si udiva alcun rumore che
indicasse la presenza di quei formidabili cacciatori di teste.
Solo di quando in quando nelle acque, che dovevano essere
profonde, echeggiava un tonfo prodotto dall'improvvisa immersione di qualche
gaviale addormentato a fior d'acqua, che la massa del veliero aveva spaventato.
Quel silenzio tuttavia non rassicurava affatto Yanez, il quale anzi raddoppiava
la vigilanza, cercando di scoprire qualche cosa sotto la fosca ombra degli
alberi.
- No, - mormorava, - è impossibile che noi abbiamo potuto passare
inosservati. Deve succedere qualche cosa; fortunatamente conosciamo il nemico e
non ci coglierà di sorpresa.
Era trascorsa una mezz'ora, senza che nulla fosse accaduto di
straordinario, ed il portoghese cominciava a rassicurarsi, quando, verso il
basso corso del fiume, si vide una linea di fuoco alzarsi al di sopra dei
grandi alberi.
- Toh! un razzo! - aveva esclamato Sambigliong, che aveva potuto
scorgerlo prima che si spegnesse.
La fronte di Yanez si era abbuiata.
- Come mai questi selvaggi posseggono dei razzi di segnalazione? -
si chiese.
- Capitano, - disse Sambigliong, - ciò è una prova che in tutta questa
faccenda vi è lo zampino degli inglesi. Questi ignoranti non li hanno mai
conosciuti prima d'ora.
- O che li abbia portati quel pellegrino misterioso.
- Là, guardate, comandante: si risponde.
Yanez si era vivamente voltato verso la prora ed a una notevole
distanza, verso l'alto corso del fiume, invece, aveva veduto spegnersi in cielo
un'altra linea di fuoco.
- Tangusa, - disse, volgendosi verso il meticcio, che non aveva
abbandonata la barra. - Pare che si preparino a farci passare una brutta notte,
gli ex coltivatori del tuo padrone.
- Lo sospetto anch'io, signore, - rispose il meticcio.
In quell'istante verso prora si udirono delle esclamazioni.
- Lucciole!
- O fuochi?
- Guarda lassù.
- Brucia il fiume!
- Signor Yanez! Signor Yanez!
Il portoghese in pochi salti fu sul castello di prora, dove si
erano già radunati parecchi uomini dell'equipaggio.
Tutto l'alto corso del fiume, che scendeva in linea quasi retta
con leggeri serpeggiamenti, appariva coperto da miriadi di punti luminosi che
ora si raggruppavano ed ora si disperdevano, per riunirsi poco dopo in linee ed
in macchie foltissime.
Yanez era rimasto talmente sorpreso, che stette per qualche minuto
silenzioso.
- Qualche fenomeno, capitano? - chiese Sambigliong. - È
impossibile che quelle siano lucciole.
- Nemmeno io lo credo, - rispose finalmente Yanez, la cui fronte
si abbuiava sempre più.
Tangusa che aveva affidato momentaneamente la barra a uno dei
timonieri, era pure accorso, allarmato da quelle esclamazioni.
- Sapresti dirmi di che cosa si tratta? - chiese Yanez, vedendolo.
- Quelli sono fuochi che scendono il fiume, signore, - rispose il
meticcio.
- È impossibile! Se ognuno di quei punti luminosi segnalasse una
barca, ve ne dovrebbero essere delle migliaia e non credo che i dayaki ne
posseggano tante, nemmeno riunendo tutte quelle che si trovano sui fiumi
bornesi.
- Eppure sono fuochi, - replicò Tangusa.
- Accesi dove?
- Non so, signore.
- Su dei tronchi d'albero?
- Non saprei dirvelo.
- Il fatto è che quei fuochi s'avvicinano, capitano, e che la
Marianna potrebbe correre il pericolo d'incendiarsi.
Yanez lanciò un "per Giove!" tuonante che fece stupire
Sambigliong, che non l'aveva mai veduto prima d'allora uscire dai gangheri.
- Che cos'hanno preparato quelle canaglie? - esclamò il bravo
portoghese.
- Capitano, prepariamo per maggior precauzione le pompe.
- E arma i nostri uomini di buttafuori e di manovelle per
allontanare quei fuochi. Questi maledetti selvaggi cercano d'incendiare la nostra
nave. Su lesti, Tigrotti miei: non vi è tempo da perdere.
Quelle centinaia e centinaia di punti luminosi ingrandivano a
vista d'occhio, trascinati dalla corrente e coprivano un tratto immenso di
fiume.
Scendevano a gruppi, danzando con un effetto meraviglioso, che in
altre occasioni Yanez avrebbe certamente ammirato, ma non in quel momento.
Giravano su loro stessi, seguendo i gorghi, formando delle linee circolari e
delle spirali, che poi bruscamente si rompevano, oppure delle linee rette che
poi diventavano delle serpentine.
Un gran numero filava lungo le rive; molti invece, anzi i più
danzavano in mezzo, essendo la corrente ivi più rapida.
Dove posassero nessuno poteva dirlo, essendo la notte oscura,
anche a causa dell'ombra proiettata dalle piante altissime che coprivano le
rive. Certo però dovevano ardere su dei minuscoli galleggianti.
Tutto l'equipaggio, armatosi frettolosamente di buttafuori, di
pennoni, di aste e di manovelle, si era disposto lungo i fianchi della Marianna
per allontanare quei fuochi pericolosi. Alcuni erano scesi nella rete delle
dolfiniere del bompresso e nelle bancazze per poter meglio agire.
- Sempre in mezzo al fiume! - aveva gridato Yanez a Tangusa, che
aveva ripresa la barra del timone. - Se prenderemo fuoco, faremo presto a
poggiare sull'una o sull'altra riva.
La flottiglia giungeva a ondate, correndo addosso alla Marianna la
quale s'avanzava lentamente essendo il vento debolissimo.
- Recatemi uno di quei fuochi, - disse Yanez ai malesi che si
erano calati nella rete della dolfiniera, la cui estremità inferiore sfiorava
quasi l'acqua.
Tutti i marinai si erano messi all'opera, vibrando furiosi colpi
di buttafuori e di manovelle su quei fuochi galleggianti che ormai circondavano
la Marianna.
Un malese, presone uno, lo aveva recato a Yanez. Si componeva
d'una mezza noce di cocco, piena di bambace inzuppato d'una materia resinosa e
attaccaticcia che ardeva meglio dell'olio vegetale, di cui fanno ordinariamente
uso i bornesi al pari dei siamesi.
- Ah! Bricconi! - aveva esclamato il portoghese. - Ecco una
trovata meravigliosa che io non avrei mai immaginata! Come sono diventati
furbi, da un momento all'altro, questi dayaki! Tigrotti, date dentro a tutta
lena; se questo cotone s'attacca ai madieri, arrostiremo come anitre allo spiedo.
Aveva gettato via il guscio di cocco e si era slanciato a prora,
dov'era maggiore il pericolo, perchè quei fuochi investendo il tagliamare si
rovesciavano in gran numero e la materia attaccaticcia e resinosa ond'era
imbevuto il cotone poteva attaccarsi al fasciame, dove avrebbe trovato buon
alimento nel catrame che lo copriva.
I Tigrotti, che avevano compreso il gravissimo pericolo che
correva il veliero, non risparmiavano i colpi. Specialmente quelli che si
trovavano nella rete della dolfiniera ed a cavalcioni delle trinche, avevano un
bel da fare a rovesciare quei minuscoli galleggianti, che giungevano sempre a
ondate, scivolando e capovolgendosi lungo i fianchi della Marianna. Tuttavia
dei fuochi di cotone di quando in quando s'appiccicavano al fasciame, ed il
catrame subito prendeva fuoco, sviluppando un fumo denso ed acre.
Guai se quel legno avesse avuto un equipaggio poco numeroso! Le
tigri di Mompracem fortunatamente erano bastanti per sorvegliare tutti i bordi
e, quando il fuoco cominciava a manifestarsi, le pompe lo spegnevano di colpo
con un abbondante getto d'acqua.
Quella strana lotta durò una buona mezz'ora, poi i pericolosi
galleggianti cominciarono a diradarsi e finalmente cessarono di sfilare,
scomparendo verso il basso corso del fiume.
- Che ci preparino ora qualche altra sorpresa? - disse Yanez che
aveva raggiunto il meticcio. - Vedendo il loro criminoso tentativo andato a
male, escogiteranno qualche cosa d'altro. Che cosa ne dici, Tangusa?
- Che noi non giungeremo all'imbarcadero del kampong, senza che i
dayaki ci diano una seconda battaglia, signor Yanez, - rispose il meticcio.
- La preferirei a qualche altra sorpresa, mio caro. Finora però
non vedo alcuna scialuppa.
- Non siamo ancora giunti, anzi tarderemo assai con questo vento
così debole. Se non aumenta, invece del mezzodì dovremo faticare fino alla sera
di domani.
- E ciò mi rincrescerebbe. Ohè, Tigrotti, aprite gli occhi e
tenete le armi in coperta. I tagliatori di teste ci spiano di certo.
Accese una sigaretta e si sedette sul capo di banda di poppa, per
meglio sorvegliare le due rive.
La Marianna, sfuggita miracolosamente a quel secondo pericolo,
s'avanzava sempre più lenta, essendo scemata la brezza.
Nessun rumore si udiva sulle rive, che erano sempre coperte da
alberi immensi che stendevano i loro rami mostruosi sul fiume, rendendo
maggiore l'oscurità, eppure nessuno dubitava che degli occhi seguissero
nascostamente il veliero.
Era impossibile che i dayaki, dopo quel tentativo che per poco non
riusciva, avessero rinunciato all'idea di distruggere quella piccola sì, ma
poderosa nave che aveva inflitto loro quella sanguinosa sconfitta.
Altre cinque o sei miglia erano state guadagnate, senza che alcun
nuovo avvenimento fosse accaduto, quando Yanez scorse, sotto le foreste,
scintillare dei punti luminosi che apparivano e scomparivano con grande
rapidità.
Pareva che degli uomini muniti di torce corressero disperatamente
fra gli alberi, scomparendo subito in mezzo ai cespugli. Poi dei sibili si
udivano in varie direzioni che non dovevano essere mandati da serpenti.
- Sono segnali, - disse il meticcio, prevenendo la domanda che
Yanez stava per rivolgergli.
- Non ne dubitavo, - rispose il portoghese, che ricominciava ad
inquietarsi. - Che cosa ci prepareranno ora?
- Una sorpresa non migliore dell'altra di certo, signore. Ci
vogliono impedire a qualunque costo di giungere all'imbarcadero.
- Comincio ad averne le tasche piene, - disse Yanez. - Almeno si
mostrassero e ci attaccassero risolutamente.
- Sanno che siamo forti e che non manchiamo di artiglierie,
signore, ed un assalto diretto non lo tenteranno.
- Eppure sento per istinto che quei bricconi preparano qualche
cosa contro di noi.
- Non dico il contrario e vi consiglierei di non far disarmare le
pompe.
- Temi che ci mandino addosso un'altra flottiglia di noci di
cocco?
Invece di rispondere, il meticcio si era vivamente alzato, dando
un colpo di barra al timone.
- Siamo al passo più stretto del fiume, signor Yanez, - disse poi.
- Prudenza o daremo dentro a qualche banco.
Il fiume, che fino allora si era mantenuto abbastanza largo,
permettendo alla Marianna di manovrare liberamente, si era repentinamente
ristretto in modo che i rami degli alberi s'incrociavano.
L'oscurità era diventata ad un tratto così profonda che Yanez non
riusciva più a discernere le sponde.
- Bel luogo per tentare un abbordaggio, - mormorò.
- E anche per fucilarci per bene, signore, - aggiunse Tangusa.
- Punta le spingarde verso le due rive, Sambigliong! - gridò
Yanez.
Gli uomini addetti al servizio delle grosse bocche da fuoco
avevano appena eseguito quell'ordine, quando la Marianna, che da alcuni minuti
aveva accelerata la corsa essendo la brezza diventata più fresca, urtò
bruscamente contro un ostacolo che la fece deviare verso babordo.
- Che cosa è avvenuto? - gridò Yanez. - Ci siamo arenati?
- Ma no, capitano, - rispose Sambigliong che si era slanciato
verso prora. - La Marianna galleggia!
Il meticcio con un colpo di barra rimise il legno sulla rotta
primiera, quando avvenne un secondo urto e la Marianna tornò a deviare
indietreggiando di alcuni passi.
- Come va questa faccenda? - gridò Yanez, raggiungendo
Sambigliong.
- Vi è una linea di scoglietti dinanzi a noi?
- Non ne vedo, capitano.
- Eppure non possiamo passare. Fa' calare in acqua qualcuno.
Un malese gettò una fune e dopo averla assicurata, si lasciò
scivolare, mentre il veliero per la terza volta tornava a indietreggiare.
Yanez e Sambigliong, curvi sulla murata prodiera guardavano
ansiosamente il malese che si era gettato a nuoto per cercare l'ostacolo che
impediva al legno di avanzare.
- Scogliere? - chiese Yanez.
- No, capitano, - rispose il marinaio, che continuava a inoltrarsi
tuffandosi di quando in quando, senza preoccuparsi dei gaviali che potevano
mozzargli le gambe.
- Che cos'è dunque?
- Ah! Signore! Hanno tesa una catena sott'acqua, e non possiamo
avanzare se non la taglieremo.
Nel medesimo istante una voce poderosa s'alzò fra gli alberi della
riva sinistra, gridando in un inglese molto gutturale:
- Arrendetevi, Tigri di Mompracem, o noi vi stermineremo tutti!
Qualunque altro si sarebbe non poco impressionato, udendo quella
minaccia, lanciata da un uomo appartenente ad una razza così sanguinaria e
coraggiosissima e nell'apprendere nel medesimo tempo, che la via per sfuggire
quel grave pericolo gli era stata tagliata.
Yanez invece, aveva ascoltato il malese e il nemico che lo
minacciava di sterminio, senza dare alcun segno, nè di collera, nè di
scoraggiamento.
Ne aveva provate ben altre nella sua vita per perdersi d'animo.
- Ah! - aveva semplicemente esclamato. - Ci vogliono sterminare!
Meno male che sono stati così gentili di avvertirci. E poi li chiamano
selvaggi!
Dopo quelle parole, che dimostravano una perfetta serenità
d'animo, si era rivolto al malese che si trovava in acqua, chiedendogli:
- È solida la catena?
- È d'ancora grossa, capitano, - aveva risposto il marinaio.
- Dove l'avranno trovata quei selvaggi? Che da un momento
all'altro abbiano imparato a fabbricarle? Quel pellegrino ha insegnato loro a
compiere delle vere meraviglie!
- Capitano Yanez, - disse Sambigliong. - La Marianna va di
traverso. Devo far gettare un ancorotto?
Il portoghese si volse guardando il veliero, il quale, non potendo
avanzare, non obbediva più all'azione del timone e cominciava a virare sul
tribordo, indietreggiando lentamente.
- Cala un ancorotto da pennello e prepara la scialuppa, - disse al
mastro. - È necessario tagliare quella catena.
Il ferro fu rapidamente affondato, filando pochi metri di catena,
non essendo molto profondo il fiume in quel luogo e la Marianna arrestò la sua
marcia indietro, raddrizzandosi quasi subito colla prora alla corrente.
La medesima voce di prima, più minacciosa, s'alzò fra le piante,
ripetendo l'intimazione:
- Arrendetevi o vi stermineremo tutti.
- Per Giove! - esclamò Yanez. - Mi ero scordato di rispondere a
quell'uomo!
Fece colle mani porta-voce, gridando:
- Se vuoi la mia nave vieni a prenderla: ti avverto solo che
abbiamo abbondanza di polvere e di piombo. Ed ora non seccarmi più, che ho
altro da fare in questo momento.
- Il pellegrino della Mecca ti punirà.
- Va' ad appiccarti insieme al tuo Maometto. Ti troverai bene in
sua compagnia. Sambigliong, fa' calare la scialuppa e manda sei uomini a tagliare
la catena: attenzione agli artiglieri di babordo e proteggete chi scende.
La più piccola delle due imbarcazioni fu messa rapidamente in
acqua, e sei malesi, armati di pesanti scuri e di fucili, si calarono dentro.
- Picchiate sodo e fate presto soprattutto! - gridò loro il
portoghese.
Poi salì sulla murata, aggrappandosi ad un paterazzo e guardò
attentamente verso la riva, su cui era echeggiata la voce del misterioso
pellegrino.
Attraverso la foresta scorse ancora passare dei punti luminosi,
che si allontanavano con fantastica velocità.
- Che cosa preparano quei furfanti? - si chiese, non senza un po'
di preoccupazione.
- Signor Yanez, - disse Tangusa, che aveva lasciato il timone, essendo
diventato pel momento inutile. - Ho scorto dei fuochi anche sulla riva destra.
- Che siano dayaki che radunano delle altre noci di cocco? È un
bel po' che vediamo passare quelle luci.
Ad un tratto mandò una sorda imprecazione. Trenta o quaranta lingue
di fuoco si erano improvvisamente alzate fra i cespugli delle due rive,
rompendo l'oscurità fittissima che regnava sotto gli alberi.
- Mettono fuoco alle foreste! - gridò. - Miserabili!
- E quello che è peggio, signore, - aggiunse il meticcio, con voce
alterata dallo spavento, - tutti questi alberi sono avvolti da giunta wan
satura di caucciù.
- Pra-la! - gridò il portoghese, rivolgendosi all'uomo che
comandava la scialuppa. - Potete resistere da soli?
- Abbiamo le nostre carabine, signor Yanez.
- Affrettatevi più che potete, poi raggiungeteci. Sambigliong, fa'
salpare l'ancorotto.
- Ridiscendiamo il fiume, capitano? - chiese il mastro.
- Ed in fretta, mio caro. Non ho alcun desiderio di farmi
arrostire vivo. Lesti Tigrotti. Tutto alla banda il timone, Tangusa!
In un baleno il ferro fu strappato dal fondo e la Marianna, che
aveva in quel momento il vento a mezza-nave, virò rapidamente di bordo,
lasciandosi trasportare dalla corrente.
Una dozzina d'uomini, muniti di lunghi remi, aiutavano l'azione
del timone, che diventava poco efficace avendo l'acqua a seconda.
I sei marinai della scialuppa, quantunque privi della protezione
dei loro compagni, non avevano abbandonata la catena e continuavano a
tempestarla di colpi furiosi non accennando i grossi anelli a cedere tanto
facilmente.
Intanto l'incendio avvampava con rapidità spaventevole e nuove
lingue di fuoco s'alzavano qua e là, per propagarlo su una più vasta
estensione.
Le fiamme trovavano un ottimo elemento nelle giunta wan (urceola
elastica), quelle grosse piante rampicanti dalle quali i malesi traggono una
sostanza vischiosa, di cui si servono per prendere gli uccelli, nei gambir, nei
colossali alberi della canfora e nelle piante gommifere che sono numerose in
tutte le foreste del Borneo.
Tutte quelle piante crepitavano, come se contenessero nelle loro
fibre delle cartuccie di fucile o detonavano e dai loro squarci lasciavano
colare la linfa più o meno satura di resina, la quale a sua volta prendeva
fuoco allargando sempre più l'incendio.
Una luce intensa era successa alle tenebre, mentre miriadi di
scintille s'alzavano a grande altezza volteggiando fra turbini di fumo.
La Marianna scendeva precipitosamente, aiutata dai remi per
sottrarsi a quell'incendio, che si propagava ormai anche alle piante prossime alle
due rive, ma non aveva percorso che cinquecento passi, quando un urto avvenne a
prora, che si ripercosse in tutte le parti della carena.
Urla furiose erano scoppiate sul castello di prora, dove eransi
radunati la maggior parte dei malesi, temendo che da un momento all'altro
comparissero le scialuppe e i pontoni dei dayaki.
- Siamo presi!
- Ci hanno tagliata la ritirata!
Yanez era accorso, immaginandosi che cos'era accaduto.
- Un'altra catena? - chiese, respingendo i suoi uomini per farsi
largo.
- Sì, capitano.
- Allora l'hanno tesa pochi minuti fa.
- Così deve essere, - disse Tangusa, che appariva esterrefatto. -
Signor Yanez, non ci rimane che di prendere terra mentre l'incendio non è
ancora attaccato dovunque.
- Lasciare la Marianna! - esclamò il portoghese. - Oh mai! Sarebbe
la fine di tutti, anche di Tremal-Naik e di Darma.
- Devo mettere in acqua l'altra scialuppa? - chiese Sambigliong.
Yanez non rispose. Ritto sulla prora, colle mani strette sulla
scotta della trinchettina, la sigaretta spenta e compressa fra le labbra,
guardava l'incendio che s'allargava sempre più.
Anche verso il basso corso del fiume delle vampe cominciavano ad
alzarsi. Fra poco la Marianna doveva trovarsi in mezzo ad un mare di fuoco e, siccome
gli alberi quasi riunivano i loro rami sopra il fiume, l'equipaggio correva il
pericolo di vedersi rovesciare addosso una pioggia di tizzoni ardenti e di
cenere calda.
- Capitano, - ripetè Sambigliong, - devo mettere in acqua la
seconda scialuppa? Noi corriamo il pericolo di perdere la Marianna, se non
fuggiamo.
- Fuggire! E dove? - chiese Yanez, con voce pacata. - Abbiamo il
fuoco dinanzi e di dietro e anche spezzando le catene la nostra situazione non
migliorerebbe.
- Ci lasceremo dunque arrostire, signor Yanez?
- Non siamo ancora cucinati, - rispose il portoghese, colla sua
calma meravigliosa. - Le tigri di Mompracem sono costolette un po' dure.
Poi, cambiando bruscamente tono, gridò:
- Stendete la tela sul ponte, abbassate le vele sui ferri di sostegno.
In acqua le maniche delle pompe e affondate le àncore. Gli artiglieri a posto!
L'equipaggio che attendeva con angoscia qualche decisione, in
pochi momenti issò i ferri di sostegno e ammainò le due immense vele.
La Marianna, come tutti gli yacht che intraprendono dei viaggi
nelle regioni estremamente calde, era fornita d'una tela per riparare il ponte
dagli ardenti raggi solari e dei relativi sostegni.
In un baleno fu stesa all'altezza delle bome e le due vele vi
furono gettate sopra, lasciando cadere i margini lungo le murate, in modo da
coprire interamente la piccola nave.
- Manovrate le pompe e inaffiate, - comandò Yanez, quando l'ordine
fu eseguito.
Riaccese poscia la sigaretta e si spinse verso la prora, mentre
torrenti d'acqua venivano lanciati contro la tela inzuppandola completamente.
Gli uomini incaricati di spezzare la catena, tornavano in quel
momento a bordo, arrancando disperatamente. Sopra di loro fiammeggiavano i rami
degli alberi, coprendoli di scintille.
- Giungono a tempo, - mormorò il portoghese. - Che spettacolo
magnifico! Che peccato non poterlo vedere un po' da lontano! Lo ammirerei
meglio!
Una vera tromba di fuoco si rovesciava sul fiume. Gli alberi delle
due rive, composti per la maggior parte di piante gommifere, ardevano come zolfanelli,
lanciando dovunque mostruose lingue di fuoco e turbini di fumo denso e pesante.
I tronchi, carbonizzati, rovinavano al suolo, facendo crollare le
piante vicine a cui erano collegati da piante parassite e gambir e spandendo
torrenti di caucciù ardente. Alberi della canfora enormi, casuarine, sagu,
arenghe saccarifere, dammar saturi di resina, banani, cocchi e durion
fiammeggiavano come torce colossali, contorcendosi e tuonando; poi
s'abbattevano, rovesciandosi nel fiume con fischi assordanti.
L'aria diventava irrespirabile e le tende e le vele che coprivano
la Marianna fumavano e si contraevano, nonostante i continui getti d'acqua che
le innaffiavano.
Il calore era diventato così intenso che i Tigrotti di Mompracem,
malgrado la protezione delle vele, si sentivano mancare.
Immense nuvole di fumo e nembi di scintille, che il vento
spingeva, si cacciavano entro lo spazio racchiuso fra il ponte e le tele,
avvolgendo gli uomini terrorizzati, mentre dall'alto cadevano senza
interruzione rami fiammeggianti, che le pompe penavano a spegnere, quantunque
energicamente manovrate.
Una cupola di fuoco avvolgeva ogni cosa: la nave, le rive ed il
fiume. I malesi ed i dayaki che formavano l'equipaggio, guardavano con spavento
quelle cortine fiammeggianti, che non accennavano a scemare, chiedendosi
angosciosamente se stava per suonare per loro l'ultima ora.
Solo Yanez, l'uomo eternamente impassibile, pareva che non si
occupasse affatto del tremendo pericolo che minacciava la Marianna.
Seduto sull'affusto di uno dei due pezzi da caccia, fumava
placidamente la sua sigaretta, come se fosse insensibile a quel calore
spaventevole che cucinava i suoi uomini.
- Signore! - gridò il meticcio, accorrendo presso di lui, col viso
smorto e gli occhi dilatati pel terrore, - noi ci arrostiamo.
Yanez alzò le spalle.
- Non posso fare nulla io, - rispose poi, colla sua calma
abituale.
- L'aria diventa irrespirabile.
- Accontentati di quella poca che scende nei tuoi polmoni.
- Fuggiamo, signore. I nostri uomini hanno spezzata la catena che
ci chiudeva il passo verso l'alto corso.
- Lassù non farà più fresco di qui, mio caro.
- Dovremo perire così?
- Se così è scritto, - rispose Yanez, senza togliersi dalle labbra
la sigaretta.
Si rovesciò sull'affusto come se fosse su una comoda poltrona, aggiungendo
dopo qualche istante: - Bah! Aspettiamo!
Ad un tratto alcune scariche di fucili rimbombarono sul fiume,
accompagnate da clamori assordanti.
Yanez si era alzato.
- Come diventano noiosi questi dayaki! - esclamò.
Attraversò il ponte, senza curarsi dei torrenti d'acqua che gli
cadevano addosso e, alzato un lembo dell'immensa tenda, guardò verso la riva.
Attraverso le cortine di fuoco scorse degli uomini che parevano
demoni, correre fra le ondate di fumo, sparando contro il veliero. Pareva che
quei terribili selvaggi fossero insensibili, come le salamandre, perchè
osavano, quantunque quasi nudi, cacciarsi fra le fiamme per sparare più da
vicino.
Yanez si era fatto torvo in viso. Una bella collera bianca si
manifestava in quell'uomo, che pareva avesse dell'acqua agghiacciata nelle vene
e che potesse gareggiare coi più flemmatici anglo-sassoni delle razze nordiche.
- Ah! Miserabili! - gridò. - Nemmeno in mezzo al fuoco volete
lasciarci un momento di tregua! Sambigliong, Tigrotti di Mompracem, bordate senza
misericordia quei demoni!
Fu un po' rialzata la tenda, le quattro spingarde furono riunite
sul tribordo, e mentre l'incendio avvampava più che mai, divorando gli enormi
vegetali, la mitraglia cominciò a fischiare attraverso le cortine di fuoco,
tempestando i selvaggi con uragani di chiodi e di frammenti di ferro.
Bastarono sette od otto scariche per decidere quei bricconi a
mostrare i talloni. Parecchi erano caduti e arrostivano in mezzo alle erbe ed i
cespugli crepitanti, continuando il fuoco a dilatarsi.
- Potesse essere caduto anche il pellegrino! - mormorò Yanez. -
Quel furbone si sarà purtroppo ben guardato dall'esporsi ai nostri tiri.
Chiamò il malese che aveva guidata la scialuppa, che era tornata a
bordo nel momento in cui gli alberi costeggianti il fiume prendevano pure
fuoco.
- L'hai spezzata la catena? - gli chiese.
- Sì, capitano Yanez.
- Sicchè il passo è libero.
- Completamente.
- Il fuoco scema verso l'alto corso del fiume, mentre tende ad
aumentare verso il basso, - mormorò Yanez. - Sarebbe meglio andarcene, prima
che quei birboni possano tendere altre catene o che le loro scialuppe giungano
qui. Checchè debba succedere, partiamo.
La volta di verzura che copriva in quel luogo il fiume, era stata
distrutta dall'uragano di fuoco che l'aveva investita, e sulle due rive più non
rimanevano in piedi che pochi enormi tronchi di alberi della canfora,
semi-carbonizzati e qualche tronco di durion che fiammeggiava ancora come una
immensa torcia.
Il fuoco invece avvampava terribile verso ponente, dove le foreste
erano fino allora rimaste intatte, ossia dietro la Marianna.
Il pericolo quindi che il veliero s'incendiasse, era ormai
evitato.
- Approfittiamo, - disse Yanez. - L'aria comincia a diventare un
po' più respirabile e la brezza è sempre favorevole.
Fece togliere l'immensa tela che grondava acqua, poi fece levare e
quindi inferire le vele ai pennoni. Quelle manovre furono compiute rapidamente,
fra una vera pioggia di cenere che la brezza avventava contro il veliero,
accecando e facendo tossire gli uomini.
Regnava ancora un caldo infernale sul fiume, essendo le due rive
coperte da un altissimo strato di carboni ancora ardenti, tuttavia non vi era
più pericolo di morire asfissiati.
Alle quattro del mattino le àncore furono issate e la Marianna
riprese la navigazione con notevole velocità, senza essere stata disturbata.
I dayaki, che dovevano aver subite delle perdite crudeli, non si
erano più fatti vedere.
Forse l'incendio, che aumentava sempre verso ponente, li aveva
obbligati ad una precipitosa ritirata.
- Non si scorgono più, - disse Yanez al meticcio, che osservava le
due rive sulle quali ondeggiavano ancora dense colonne di fumo e nembi di
scintille. - Se ci lasciassero tranquilli almeno fino a che possiamo
raggiungere l'imbarcadero! Che non abbiano capito che noi siamo persone
risolute a difendere estremamente la pelle? Dopo le due lezioni ricevute,
dovrebbero essersi persuasi che non siamo gallette pei loro denti.
- Hanno capito, signor Yanez, che noi accorriamo in aiuto del mio
padrone.
- Eppure nessuno glielo ha detto.
- Io scommetto che lo sapevano, prima ancora del vostro arrivo.
Qualche servo ha tradito il segreto o ha uditi gli ordini dati da Tremal-Naik
all'uomo che vi fu mandato.
- Che sia così?
- Quel malese che voi avete raccolto e che si offerse come pilota
devono averlo mandato essi incontro alla Marianna.
- Per Giove! Non mi ricordavo più di quel furfante! - esclamò
Yanez. - Giacchè i dayaki ci lasciano un po' di tregua e l'incendio si spegne
più in su, potremmo occuparci un po' di lui. Chissà che riusciamo a strappargli
qualche preziosa informazione su quel misterioso pellegrino.
- Se parlerà!
- Se si ostinerà a rimaner muto, m'incarico io di fargli passare
un brutto quarto d'ora. Vieni, Tangusa.
- Raccomandò a Sambigliong di mantenere gli uomini ai loro posti
di combattimento, temendo sempre qualche nuova sorpresa da parte di quegli
ostinati nemici e scese nel quadro, dove la lampada bruciava ancora.
In una cabina attigua al salotto, su un tettuccio, giaceva il
pilota, sempre immerso nel sonno profondo, procurategli dalle compressioni
energiche di Sambigliong.
Un sonno regolare veramente non lo era. Il respiro era
leggerissimo, tanto che si avrebbe potuto scambiare il malese per un vero
morto, essendo anche la sua tinta diventata quasi grigiastra, come quando gli
uomini di colore diventano pallidi.
Yanez, che era stato istruito da Sambigliong, strofinò
violentemente le tempie ed il petto dell'addormentato, poi gli alzò le braccia
ripiegandole all'indietro più che potè onde dilatargli i polmoni, eseguendo
quel movimento parecchie volte.
Alla nona o alla decima mossa il malese aprì finalmente gli occhi,
fissandoli sul portoghese con un lampo di terrore.
- Come stai, amico? - gli chiese Yanez con accento un po' ironico.
- Mentre noi combattevamo contro i tuoi alleati, tu dormivi saporitamente.
Diventano poltroni i malesi.
Il pilota continuava a guardarlo senza rispondere, passandosi e
ripassandosi una mano sulla fronte che s'imperlava di sudore. Pareva che
cercasse di riordinare le sue idee e di mano in mano che la memoria gli
ritornava, la sua pelle diventava sempre più smorta ed una espressione
angosciosa gli si diffondeva sul viso.
- Orsù, - disse Yanez, - quand'è che ci farai udire la tua voce?
- Che cosa è avvenuto, signore? - chiese finalmente Padada. - Non
riesco a spiegarmi come io mi sia addormentato di colpo, dopo la stretta datami
dal vostro mastro.
- È cosa tanto poco interessante che non vale la pena che io te la
spieghi, - rispose Yanez. - Tu invece dovresti darmi qualche spiegazione che mi
premerebbe.
- Quale?
- Sapere chi è che ti ha mandato verso di noi per far arenare la
mia nave sui banchi.
- Vi giuro, signore...
- Lascia andare i giuramenti: già non credo a quelle cose io, mio
caro. È inutile che tu ti ostini a negare: ti sei tradito e ti tengo in mia
mano. Chi ti ha pagato per rovinare la mia nave? Tu stavi per incendiarla.
- È una vostra supposizione, - balbettò il malese.
- Basta, - disse Yanez. - Vuoi farmi perdere la pazienza? Voglio
sapere chi è quel maledetto pellegrino che ha messo in armi i dayaki e che
domanda la testa di Tremal-Naik.
- Voi potete uccidermi, signore, ma non obbligarmi a dire delle
cose ch'io ignoro.
- Sicchè tu affermi?
- Ch'io non ho mai veduto alcun pellegrino.
- E che anche non hai mai avuto rapporti coi dayaki che mi hanno
assalito?
- Non mi sono mai occupato di costoro, signore, ve lo giuro su
Vairang kidul2 (La regina del sud). Io stavo seguendo la costa per visitare le
caverne, entro le quali le rondini salangane costruiscono i loro nidi, avendo
ricevuto l'incarico di fornirne ad un cinese che ne abbisognava, quando un
colpo di vento mi trasportò al largo trascinandomi, assieme al canotto, verso
ponente. Vi ho incontrati per un caso.
- Perchè sei pallido allora?
- Signore, mi avete sottoposto ad una compressione tale che
credevo mi si volesse strozzare e non mi sono ancora rimesso dall'impressione
provata, - rispose il pilota.
- Tu menti come un ragazzo, - disse Yanez. - Non vuoi confessare?
Sta bene: vedremo se resisterai.
- Che cosa volete fare, signore? - chiese il miserabile con voce
tremante.
- Tangusa, - disse Yanez, volgendosi verso il meticcio. - Lega le
mani a questo traditore, poi conducilo in coperta. Se cerca di resistere
bruciagli le cervella.
- La mia pistola è carica, - rispose l'intendente di Tremal-Naik.
Yanez uscì dal quadro e salì sul ponte, mentre il meticcio metteva
in esecuzione l'ordine ricevuto, senza che il malese avesse osato ribellarsi.
La Marianna aveva superata la zona incendiata e navigava in quel
momento fra due rive verdeggianti, dove i durion, gli alberi della canfora, i
gluga, i sagu, i banani dalle foglie mostruose e le splendide arenghe
intrecciavano i loro rami e le loro fronde. Un fiumicello che si riversava nel
Kabatuan, aveva impedito al fuoco di estendersi verso l'alto corso, sicchè
quelle boscaglie erano state risparmiate.
Una calma assoluta regnava sulle rive, almeno in quel momento. I
dayaki non dovevano essersi spinti fino là, perchè si vedevano numerosi uccelli
acquatici bagnarsi tranquillamente, segno evidente che si tenevano
perfettamente sicuri.
Ed infatti le grosse pelargopsis, dall'enorme becco rosso come il
corallo, nuotavano lungo le canne, pescando le belle alcede attraversavano il
fiume salutando il veliero con un lungo fischio e all'estremità degli alberi,
che spingevano i loro rami sulle acque, i ploceus pispigliavano, dondolandosi
entro i loro nidi in forma di borsa, mentre sui banchi sonnecchiavano non pochi
coccodrilli lunghi cinque o sei metri, coi dorsi rugosi incrostati d'un fitto
strato di fango.
- Ecco quelli che s'incaricheranno di sciogliere la lingua a
quell'ostinato malese, - mormorò Yanez, che aveva fissati gli sguardi sui
formidabili rettili. - Che bell'occasione! Sambigliong!
Il mastro fu pronto ad accorrere alla chiamata.
- Fa' gettare un ancorotto.
- Ci fermiamo, capitano Yanez?
- Oh, per pochi minuti solamente e accosta uno di quei banchi più
che puoi.
- Volete pescare qualche coccodrillo?
- Vedrai: prepara intanto una solida fune.
Il pilota comparve in quel momento in coperta, colle mani legate
dietro al dorso, spinto innanzi dal meticcio che non faceva economia di urti e
di minacce.
Il disgraziato era in preda ad un terrore profondo, eppure non
pareva ancora disposto a confessare.
- Sambigliong, - disse Yanez, quando l'ancorotto fu calato. -
Getta un po' di carne salata a quei mostri, tanto da stuzzicare un po' il loro
appetito.
La Marianna si era fermata a breve distanza da un banco melmoso,
su cui stavano radunati cinque o sei gaviali, fra cui uno mancante della coda,
perduta di certo in qualche combattimento.
Si scaldavano al sole, sonnecchiando tranquillamente e anche
vedendo accostarsi il veliero non si erano mossi, essendo per loro natura poco
diffidenti.
- Destatevi boyo3! - gridò Sambigliong, gettando verso il banco
alcuni enormi pezzi di carne salata.
I gaviali, vedendo cadere quella manna, si erano alzati, poi vi si
erano scagliati sopra disputandoseli ferocemente. In un momento non si vide che
un ammasso di scaglie e di code poderosamente agitate che picchiavano in tutte
le direzioni, poi, messi in appetito da quei pochi bocconi si spinsero verso
l'orlo del banco, alzando le loro ampie mascelle, armate di lunghi denti, verso
la Marianna, in attesa d'un'altra distribuzione.
- Signor Yanez, - disse Sambigliong, - aspettano qualche cosa di
meglio quegli insaziabili ghiottoni.
- Daremo loro un uomo, - rispose il portoghese, guardando il pilota
che fissava cogli occhi smarriti le gole spalancate dei mostri, come se avesse
compreso che quell'uomo era lui.
- Signore, - balbettò, accostandosi a Yanez.
- Taci! - gli rispose questi seccamente.
- Che cosa volete fare di me?
- Lo saprai presto. A te, Sambigliong.
Il mastro annodò attorno ai fianchi del disgraziato malese una
solida corda, poi alzandolo bruscamente fra le poderose braccia, lo gettò fuori
dal bordo prima che avesse pensato ad opporre qualsiasi resistenza.
Padada aveva mandato un urlo terribile, credendo di cadere fra le
mascelle di quei formidabili rettili, invece rimase sospeso fra l'acqua ed il
bordo.
I gaviali, vedendo quella preda umana, con un balzo si erano
precipitati in acqua, nuotando velocemente verso la Marianna.
Il pilota, pazzo dal terrore, si dibatteva disperatamente girando
e rigirando su se stesso e mandando urla strozzate. Un'angoscia indescrivibile
traspariva dai suoi lineamenti spaventosamente alterati.
- Aiuto! Aiuto! Grazia! Salvatemi... - gridava, facendo sforzi supremi
per spezzare le corde che gli legavano le mani.
Yanez, in piedi sul capo di banda, aggrappato alla grisella di
babordo del trinchetto, lo guardava impassibilmente, mentre i gaviali tentavano
di afferrare la preda, slanciandosi più che mezzi fuori dell'acqua, con
poderosi colpi di coda.
- Se Padada non muore di spavento è un vero miracolo, - disse
Tangusa.
- Hanno la pelle dura i malesi, - rispose Yanez. - Lasciamolo
gridare un po'.
Il povero uomo gridava a squarciagola, peggio d'una scimmia rossa,
urlando sempre: - Aiuto! grazia! Mi raggiungono... grazia, signore!
Yanez fece cenno a Sambigliong di ritirare un po' la fune, essendo
un gaviale riuscito a toccare coll'estremità del muso la preda, poi, volgendosi
verso il pilota che continuava a dibattersi, raggrizzando più che poteva le
gambe:
- Vuoi che ti lasci cadere nelle gole dei boyo o che ti faccia
issare? La tua vita sta in mano tua.
- No... signore... issatemi... mi toccano... non posso più.
- Parlerai?
- Sì, parlerò... vi dirò tutto... tutto...
- Giuralo su Vairang kidul, giacchè è la protettrice dei
cacciatori di nidi di salangane.
- Lo giuro... signore...
- Ti avverto prima che, se quando ti avremo tirato su, ti
rifiuterai di confessarmi ogni cosa, ti getterò senz'altro fra le mascelle del
più grosso gaviale.
- Non ne ho alcun desiderio e...
- Continua, - disse Yanez.
- Quando avrò tutto confessato non mi ucciderete egualmente?
- Non so che cosa farne della tua pelle. Rimarrai prigioniero fino
al nostro ritorno, poi andrai a farti appiccare dove vorrai. Seguimi nel quadro
e anche tu, Tangusa.
Il malese a cui non pareva ancora vero di trovarsi vivo e che
batteva i denti pel terrore, che non gli era completamente passato, seguì,
senza farsi pregare, il portoghese ed il meticcio.
- Ed ora ascoltiamo la tua interessante confessione, - disse
Yanez, sdraiandosi su un divanetto e riaccendendo la sigaretta che aveva
lasciata spegnere, per meglio assistere ai salti dei gaviali ed ai
contorcimenti del pilota. - Bada che tu hai giurato e che io non sono uomo da
lasciarmi giocare, nè prendere a gabbo.
- Vi dirò tutto, padrone.
- Dunque sono stati i dayaki a mandarti incontro alla Marianna.
- Non posso negarlo, - rispose il malese.
- È stato il pellegrino.
- No, signore; io non ho mai parlato con quell'uomo.
- Chi è?
- Ma... sarebbe un po' difficile a dirlo, nè saprei dirvi da dove
sia piombato costui. È giunto qui alcune settimane or sono, con molte casse
piene d'armi e ben fornito di denaro, di ghinee e di fiorini olandesi.
- Solo?
- Lo credo.
- E che cosa ha fatto poi?
- Si è presentato ai capi tribù, i quali lo ricevettero con
deferenza, avendo in testa il turbante verde dei pellegrini che hanno visitato
il sepolcro del Profeta. Che cosa poi abbia narrato loro e promesso, io lo
ignoro. So solo che pochi giorni dopo, i dayaki erano tutti in armi e che
chiedevano la testa di Tremal-Naik, che fino allora era stato il loro
protettore.
- Ha regalato a quei fanatici imbecilli le armi?
- E anche molto denaro.
- È vero che un giorno una nave inglese è giunta alla foce del
Kabatuan e che quel pellegrino si è abboccato col comandante? - chiese Yanez.
- Sì, signore, anzi aggiungerò che durante la notte l'equipaggio
sbarcò altre casse piene d'armi.
- Non sai a che razza appartiene quell'uomo?
- No, signore: quello che vi posso dire è che la sua pelle è
oscura assai e che parla il bornese con difficoltà.
- Che mistero impenetrabile! - mormorò Yanez. - Mi romperò il capo
senza riuscire a schiarirlo.
Stette un momento silenzioso, come se si fosse immerso in un
profondo pensiero, poi chiese:
- Come avevano fatto a sapere che la Marianna giungeva in soccorso
di Tremal-Naik?
- Pare che sia stato un servo dell'indiano a informare i capi
dayaki ed il pellegrino.
- Quale incarico ti avevano dato?
Il malese ebbe una breve esitazione, poi rispose:
- Di arenare la vostra nave, innanzi tutto.
- Non mi ero dunque ingannato, dubitando di te. E poi?
- Lasciate che non confessi il resto.
- Parla liberamente: ti ho promesso di lasciarti la vita ed io non
manco alla mia parola.
- Di approfittare dell'assalto dei dayaki per incendiarvi la nave.
- Grazie della tua franchezza, - disse Yanez, ridendo. - Sicchè
avevano deciso la nostra morte?
- Sì, signore. Pare che il pellegrino abbia avuto qualche motivo
di dolersi delle tigri di Mompracem.
- Anche di noi! - esclamò Yanez, che cadeva di sorpresa in
sorpresa.
- Chi può essere costui? Noi non abbiamo mai avuto a che fare con
dei fanatici mussulmani.
- Non so che cosa dirvi, signore.
- Se è vero quello che ci hai narrato, quel miserabile ci insidierà
dovunque?
- Non vi lascerà tranquilli, badate a me e farà di tutto per
massacrarvi dal primo all'ultimo, - disse il pilota. - Io so che ha fatto
giurare ai capi dayaki di non risparmiarvi.
- E noi faremo il possibile per ucciderne più che potremo, è vero,
Tangusa?
- Sì, signor Yanez, - rispose il meticcio.
- Padada, - disse il portoghese, - sai tu che la fattoria di
Pangutaran sia già assediata?
- Non lo credo, signore, avendo il pellegrino radunate quasi tutte
le sue forze per schiacciare prima voi.
- Dunque la via che va dall'imbarcadero al kampong di Tremal-Naik
può essere libera.
- O almeno poco guardata.
- Quanto ti ha dato il pellegrino perchè tu mandassi la mia nave
sui banchi e me la incendiassi?
- Cinquanta fiorini e due carabine.
- Io te ne darò duecento se tu mi guidi al kampong.
- Accetto, signore, - rispose il malese, - e avrei accettato anche
senza alcun compenso, dovendovi la vita.
- Siamo ancora lontani dall'imbarcadero?
- Fra un paio d'ore vi giungeremo, è vero? - disse Tangusa
guardando il malese.
- Fors'anche prima.
Yanez sciolse le corde che stringevano le mani del prigioniero e
uscì, dicendo:
- Saliamo in coperta.
Sul fiume regnava ancora una gran calma e le acque si svolgevano
tranquille, fra due rive coperte di superbe felci arborescenti, di belle piante
di cycas, di pandanus, di casuarine e di palme, che spiegavano a ventaglio le
loro gigantesche foglie piumate.
Fra i rotangs che cadevano in festoni lungo i tronchi degli
alberi, vi erano delle siamang, quelle orride scimmie nere che hanno la fronte
bassissima, gli occhi infossati, la bocca enorme, il naso piatto e sotto la
gola un lungo gozzo che pende come una vescica gonfia, le quali saltellavano di
ramo in ramo, senza dimostrare alcuna preoccupazione. In acqua invece nuotavano
fra le erbe, numerose bewah, quelle gigantesche lucertole semi-acquatiche che
raggiungono sovente i due metri di lunghezza. Dei dayaki nessun indizio. Se
fossero stati vicini, i quadrumani non avrebbero mostrato tanta tranquillità,
essendo in generale estremamente diffidenti.
La Marianna, che s'avanzava assai lentamente aiutata anche dai
remi, non potendo il vento soffiare troppo liberamente fra quelle due immense
muraglie di verzura, continuò a salire indisturbata fino al mezzodì, poi si
arrestò dinanzi ad una specie di piattaforma che s'avanzava nell'acqua sorretta
da alcune file di pali.
- L'imbarcadero del kampong di Pangutaran, - avevano esclamato
simultaneamente il pilota e Tangusa.
- Giù le àncore e accosta, - aveva comandato subito il portoghese.
- Alle spingarde gli artiglieri.
Due ancorotti furono affondati e il veliero, spinto dalla
corrente, andò ad appoggiarsi all'imbarcadero ai cui pali fu legato.
Yanez era salito sulla murata, per accertarsi meglio che nessun
dayako si trovava imboscato su quella riva.
Che qui crudeli selvaggi vi fossero passati non vi era dubbio,
potendosi scorgere a breve distanza dall'imbarcadero gli avanzi di parecchie
capanne distrutte dal fuoco e una vasta tettoia semi-scoperchiata, coi pilastri
anneriti dal fumo e dalle fiamme.
- Pare che non vi sia nessuno qui, - disse Yanez, volgendosi verso
il meticcio che si era pure rizzato sulla murata.
- Non si aspettavano che noi giungessimo fino qui, - rispose Tangusa.
- Erano troppo sicuri di poterci fermare e massacrare alla foce del fiume.
- Quanto distiamo dal kampong!
- Un paio d'ore, signor Yanez.
- Facendo tuonare i cannoni da caccia, Tremal-Naik potrebbe
udirci?
- È probabile. Contate di partire subito?
- Sarebbe imprudenza. Aspettiamo la notte; passeremo più
facilmente e forse senza essere veduti.
- Quanti uomini prenderemo?
- Non più di venti. Mi preme che la Marianna non rimanga troppo
sprovvista. Se la perdessimo sarebbe finita, per tutti, anche per Tremal-Naik e
per Darma.
Frattanto noi faremo una breve esplorazione nei dintorni, per
accertarci che non ci si tenda qualche agguato. Questa tranquillità non mi
rassicura affatto.
Fece mettere in batteria le spingarde e i pezzi, volgendoli verso
l'imbarcadero, rizzando delle barricate formate con barili pieni di ferraccio,
onde meglio riparare gli artiglieri, quindi comandò di ammainare le vele sul
ponte, senza levarle dai pennoni onde la nave fosse pronta a salpare in pochi
minuti.
Terminati quei preparativi, Yanez, il meticcio ed il pilota,
scortati da quattro malesi dell'equipaggio, armati fino ai denti, scesero
sull'imbarcadero per fare una ricognizione nei dintorni, prima di avventurarsi
col grosso sotto le folte foreste che si estendevano fra la riva del fiume ed
il kampong di Pangutaran.
Una piccola radura, malamente dissodata, scorgendosi ancora i
tronchi degli alberi spuntare dal suolo, si estendeva dinanzi all'imbarcadero e
dietro agli avanzi di capanne e di tettoie risparmiate dall'incendio.
Al di là cominciava la grande e fitta foresta, composta per la
maggior parte d'immense felci arboree, di cycas, di durion e di casuarine, e
ingombra di rotangs di lunghezza smisurata che formavano delle vere reti.
Nessun rumore turbava il silenzio che regnava sotto quei maestosi
alberi. Solo, di quando in quando, fra il fogliame udivasi un debole grido
lanciato da qualche gek-kò, la lucertola cantatrice, o il pispiglio di qualche
chalcostetha, quei piccolissimi uccelli dai colori brillanti a riflessi
metallici che, in quelle isole malesi, tengono il posto dei tronchilichi
americani.
Yanez ed i suoi uomini, dopo essere rimasti qualche tempo in
ascolto, un po' rassicurati da quella calma e dal contegno pacifico d'una coppia
di scimmie buto sopra un banano, dopo aver fatto un giro intorno alle capanne,
si inoltrarono verso la foresta, esplorandone i margini per una larghezza d'un
mezzo miglio, senza trovare alcuna traccia dei loro implacabili nemici.
- Pare impossibile che siano scomparsi, - disse Yanez, a cui
riusciva inesplicabile quell'improvvisa tregua dopo tanto accanimento. - Che
abbiano rinunciato a tormentarci, dopo le batoste che hanno preso?
- Uhm! - fece il pilota. - Se il pellegrino aveva giurato la
vostra perdita, ritengo che farà il possibile per avere le vostre teste.
- Mettici anche la tua nel numero, - disse il portoghese. -
Torniamo a bordo e aspettiamo la notte.
Il ritorno lo compirono senza essere stati molestati,
confermandosi vieppiù nella supposizione che i dayaki non fossero ancora giunti
in quei dintorni.
Appena calato il sole, Yanez fece subito i preparativi della
partenza. Vi erano ancora a bordo trentasei uomini, compresi i feriti.
Ne scelse quindici, non volendo indebolire troppo l'equipaggio il
quale poteva, durante la sua assenza, venire assalito, e verso le nove, dopo
aver raccomandato a Sambigliong la più attiva sorveglianza onde non si facesse
sorprendere, ridiscendeva a terra con Tangusa, il pilota e la scorta.
Erano tutti formidabilmente armati, con carabine indiane di lungo
tiro e parangs, quelle terribili sciabole che con un solo colpo decapitano un
uomo, e ampiamente provvisti di munizioni, ignorando se Tremal-Naik ne avesse
tante da poter reggere anche ad un assedio.
- Avanti e soprattutto fate meno rumore che sia possibile, - disse
Yanez, nel momento in cui si cacciavano sotto i boschi. - Noi non siamo ancora
sicuri di trovare la via sgombra.
Si volse indietro per dare un ultimo sguardo al veliero, la cui
massa spiccava vivamente sulle acque del fiume, semi-confusa fra i vegetali che
crescevano sulla riva e senza sapere il perchè, provò una stretta al cuore.
- Si direbbe che ho un brutto presentimento, - mormorò con
inquietudine. - Che lo perda?
Scacciò l'importuno pensiero e si mise alla testa della scorta,
preceduto di pochi passi dal meticcio e dal pilota, i soli che potessero
orientarsi in mezzo a quel caos di enormi vegetali e fra le reti immense
formate dai nepentes, dai gomuti e dai rotangs.
Come al mattino un silenzio profondo regnava sotto quella infinita
volta di verzura, come se quella foresta fosse assolutamente priva di animali
feroci e di selvaggina. Persino gli uccelli notturni, quei grossi pipistrelli
pelosi, che sono così comuni nelle isole malesi, mancavano. Solo le lucertole
cantanti, che sono per lo più notturne, facevano udire di tratto in tratto il
loro lieve grido stridente.
Essendo il cielo coperto, un'afa pesante regnava sotto le immense
foglie, incrociantisi strettamente a trenta o quaranta metri dal suolo.
- Si direbbe che minaccia un uragano, - disse Yanez che respirava
con grande fatica.
- E scoppierà presto, signore, - rispose il meticcio. - Ho veduto
il sole tramontare fra una nuvola nerastra e giungeremo appena a tempo al
kampong.
- Se nessuno ci arresterà.
- Finora, signore, i dayaki non si sono mostrati.
- Purchè non li troviamo presso il kampong. Speriamo che abbiano
levato l'assedio.
- Non saranno tanti da opporre una seria resistenza, almeno pel
momento. Quelli che ci hanno aspettati alla foce del fiume forse non sono
ancora tornati.
- Se tardassero solo ventiquattro ore, non li temerei più, -
rispose Yanez. - La Marianna, con equipaggio rinforzato, diverrebbe
imprendibile. Avrà molti difensori Tremal-Naik?
- Suppongo che abbia potuto raccogliere una ventina di malesi,
signor Yanez.
- Avremo così un piccolo esercito che darà da fare a quel
maledetto pellegrino. Affrettiamo il passo e cerchiamo di giungere al kampong
prima che l'alba sorga.
La foresta non permetteva però che si avanzassero così rapidamente
come avrebbero desiderato, essendo caduti in mezzo ad una antica piantagione di
pepe che avvolgeva gli alberi in una rete assolutamente inestricabile.
Le grosse piante non erano riuscite a soffocare i sarmenti altissimi
i quali, ripiegandosi verso il suolo e collegandosi coi rotangs ed i calamus o
avvolgendosi intorno alle mostruose radici uscite dal suolo per mancanza di
spazio, formavano un intrecciamento colossale che opponeva una solida
resistenza.
- Mano ai parangs, - disse Yanez, vedendo che le due guide non
riuscivano a passare.
- Faremo rumore, - osservò il pilota.
- Non ho già alcuna voglia di tornarmene indietro.
- I dayaki possono udirci, signore.
- Se ci assalgono li riceveremo come si meritano. Affrettiamoci.
A colpi di sciabola riuscirono ad aprirsi un varco e sempre
sciabolando a destra ed a manca, continuarono ad inoltrarsi nell'interminabile
foresta.
Marciavano da un'ora, lottando ostinatamente contro le piante,
quando il pilota s'arrestò bruscamente, dicendo:
- Fermi tutti.
- I dayachì? - chiese sotto voce Yanez, che lo aveva subito
raggiunto.
- Non lo so, signore.
- Hai udito qualche cosa?
- Dei rami scricchiolare dinanzi a noi.
- Andiamo a vedere, Tangusa, e voi tutti rimanete qui e non fate
fuoco se io non vi do il segnale.
Si gettò a terra trovandosi dinanzi a un caos di radici e di
sarmenti e si mise a strisciare verso il luogo dove il malese asseriva d'aver
udito i rami scricchiolare.
Il meticcio gli si era messo dietro cercando di non far rumore.
Percorsero così una cinquantina di metri e s'arrestarono sotto le
enormi corolle d'un fiore mostruoso, un crubul che aveva una circonferenza di
oltre tre metri, e che tramandava un odore poco piacevole.
Essendovi intorno a quel fiore un po' di spazio libero, era facile
scoprire degli uomini che si avanzassero attraverso la foresta.
- Padada non si era ingannato, - disse Yanez, dopo essere rimasto
qualche po' in ascolto.
- Sì, qualcuno si avvicina, - confermò il meticcio.
- E questo cos'è? - chiese a un tratto Yanez.
In lontananza si udì in quel momento un rombo strano che pareva
prodotto dall'avanzarsi di qualche furgone o d'un treno ferroviario.
- Non è il tuono, - disse il portoghese.
- Non lampeggia ancora, - disse Tangusa.
- Si direbbe che un fiume ha rotto gli argini e straripa.
- Non è caduta ancora una goccia d'acqua e poi il Kabatuan è
lontano.
- Che cosa sarà?
- E s'approssima rapidamente, signore.
- Verso di noi?
- Sì.
- Taci!
Appoggiò un orecchio al suolo ed ascoltò nuovamente, trattenendo
il respiro.
La terra trasmetteva nettamente quel rombo inesplicabile che
pareva prodotto dal rapido avanzarsi di masse enormi.
- Non comprendo assolutamente nulla, - disse finalmente Yanez,
rialzandosi. - È meglio che ci ripieghiamo verso la scorta; chissà che il pilota
non ci spieghi questo mistero.
Sgusciarono sotto i giganteschi petali del crubul e rifecero il
cammino percorso, scivolando fra gli infinti sarmenti.
Quando raggiunsero il luogo ove avevano lasciati i loro uomini,
s'avvidero che anche la scorta era in preda ad una viva agitazione, udendosi
anche là quel fragore. Solo Padada pareva tranquillo.
- Da che cosa proviene questo baccano? - gli chiese Yanez.
- È una colonna di elefanti che fugge dinanzi a qualche pericolo,
signore, - rispose il pilota. - Saranno certamente moltissimi.
- Degli elefanti! E chi può aver spaventato quei colossi?
- Degli uomini, io credo.
- Che i dayaki si avanzino da ponente? È di là che il fragore
viene.
- È quello che pensavo anch'io.
- Che cosa mi consigli di fare?
- Di allontanarci al più presto.
- Non incontreremo gli elefanti sulla nostra via?
- È probabile, ma basterà una scarica per farli deviare. Hanno una
paura incredibile quei colossi degli spari, non essendovi abituati.
- Avanti dunque, - comandò il portoghese, con voce risoluta. -
Dobbiamo giungere al kampong prima che vi arrivino i dayaki.
Si rimisero frettolosamente in cammino sciabolando i rotangs ed i
calamus, mentre il fragore aumentava rapidamente d'intensità.
Il pilota doveva aver indovinato giusto. Fra il fracasso
assordante prodotto dall'incessante crollare delle piante, abbattute dai
poderosi ed irresistibili urti di quelle enormi masse lanciate a galoppo
sfrenato, si cominciavano a udire dei barriti. Quei pachidermi dovevano essere
spaventati da qualche grossa truppa d'uomini, non fuggendo ordinariamente
dinanzi ad un drappello di cacciatori.
Dovevano essere state le bande dei dayaki a metterli in rotta.
Yanez e i suoi uomini affrettavano il passo, temendo di venire
travolti nella pazza corsa di quei pachidermi.
Avendo trovato degli spazi liberi, si erano messi a correre,
guardandosi con spavento alle spalle, credendo di vedersi rovinare addosso quei
mostruosi animali. Anche Yanez appariva preoccupato.
Avevano raggiunta una macchia formata quasi esclusivamente di
enormi alberi della canfora, che nessuna forza avrebbe potuto atterrare, avendo
quelle piante dei tronchi grossissimi, quando il pilota per la seconda volta si
arrestò, dicendo precipitosamente:
- Gettatevi sotto queste piante che sono sufficienti a
proteggerci. Ecco che giungono!
Si erano appena lasciati cadere dietro a quei tronchi colossali
quando si videro apparire i primi elefanti.
Sbucavano a corsa sfrenata da una macchia di sunda-matune, gli
alberi della notte, così chiamati perchè i loro fiori non si schiudono che dopo
il tramonto del sole e dei quali dovevano aver fatta una vera strage nella
carica furibonda.
Quei colossi, che parevano pazzi di terrore, piombarono di colpo
su un ammasso di giovani palme che sbarrava loro la via e le abbatterono come
se una falce immensa, manovrata da qualche titano, fosse scesa su quelle
piante.
Non era che l'avanguardia quella, poichè pochi istanti dopo si
rovesciò su quello spazio il grosso, con clamori spaventevoli.
Erano quaranta o cinquanta elefanti, fra maschi e femmine, che si
urtavano fra loro confusamente, cercando di sorpassarsi. Le loro formidabili
trombe percuotevano con impeto irresistibile alberi e cespugli, tutto
abbattendo.
Vedendone alcuni che pareva volessero scagliarsi verso gli alberi
della canfora, Yanez stava per far eseguire una scarica, quando vide dei punti
luminosi apparire dietro ai pachidermi che descrivevano delle fulminee
parabole.
- Silenzio! Che nessuno si muova! I dayaki! - aveva esclamato
Padada.
Parecchi uomini, quasi interamente nudi, correvano dietro agli
elefanti, scagliando sui loro dorsi dei rami resinosi accesi, che subito
raccoglievano appena caduti, tornando a lanciarli.
Non erano che una ventina, tuttavia i pachidermi, atterriti da
quella pioggia di fuoco che cadeva loro addosso senza posa, non osavano
rivoltarsi, mentre con una sola carica avrebbero potuto spazzare e stritolare
quel piccolo gruppo di nemici.
- Non muovetevi e non fate fuoco! - aveva ripetuto
precipitosamente Padada.
Gli elefanti erano già passati, urtando i primi tronchi della
macchia, senza che quelle colossali piante avessero fortunatamente ceduto ed
erano scomparsi nel più folto della foresta, sempre perseguitati dai dayaki.
- Che siano cacciatori? - chiese Yanez quando il fragore si
perdette in lontananza.
- Che cacciavano noi, - rispose il malese. - La nostra discesa a
terra è stata notata da qualcuno che sorvegliava l'imbarcadero e non essendo
probabilmente in numero sufficiente i dayaki che si trovavano nei dintorni, ci
scagliano addosso gli elefanti. Vedrete che faranno percorrere a quei colossi
tutta la foresta, colla speranza che c'incontrino sulla loro corsa e ci
travolgano.
- Possiamo quindi rivederli ancora?
- È probabile, signore, se non ci affrettiamo a lasciare questa
boscaglia ed a rifugiarci nel kampong di Pangutaran.
- Siamo lontani molto ancora?
- Non ve lo saprei dire, essendo questa parte della foresta così
intricata, da non poterci nè orientare, nè correre troppo. Tuttavia suppongo
che giungeremo prima dell'alba.
- Prima che gli elefanti ritornino, andiamocene. Non si trovano
sempre degli alberi della canfora per proteggerci. Mi stupisce però una cosa.
- Quale, signore?
- Come quei selvaggi abbiano potuto radunare tanti animali.
- Li avranno incontrati per caso non essendo domatori come i mahut
siamesi o i cornac indiani, - disse Tangusa, che assisteva al colloquio.
- Non è raro, in queste foreste, trovare delle truppe di cinquanta
e anche di cento capi.
- E si presteranno a quel giuoco?
- Continueranno a scappare finchè i dayaki avranno fiato e non
cesseranno di perseguitarli coi tizzoni accesi.
- Non credevo che quei bricconi fossero così furbi. Amici, al
trotto!
Lasciarono la macchia che li aveva così opportunamente protetti da
quella carica spaventevole e si cacciarono entro altri macchioni formati per la
maggior parte di alberi gommiferi, di dammeri e di sandracchi, cercando alla
meglio di orientarsi, non potendo scorgere le stelle, tanto era folta la cupola
di verzura che copriva la foresta.
Fortunatamente le piante non crescevano così l'una presso
all'altra ed i cespugli e i rotangs erano rari, sicchè potevano marciare più
celermente e correre anche meno rischi di cadere in qualche agguato.
In lontananza il fragore prodotto dagli elefanti lanciati in piena
corsa si udiva ancora, ora intenso ed ora più debole.
I poveri animali ora cacciati da una parte, ora respinti verso
l'altra, facevano il giuoco dei dayaki, i quali sapevano abilmente guidarli
dove desideravano, colla speranza che sorprendessero il drappello in qualche
luogo dell'immensa foresta.
Padada e il meticcio, sapendo ormai di che si trattava, si
regolavano a tempo per tenersi sempre lontani da quel pericolo, conducendo il
drappello in direzione opposta a quella seguìta dai pachidermi.
Dopo una buona mezz'ora parve finalmente che i dayaki, convinti
che le tigri di Mompracem non si trovassero in quella parte della selva,
spingessero gli elefanti verso il fiume, poichè il fragore prodotto da quella
carica furibonda si allontanò verso il sud, finchè cessò completamente.
- Ci credono ancora lontani dal kampong, - disse il pilota, dopo
d'aver ascoltato per qualche po'. - Vanno a cercarci verso il Kabatuan.
- Quanta ostinazione in quei furfanti, - disse Yanez. - È proprio
una guerra a morte che ci hanno dichiarata.
- Eh, signor mio, - rispose Padada, - sanno bene che se noi
riusciamo a unirci a Tremal-Naik, l'espugnazione del kampong diverrà
estremamente difficile.
- Io glielo lascio il kampong; non ho alcuna intenzione di stabilirmi
qui. Ho l'ordine di condurre a Mompracem Tremal-Naik e sua figlia e non già di
fare la guerra al pellegrino, almeno per ora. Più tardi vedremo.
- Rinunziate a sapere chi è quell'uomo misterioso che ha giurato
un odio implacabile contro tutti voi?
- Non ho ancora pronunciato l'ultima parola, - rispose Yanez, con
un sorriso. - Un giorno faremo i conti con quel messere. Per ora mettiamo in
salvo l'indiano e la sua graziosa fanciulla. Dove siamo ora? Mi pare che la
foresta cominci a diradarsi.
- Buon segno, signore. Il kampong di Pangutaran non deve essere
molto lontano.
- Fra poco troveremo le prime piantagioni, - disse il meticcio che
da qualche minuto osservava attentamente la foresta. - Se non m'inganno siamo
presso il Marapohe.
- Che cos'è? - chiese Yanez.
- Un affluente del Kabatuan, che segna il confine della fattoria.
Alt, signori!
- Che cosa c'è?
- Vedo dei fuochi brillare laggiù! - esclamò Tangusa.
Yanez aguzzò gli sguardi e attraverso uno squarcio delle piante,
ad una distanza considerevole, vide brillare nelle tenebre un grosso punto
luminoso che non doveva essere un semplice fanale.
- Il kampong! - chiese.
- O un fuoco degli assedianti? - disse invece Tangusa.
- Dovremo dare battaglia prima di entrare nella fattoria?
- Prenderemo il nemico alle spalle, signore.
- Tacete, - disse in quel momento il pilota, che si era avanzato
di alcuni passi.
- Che cosa c'è ancora? - chiese Yanez, dopo qualche minuto.
- Odo il fiume rompersi contro le rive. Il kampong si trova
dinanzi a noi, signore.
- Attraversiamolo, - rispose Yanez risolutamente, - e piombiamo
sugli assedianti a passo di carica. Tremal-Naik ci aiuterà dal canto suo come
meglio potrà.
Cinque minuti dopo il drappello guardava silenziosamente il
fiumicello che era scarsissimo d'acqua e si radunava sulla riva opposta che era
priva d'alberi.
Una vasta pianura, interrotta solo da qualche gruppetto di palme e
di pombo, si estendeva al di là, spingendosi verso una grossa costruzione sopra
la quale si scorgeva una specie di torricella che pareva un osservatorio.
Cominciando appena appena allora a diradarsi le tenebre, non era
ancora permesso discernere che cosa veramente fosse, ma il pilota e il meticcio
non avevano bisogno della luce per sapere dove si trovavano.
- Il kampong di Pangutaran! - avevano esclamato ad una voce.
- E coi dayaki intorno, - aveva aggiunto Yanez, aggrottando la
fronte. - Che il grosso delle loro forze sia giunto prima di noi?
Infatti numerosi fuochi, disposti in forma di semi-cerchio,
ardevano dinanzi alla fattoria, come se i terribili tagliatori di teste
avessero stabilito un grande campo.
Tutti si erano arrestati, guardando con ansietà quei falò e
cercando di rendersi conto delle forze degli assedianti.
- Eccoci in un bell'impiccio, - mormorava Yanez. - Sarebbe
un'imprudenza avventarsi alla cieca contro forze che potrebbero essere venti
volte superiori e d'altronde sarebbe una follia aspettare l'alba. Mancherebbe
la sorpresa e potremmo venire ricacciati.
- Signore, - disse il pilota in quel momento. - Che cosa decidete?
- Credi che siano molti gli assedianti?
- A giudicarlo dal numero dei fuochi si potrebbe crederlo. Volete
che vada ad accertarmi delle loro forze?
- Yanez lo guardò con diffidenza.
- Sospettate di me, è vero? - disse il malese, sorridendo. - Avete
ragione: fino a ieri io ero un vostro nemico. Eppure avete torto: ormai ho
rotto tutto con quegli uomini e preferisco essere contato fra i vostri uomini
che sono malesi al pari di me, anzichè con quei selvaggi.
- Potrai essere di ritorno prima che il sole sorga?
- Non comparirà prima di mezz'ora ed io vi prometto di essere di
ritorno fra dieci minuti.
- Dammi dunque una prova della tua fedeltà, - disse Yanez.
- L'avrete, signore.
Il malese si fece dare un parang, fece un gesto d'addio e si
allontanò, gettandosi in mezzo ad una piantagione di zenzero che gli assedianti
non avevano ancora distrutta.
Yanez, coll'orologio alla mano contava i minuti. Temeva vivamente
che il pilota tardasse, e che la luce si diffondesse prima del suo ritorno,
rendendo impossibile una sorpresa.
Ne aveva contati sei, quando Padada comparve, correndo a corsa
sfrenata.
- Ebbene? - chiese Yanez, muovendogli incontro.
- Il grosso che ha operato contro di noi alla foce del fiume non è
ancora giunto. Gli assedianti non sono più d'un centinaio e le loro file sono
così deboli da non poter resistere ad un urto improvviso.
- Hanno armi da fuoco?
- Sì, signore.
- Bah! Sappiamo come se ne servono.
Si volse verso i suoi uomini che lo avevano raggiunto e aspettavano
il comando di dare addosso ai nemici.
- Date dentro a corpo perduto, - disse loro. - Le tigri di
Mompracem mostrino in quale conto tengono questi tagliatori di teste.
- Quando ce l'ordinerete, noi sfonderemo tutto, signor Yanez, -
rispose il più vecchio. - Voi sapete che noi non abbiamo mai avuto paura.
- Accostiamoci in silenzio e prendiamoli alle spalle. Non farete
fuoco se non quando lo comanderò io. Formiamo la colonna d'assalto.
Si disposero su una doppia fila, mettendo dinanzi i più valorosi,
poi il drappello si cacciò silenziosamente in mezzo ai zenzeri che erano
abbastanza alti per coprirli.
Yanez si era gettata la carabina a tracolla, ed aveva sfoderata la
scimitarra e levata dalla fascia una ricca pistola indiana a due colpi, dalle
canne lunghissime.
La traversata della piantagione fu compiuta così celermente che
quattro minuti dopo giungevano a ottanta passi dagli assedianti.
I dayaki, sicuri di non venire assaliti, bivaccavano in gruppetti
di quattro o cinque persone, attorno al falò.
Trecento metri più oltre s'alzava il kampong. Era una specie di
kotta, ossia di fortezza bornese, costituita da un corpo di fabbricati,
circondato da larghi panconi di durissimo legno di tek, capaci di opporre una
solida resistenza anche ai piccoli lilà se non ai mirim e da un folto boschetto
di piante spinose che non permetteva di prenderla d'assalto ad uomini quasi
nudi e privi soprattutto di scarpe.
Sul fabbricato principale, una casa di bella apparenza, che
ricordava i bengalow indiani, s'alzava una sottile torretta di legno, una
specie di minareto arabo, sulla cui cima brillava una grossa lanterna.
- Tangusa, - disse Yanez, che aveva fatto coricare i suoi uomini,
volendo prima rendersi un conto esatto della situazione in cui trovavasi la
fattoria, - dove si trova il passaggio?
- Di fronte a noi, signore.
- Non cadremo in mezzo alle spine?
- Vi guido io.
- Siete pronti? - chiese Yanez rivolgendosi ai pirati.
- Pronti tutti, capitano.
- Caricate al grido "Viva Mompracem!" onde non corriamo
il pericolo di farci fucilare dai difensori del kampong. Avanti!
I diciotto uomini si erano slanciati a corsa sfrenata, piombando
sul gruppo più vicino. Nessuno poteva ormai più trattenere le terribile tigri
della Malesia: nè artiglierie, nè fucili, nè armi bianche.
Con una scarica fulminarono i cinque o sei dayaki che avevano
abbandonato precipitosamente il falò attorno a cui bivaccavano, poi
attraversarono come un lampo la debole linea d'assedio, continuando a sparare e
urlando a squarciagola:
- Viva Mompracem!
I tagliatori di teste, sorpresi da quell'improvviso assalto, che
erano ben lungi dall'aspettarsi, non avevano nemmeno tentato di opporre
resistenza, sicchè l'animoso drappello potè gettarsi dentro il boschetto
spinoso che copriva la cinta.
Degli uomini erano comparsi sulle difese interne armati di fucili.
Pareva che si preparassero a far fuoco, quando una voce imperiosa gridò:
- Fermi! Sono amici! Aprite la porta!
- Ohe, amico Tremal-Naik, - gridò Yanez con voce giuliva. - Non
abbiamo affatto bisogno del piombo noi. Ne abbiamo avuto già abbastanza di
quello dei dayaki.
- Yanez! - esclamò l'indiano, con una vera esplosione di gioia.
- Chi credevi che fosse dunque?
- Alzate la saracinesca! Lesti! I dayaki tornano alla riscossa!
Una enorme tavola di legno di tek, pesante come fosse di ferro, fu
innalzata da parecchi uomini mediante funi sospese a grosse carrucole e le
tigri di Mompracem col pilota ed il meticcio, si precipitarono entro il
kampong, mentre i difensori della cinta salutavano gli assedianti con due colpi
di spingarda e un violentissimo fuoco di fucileria.
Un uomo di statura piuttosto alta, un po' attempato, avendo i
baffi ed i capelli brizzolati, di taglia però ancora elegante ed insieme
vigorosa, dai lineamenti fini, la pelle un po' abbronzata e gli occhi
nerissimi, aveva aperte le braccia per stringere il portoghese.
Non indossava il costume dei ricchi bornesi, bensì quello degli
indiani modernizzati i quali hanno ormai rinunciato al doote e alla dubgah pel
costume anglo-indù, più semplice e più comodo, consistente in una giacca di
tela bianca con alamari di seta rossa, fascia larghissima ricamata in oro e
calzoni strettissimi pure bianchi e turbantino.
- Qui, sul mio petto, amico Yanez! - aveva esclamato, abbracciandolo
strettamente. - È destinato che debba sempre ricorrere alla generosità ed al
valore delle invincibili tigri di Mompracem. Come sta la Tigre della Malesia?
- Muore di salute.
- E la tua Surama?
- Mi ama sempre intensamente. E Darma dov'è che non la vedo?
- La tigre o mia figlia?
- L'una e l'altra, giacchè mi scordavo della tua brava bestia.
- Mia figlia dorme in questo momento e la tigre marcia verso la
costa con Kammamuri.
- Come! il maharatto non è qui? - esclamò Yanez.
- Temendo che Tangusa non avesse potuto raggiungervi o guidarvi
qui, egli è partito nonostante i miei consigli, con una piccola scorta e forse
a quest'ora, se è riuscito a sfuggire ai dayaki, si è imbarcato per Mompracem.
- Lo ritroveremo più tardi.
- Vieni, amico, - disse Tremal-Naik. - Non è questo il luogo per
scambiarci le nostre confidenze. Olà, Tangusa, fa' gli onori di casa e prepara
da mangiare e da bere alle tigri di Mompracem.
S'avviò verso il bengalow che s'alzava fra alcune immense tettoie
piene di prodotti agricoli ed una doppia linea di capanne ed introdusse l'amico
in una stanza pianterrena che era illuminata da una bella lampada indiana, i
cui vetri azzurrognoli attenuavano la luce. Tremal-Naik non aveva rinunciato ai
suoi gusti di bengalese. Ed infatti la stanza era arredata con mobili indiani,
leggeri sì, ma elegantissimi e tutto all'intorno aveva quei bassi e comodi
divani che si vedono in tutte le ricche abitazioni degli adoratori di Brahma,
di Siva o di Visnù.
- Un buon bicchiere di bram innanzi tutto, - disse l'indiano,
empiendo due bicchieri con quell'eccellente liquore composto con riso
fermentato, zucchero e succhi di varie palme che lo profumano. - Arresta il
sudore.
- Ed io sono inzuppato, come un cavallo che ha percorse dodici
leghe tutte d'un fiato. Non sono più giovane, amico mio, - disse Yanez,
vuotando poi d'un fiato il bicchiere. - Ed ora spiegami questo mistero.
- Una domanda prima di tutto, se me lo permetti. Come sei giunto?
- Colla Marianna e dopo d'aver forzata la foce del fiume. Più
tardi ti narrerò i particolari di quella lotta.
- Dove l'hai lasciata?
- All'imbarcadero.
- È numeroso l'equipaggio?
- Ha forze uguali alle mie.
Tremal-Naik era diventato meditabondo ed inquieto.
- Sono uomini capaci di difendere il mio veliero, - disse Yanez
che se n'era accorto.
- Sono molti i dayaki, più di quanti credevo e soprattutto ben
armati e anche bene esercitati.
- Dal pellegrino?
- Sì, Yanez.
- L'avrai veduto, tu, quel briccone.
- Io? Mai!
- Non sai nemmeno tu chi è? - chiese Yanez al colmo dello stupore.
- No, - rispose Tremal-Naik. - Io gli ho mandato un messo due
settimane or sono, pregandolo di presentarsi da me per spiegarmi i motivi del
suo odio, promettendogli salva la vita.
- E lui si è guardato bene dall'obbedire?
- Mi ha fatto rispondere invece che andassi io da lui onde
consegnargli la mia testa unitamente a quella di mia figlia.
- Tanta audacia ha avuto quel miserabile! - esclamò Yanez,
indignato. - Udiamo: hai mai offeso qualche capo dayako? Quei tagliatori di
teste sono ferocemente vendicativi.
- Io non ho mai fatto male a nessuno, e poi quell'uomo non è un
dayako, - rispose l'indiano.
- Chi è dunque?
- Alcuni affermano che sia un vecchio arabo fanatico, altri un
negro e altri ancora un indiano.
- Eppure ci deve essere un gran motivo per odiarti tanto.
- Certo, ma più ci penso meno riesco a scoprirlo, ed invano
tormento il mio cervello. Mi è venuto perfino un sospetto.
- Quale?
- È così assurdo che rideresti se te lo dicessi. - disse
Tremal-Naik.
- Gettalo fuori.
- Che potesse essere qualche thug.
Yanez invece di accogliere quelle parole con un sorriso, come
l'indiano s'aspettava, era diventato lievemente pallido.
- Sei ben certo, Tremal-Naik, - disse poi con voce grave, - che
tutti i luogotenenti di Suyodhana, il capo degli strangolatori, siano stati
uccisi da noi nelle caverne di Raimangal o dagli inglesi nelle stragi di Delhi?
Chi ce lo assicura?
- E tu vorresti che quel qualcuno avesse pensato a vendicare
Suyodhana dopo undici anni?
- Tu hai provata la tenacia ed hai pure provato l'odio implacabile
di quegli assassini. Tu sei stato la causa della loro fine.
Tremal-Naik era tornato a diventare pensieroso ed il suo viso
tradiva una profonda angoscia. Ad un tratto, fece un gesto come per cacciare
via qualche visione, poi disse:
- No, è impossibile, è assurdo. I thugs, ammesso che ve ne siano
ancora in India, non avrebbero atteso tanto. Quel pellegrino deve essere
qualche furfante che cerca d'imporsi ai dayaki per fondarsi qualche sultania e
che finge di odiarmi. Avrà fatto spargere la voce che io non sono un
mussulmano, che io sono forse un nemico dei dayaki, una creatura inglese
incaricata di soggiogarli o qualche cosa d'altro per mandarmi via di qui. Sarà
tutto quello che vorrai, anche un vero fanatico, ma non un thug.
- Sia come vuoi tu, ma mi pare che tu ti trovi in una non bella
condizione. Hai perdute tutte le fattorie?
- Le hanno saccheggiate e poi arse.
- Sarebbe stato meglio che tu fossi rimasto con noi a Mompracem.
- Volevo tentare di colonizzare queste coste e incivilire questi
barbari.
- E hai fatto un buco nell'acqua, - disse Yanez, ridendo.
- Purtroppo.
- E ci rimetterai qualche centinaio di migliaia di rupie. Meno
male che le tue fattorie del Bengala possono pagare le spese. Quando
sgombreremo?
- Ti chiedo solo ventiquattro ore, - rispose Tremal-Naik, - per
poter raccogliere il meglio che posseggo, poi daremo fuoco a tutto e
raggiungeremo la tua nave.
- E correremo al più presto verso Mompracem, - disse Yanez. - La
nostra presenza è necessaria laggiù.
Aveva pronunciate quelle parole con un tono così grave, che
l'indiano ne fu colpito.
- C'è qualche cosa in aria? - chiese.
- Ma... non si sa ancora. Corrono delle voci che inquietano la
Tigre della Malesia.
- E quali?
- Che gli inglesi abbiano intenzione di farci sloggiare da
Mompracem. È un po' di tempo che tutti gli atti di pirateria che succedono
lungo le coste occidentali dell'isola li addebitano a noi, quantunque da molti
anni i nostri prahos dormano sulle loro àncore. Dicono che la nostra presenza
incoraggia i pirati costieri e che noi direttamente o indirettamente li
aizziamo contro le navi che si recano a Labuan. Frottole, ma già tu conosci la
doppiezza del leopardo inglese.
- E anche la sua ingratitudine, - disse l'indiano. - Ecco come
vorrebbero compensarci d'aver liberata l'India dalla setta dei thugs. E
Sandokan cederebbe?
- Lui! Ah! Quell'uomo è capace di gettare il guanto di sfida
contro tutta l'Inghilterra e di...
Un lontano colpo di cannone gli aveva interrotta la frase.
- Hai udito? - esclamò, balzando in piedi in preda ad una
vivissima agitazione.
- Sì, il cannone tuona verso il sud.
- I dayaki attaccano la Marianna!
- Seguimi sull'osservatorio, Yanez, - disse Tremal-Naik. - Di
lassù potremo udire meglio da quale parte giungono gli spari.
I due uomini, visibilmente impressionati, uscirono dalla stanza e,
salita una scala, si trovarono su una delle terrazze del bengalow su cui si
alzava la torricella o meglio il minareto, essendo altissimo e sottilissimo,
con una piccola gradinata esterna.
In pochi istanti raggiunsero la cima che terminava in una piccola
piattaforma circolare, su cui trovavasi una grossa spingarda dalla canna
lunghissima che doveva battere da quell'altezza tutti i punti dell'orizzonte.
Il sole erasi già alzato diffondendo sulla pianura i suoi raggi
dorati, appena sorti e già subito ardentissimi, non essendovi in quelle regioni
nessuna frescura, nemmeno nelle prime ore del mattino.
I dayaki che assediavano il kampong, coll'apparire della luce, si
erano allontanati di sei o settecento metri, riparandosi dietro ai grossi
tronchi d'alberi appositamente abbattuti onde servirsene a modo di trincee
mobili, potendo farli scorrere innanzi o indietro, a loro piacimento.
Pareva che durante la notte fossero aumentati di numero, perchè
Tremal-Naik, appena ebbe lanciato uno sguardo all'ingiro, non potè trattenersi
dall'esclamare: - Ieri sera non ve n'erano tanti intorno a noi.
Yanez stava per chiedergli qualche cosa, quando un secondo colpo
di cannone si udì rimbombare in lontananza, ripercuotendosi contro le cinte del
kampong.
- Questo rombo viene dal sud! - esclamò il portoghese. - Sono i
cannoni da caccia della Marianna che tirano. I dayaki hanno assalito i miei
uomini.
- Sì, - confermò l'indiano, - viene dalla parte del Kabatuan.
Credi che possano respingere il nemico, coi pezzi che hanno a loro
disposizione?
- Bisognerebbe conoscere il numero degli assalitori. Di quali
forze dispone quel maledetto pellegrino?
- Ha fanatizzato quattro tribù e ognuna deve avergli fornito non
meno di centocinquanta guerrieri.
- E armati di fucili?
- Sì, Yanez. Quell'uomo misterioso ha portato con sè un vero
arsenale e perfino dei lilà e dei mirim. Toh! Un altro colpo!
- E queste sono le spingarde! - esclamò Yanez, facendo un gesto di
rabbia.
Dalla parte dell'immensa foresta che si estendeva verso il sud,
giungevano ad intervalli delle detonazioni più leggere e più secche che
dovevano essere prodotte da pezzi a canna lunga.
Poi gli spari aumentarono rapidamente d'intensità, formando un
rimbombo incessante, come se molti pezzi d'artiglieria e molte spingarde
sparassero insieme.
Yanez era diventato pallido e nervosissimo. Passeggiava intorno
alla piattaforma come un leone in gabbia, interrogando ansiosamente cogli
sguardi tutti i punti dell'orizzonte. Anche l'indiano era in preda ad una
sovraeccitazione vivissima.
I colpi si succedevano intanto ai colpi. Una battaglia furiosa,
terribile, doveva essersi impegnata sul fiume fra il poco numeroso equipaggio
della Marianna e le grosse forze del misterioso pellegrino.
- E non cessa! - esclamava Yanez, che non si tratteneva più. - Se
fossi là io!
- Sambigliong è un valoroso che non si arrenderà, - rispose
Tremal-Naik. - È una vecchia tigre che la sa lunga e che sa difendersi.
- Non vi sono che sedici uomini validi a bordo, mentre i dayaki
possono essere tre o quattrocento e forniti anche essi d'artiglieria.
- Dunque tu dubiti che la Marianna possa resistere? - chiese
Tremal-Naik con angoscia. - Se la prendessero sarebbe finita anche per noi. E
mia figlia?
- Adagio, amico, - rispose Yanez. - I dayaki troveranno qui un
osso ben duro da rodere. Ho osservato attentamente il tuo kampong e mi sembra
assai robusto. Tu sai che i selvaggi generalmente si trovano imbarazzati
dinanzi ad un ostacolo che frena il loro slancio. Per Giove! Ed il cannone non
cessa! Si massacrano laggiù. Quanti uomini hai?
- Una ventina.
- Tutti malesi?
- Fra malesi e giavanesi, - rispose Tremal-Naik.
- Quaranta uomini, chiusi da una cinta così solida, possono dare
del filo da torcere a quei furfanti. Sei ben provvisto?
- Ho viveri e munizioni in abbondanza.
- Signor Yanez! Buon giorno! - disse in quel momento una giovane,
comparendo sulla piattaforma.
Il portoghese aveva mandato un grido:
- Darma!
Una bellissima fanciulla di forse quindici anni, dal corpo
flessuoso come una palma, con lunghi capelli neri, un po' inanellati, la pelle
del viso leggermente abbronzata e vellutata come quella delle donne indiane, ma
assai più chiara, i lineamenti perfetti che sembravano più caucasici che indù,
si era fermata dinanzi al portoghese, fissandolo coi suoi occhi neri e
scintillanti come carbonchi.
Indossava un costume mezzo europeo e mezzo indiano, che le dava
una grazia unica, composta d'un busticino di broccatello, con ricami d'oro,
d'un'ampia fascia di cascemir che le cadeva sulle anche ben arrotondate e d'una
sottanina piuttosto corta che lasciava vedere i calzoncini di seta bianca che
le scendevano fino sulle scarpettine di pelle rossa, a punta rialzata.
- Ben felice di rivedervi, signor Yanez, - riprese la fanciulla,
tendendogli una manina da fata. - Sono due anni che vi abbiamo lasciato.
- Abbiamo sempre da fare laggiù, a Mompracem.
- Medita sempre spedizioni la Tigre della Malesia? Che uomo
terribile, - disse Darma sorridendo. - Ah... il cannone! Non udite?
- È già mezz'ora che rimbomba, figlia mia, - disse Tremal-Naik, -
e annunzia forse una grave disgrazia.
- Chi è che fa fuoco, padre?
- Sono le tigri di Mompracem.
- Che difendono la mia nave, - aggiunse Yanez. - Tacete! Mi pare
che i colpi rallentino! E non poter vedere nulla!
Si erano tutti curvati sul parapetto della piattaforma, ascoltando
ansiosamente.
Non si udivano più che a rari intervalli le secche detonazioni delle
spingarde e la cupa voce dei pezzi da caccia.
Ad un tratto si fece un gran silenzio, come se la battaglia fosse
bruscamente cessata.
- Hanno vinto o sono stati schiacciati? - si chiese Yanez che si
sentiva bagnare la fronte di sudore.
Ad un tratto una formidabile detonazione attraversò gli strati
d'aria e si propagò con tale intensità che la torre tremò dalla base alla cima.
Yanez aveva mandato un grido, mentre Tremal-Naik e Darma erano diventati
pallidissimi.
- Mio Dio, che cosa è successo? - chiese la fanciulla.
- La mia Marianna deve essere saltata in aria, - rispose Yanez con
voce rotta. - Poveri i miei uomini!
Un dolore intenso traspariva sul viso del portoghese, mentre
qualche cosa di umido brillava nei suoi occhi.
- Yanez, - disse Tremal-Naik, con voce affettuosa, - noi non
abbiamo ancora la certezza che la tua nave sia saltata.
- Questo rombo spaventevole non può essere stato prodotto che
dallo scoppio della santabarbara, - rispose il portoghese. - Io che ne ho
vedute saltare tante delle navi, non mi posso ingannare. Che la Marianna sia
calata a fondo non me ne importa, avendo noi a Mompracem velieri in buon
numero. Sono i miei uomini che rimpiango.
- Possono avere lasciata la nave prima che scoppiasse. Chissà,
forse sono stati essi stessi a dar fuoco alle polveri onde non cadere nelle
mani dei dayaki.
- Può essere vero, - rispose Yanez, che aveva riacquistata la sua
calma.
- Vi era qualcuno a bordo che sapesse dove si trova il mio
kampong?
- Sì, il corriere che ti abbiamo mandato sei mesi fa.
- Quell'uomo allora, se è sfuggito alla morte, potrebbe condurre
qui i superstiti.
- E passare attraverso le file dei dayaki! Ecco un'impresa che
sarà ben difficile per così pochi uomini. E poi, quand'anche giungessero qui,
la nostra situazione non migliorerebbe.
- È vero, - rispose l'indiano. - Come potremo scendere il fiume
senza la tua nave?
- Cercheremo dei canotti, padre, - disse Darma.
- Per esporsi ad un fuoco incessante senza alcun riparo? Chi
giungerebbe vivo alla foce del fiume?
- Guarda i dayaki, - disse in quel momento Yanez.
Gli assedianti, che dovevano aver pure udito quello scoppio
formidabile e anche quel vivo cannoneggiamento, avevano abbandonate le loro
trincee mobili, ritirandosi verso le foreste che circondavano la pianura, come
se avessero l'intenzione di togliere il blocco.
- Se ne vanno, padre! - esclamò Darma. - Che abbiano compreso che
era inutile ostinarsi contro questo kampong?
- Yanez, - disse Tremal-Naik, - che il pellegrino sia stato invece
sconfitto e che abbia mandato qui qualche corriere per far ritirare gli
assedianti?
- O che cerchino di trarci in qualche agguato? - chiese invece il
portoghese.
- In qual modo?
- Colla speranza che noi approfittiamo della loro ritirata per
abbandonare il kampong e poi assalirci in piena foresta con tutte le loro
forze. No, mio caro Tremal-Naik, non sarò così sciocco io, da abboccare
all'amo. Finchè non sapremo la sorte toccata alla mia Marianna, noi non
lasceremo questa fattoria dove potremo difenderci lungamente, nel caso che il
mio equipaggio sia stato distrutto. Mettiamo qui una sentinella e pel momento
non preoccupiamoci delle manovre insidiose di quei furfanti.
- Signor Yanez, - disse Darma. - Venite a prendere un po' di
riposo, intanto, ed a far colazione.
Non udendo più alcun colpo di cannone, quantunque fossero tutti
angosciati per la sorte che poteva essere toccata all'equipaggio della
Marianna, scesero nella sala pianterrena dove i servi del kampong avevano
preparata un'abbondante refezione all'inglese, con carne fredda, burro e thè
con biscotti.
Terminato il pasto e mandato il meticcio sulla torricella onde li
avvertisse delle mosse degli assedianti, fecero una minuta ispezione alle cinte
e alle opere di difesa, onde essere pronti a sostenere anche un lungo assedio.
Erano trascorse già tre ore dallo scoppio, quando udirono Tangusa
gridare dall'alto del minareto: - All'armi!
E subito dopo rimbombarono alcuni spari.
Yanez e Tremal-Naik si erano precipitati verso la piattaforma più alta
della cinta, da cui potevano dominare buon tratto della pianura.
Vi erano appena giunti, quando videro un piccolo drappello
d'uomini uscire dalla foresta a corsa sfrenata, sparando sui dayaki che
accorrevano da tutte le parti come per tagliare loro il passo.
Due grida erano sfuggite alle labbra del portoghese e
dell'indiano:
- Le tigri di Mompracem! Sambigliong!
Poi lanciarono due grida tuonanti:
- Fuoco le spingarde!
- Alzate la saracinesca ai nostri amici!
I pirati che avevano scortato Yanez, vedendo i loro compagni alle
prese cogli assedianti, si erano gettati sulle tre spingarde che difendevano la
cinta dalla parte meridionale, scaricando quasi contemporaneamente.
I dayaki, udendo quegli spari e vedendo cadere parecchi compagni,
avevano aperte le file rifugiandosi precipitosamente nella foresta.
Sambigliong e il suo drappello, trovando il passo libero, si erano
slanciati verso il kampong a tutta corsa, non cessando di sparare.
La saracinesca era stata alzata e parte della guarnigione era
mossa incontro a loro per sostenerli nel caso che i dayaki tornassero alla
riscossa e anche per guidarli attraverso il boschetto spinoso.
I superstiti della Marianna non erano che una mezza dozzina. Erano
neri di polvere, madidi di sudore, ansanti, colle vesti stracciate e
insanguinate ed avevano la schiuma alle labbra per la lunga corsa che doveva
essere durata non meno di tre ore. Il corriere, che conosceva la via, per
fortuna era insieme a loro.
- La mia nave? - gridò Yanez, correndo incontro a Sambigliong.
- Saltata, capitano, - rispose il mastro con voce rantolante.
- Da chi?
- Da noi... non potevamo più resistere... erano centinaia e
centinaia di selvaggi che ci piombavano addosso... tutti i nostri compagni sono
stati uccisi... anche i feriti... ho preferito dar fuoco alle polveri...
- Sei un valoroso, - gli disse Yanez, con voce profondamente
commossa.
- Capitano... vengono... sono molti... preparatevi alla
resistenza.
- Ah! vengono! - esclamò Yanez con voce terribile. - Vendicheremo
i nostri morti!
Le orde dei dayaki sbucavano in quel momento dalle foreste a
gruppi, a drappelli, senza ordine alcuno, lanciati tutti a corsa sfrenata.
Ululavano come belve feroci, agitando forsennatamente i loro
pesanti kampilang d'acciaio lucentissimo e sparando in aria qualche colpo di
fucile.
Parevano furibondi e probabilmente lo erano per non aver potuto
raggiungere e decapitare gli ultimi difensori della Marianna, che più riposati
e fors'anche più lesti, erano riusciti a rifugiarsi nella fattoria prima di
lasciarsi prendere.
- Per Giove! - esclamò Yanez che li osservava attentamente
dall'alto della cinta, - sono in buon numero quei bricconi e quantunque la loro
istruzione militare lasci molto a desiderare, ci daranno dei gravi grattacapi.
- Non sono meno di quattrocento, - disse Tremal-Naik.
- Là! Hanno anche un parco d'assedio, - aggiunse il portoghese,
vedendo uscire dalla boscaglia un grosso drappello che trascinava una dozzina di
lilà ed un mirim. - Canaglia d'un pellegrino! Pare che se ne intenda di cose di
guerra e che abbia dedicate tutte le sue cure alla sua artiglieria. Non
marciano mica male, gli artiglieri! Manovrano come coscritti di tre mesi!
- E non tirano male, ve lo assicuro, capitano, - disse
Sambigliong. - Battevano la Marianna per bene, prendendola d'infilata da prora
a poppa.
- Che quel dannato pellegrino sia stato prima soldato? - si chiese
Yanez. - Chi diavolo può essere quell'uomo misterioso?
- Yanez, - disse Tremal-Naik, guardandolo con una certa
espressione, - credi tu che noi potremo resistere a lungo?
- Come artiglieria siamo debolucci in confronto a loro, - rispose
il portoghese, - ora che non abbiamo più i nostri due pezzi da caccia, ma prima
che gli assedianti montino all'assalto, ci vorrà del tempo e decimeremo per
bene le loro colonne, se vorranno tentare di espugnare a viva forza la nostra
fortezza. Basta che i viveri e le munizioni non ci vengano a mancare.
- Ti ho già detto che siamo ben forniti, specialmente dei primi.
Tutte le tettoie ne sono piene.
- Allora terremo duro fino a che tornerà Kammamuri. Sapendoci in
pericolo, Sandokan non indugerà a mandarci altri soccorsi. Quanto avrà
impiegato a raggiungere la costa?
- Non meno d'una settimana.
- Sicchè a quest'ora dovrebbe essere a Mompracem.
- Lo spero, se i dayaki non lo hanno ucciso, - rispose
Tremal-Naik.
- Uhm! Assalire un uomo che è scortato da una tigre! Nessuno
avrebbe osato attaccarlo. Quindi, a conti fatti, fra una quindicina di giorni
potrebbe essere qui. Terremo duro fino allora e intanto cercheremo di divertire
i dayaki facendoli ballare a colpi di mitraglia.
- E se Sandokan non ci mandasse soccorsi?
- In tal caso, mio caro amico, ce ne andremo, - rispose Yanez,
colla sua calma abituale.
- Con tutti questi assedianti?!
- Vedremo se fra quindici giorni saranno così numerosi. Non
caricheremo già le spingarde con patate e le carabine con uova di passeri.
Terminiamo la nostra ispezione, mio caro Tremal-Naik, e vediamo di fortificare
i punti più deboli. Dobbiamo resistere e resisteremo.
Mentre riprendevano il loro giro, i dayaki si erano accampati
intorno alla fattoria, tenendosi fuori di portata dai tiri delle spingarde,
costruendo rapidamente, con rami e con foglie di banano, delle capannuccie per
ripararsi dagli ardenti raggi del sole, mentre i loro artiglieri innalzavano
senza indugio delle piccole trincee formate di terra e sassi e piazzavano i
loro pezzi in modo da poter battere la fattoria tutta all'intorno. Quei cannoni
non potevano recare quindi danno alle massiccie tavole che formavano la cinta,
essendo il tek un legno durissimo che offre una grande resistenza, tuttavia
quando Yanez, terminata l'ispezione, salì sulla torricella con Tremal-Naik e
Sambigliong, per dominare tutta la pianura, non potè frenare un gesto di
stizza.
- Quel pellegrino deve essere stato un soldato, - ripetè. - I
dayaki non avrebbero mai pensato innalzare delle trincee, nè a scavare dei
fossati per ripararsi dai tiri degli avversari.
- Lo vedi? - chiese in quel momento Tremal-Naik.
- Chi?
- Il pellegrino.
- Come! Osa mostrarsi?
- Guardalo là, in piedi su quel tronco d'albero che gli artiglieri
hanno fatto rotolare dinanzi al mirim per rinforzare la trincea.
Yanez guardò attentamente nella direzione indicata, poi, tratto da
una tasca un binoccolo di marina, lo puntò.
Sul tronco stava un uomo molto alto e molto secco, vestito tutto
di bianco, con alamari d'oro, con scarpe rosse a punta rialzata come usano i
ricchi bornesi di Bruni ed il capo difeso da un ampio turbante di seta verde
che gli calava fino sugli occhi.
Pareva che avesse cinquanta o sessanta anni. La sua pelle era
assai abbronzata, ma non così oscura nè opaca come quella dei malesi e dei
dayaki e anche i suoi lineamenti, che Yanez distingueva benissimo, erano molto
più fini e più perfetti di quelli delle due razze dominanti le grandi isole
malesi.
- Parrebbe un arabo o un birmano, - disse Yanez, dopo di averlo
osservato a lungo. - Un dayako no di certo e nemmeno un malese. Da dove sarà
piombato costui?
- Non lo hai mai veduto? - chiese Tremal-Naik.
- Frugo e rifrugo nella mia memoria e mi convinco sempre più di
non aver mai avuto a che fare con quell'uomo, - rispose il portoghese.
- Eppure in qualche luogo dobbiamo averlo veduto. Il suo odio
contro di me e anche contro di voi, avendo udito narrare che dopo di me si
sarebbe anche occupato delle tigri di Mompracem, deve essere stato motivato da
qualche cosa.
- Ah! Vorrebbe prendersela anche con Mompracem, - disse Yanez, sorridendo.
- Si capisce che non conosce ancora quanto valgono i nostri Tigrotti.
- Si provi a rovesciare le sue orde sulle coste della nostra
isola! Vedrà quanti dayaki torneranno alle loro natie foreste. Ah! La danza di
guerra! Brutto indizio.
- Che cosa vuol dire, Yanez?
- Che i dayaki si preparano alla pugna. Si esaltano prima colla
danza quando mettono mano ai kampilang. Sambigliong, va' ad avvertire i nostri
uomini di tenersi pronti e fa' portare le spingarde ai quattro angoli della
fattoria, onde possano battere tutti i punti dell'orizzonte. Quando i dayaki si
muoveranno, verremo noi a dirigere la difesa.
Un centinaio e mezzo di guerrieri, che tenevano in ambo le mani
una sciabola, si erano staccati dal grosso su quattro colonne avanzandosi verso
il kampong, per eseguire la danza di guerra.
Giunti a cinquecento passi dalla cinta, mandarono un urlo
altissimo, un urlo di sfida, poi formarono quattro circoli, mettendosi a
ballare disordinatamente.
Nel centro avevano deposto i loro kampilang, incrociando l'uno
coll'altro in modo da occupare un vasto spazio, poi alcuni avevano tratto dai
panieri che portavano appesi al fianco, alcune teste umane che parevano recise
di recente, collocandole fra i gruppi formati dalle sciabole.
Vedendo quelle teste, Yanez aveva fatto un gesto d'ira, a malapena
represso.
- Miserabili! - aveva esclamato.
- Appartenevano ai tuoi uomini, è vero mio povero amico? - disse
Tremal-Naik.
- Sì, - rispose il portoghese. - Devono aver pescato i cadaveri
lanciati nel fiume dall'esplosione, per impadronirsi delle loro teste. Noi non
faremo altrettanto ma, vivaddio, contraccambieremo con piombo senza risparmio.
- Vuoi che li mitragliamo giacchè sono a buona portata?
- Non ancora. Dobbiamo lasciare a loro di sparare il primo colpo.
I dayaki intanto continuavano a sgambettare come scimmie o come
ubriachi in delirio, ululando spaventosamente, dimenando le braccia e
contorcendosi, mentre alcuni suonatori percuotevano con delle mazze dei
tamburoni di legno coperti con una pelle di tapiro.
Ora i danzatori procedevano a passo cadenzato, poi spiccavano
salti come se calpestassero dei carboni accesi, finalmente si davano ad una
corsa pazza, impugnando certe specie di kriss, come se inseguissero dei nemici
fuggenti.
Quella danza durò una buona mezz'ora, poi, i guerrieri esausti,
trafelati, rientrarono nei loro accampamenti.
Successe un profondo silenzio che si prolungò per alcuni minuti,
poi un urlo formidabile, mandato da tutti i combattenti, echeggiò nella
pianura, propagandosi sotto i boschi che la circondavano.
- Si preparano all'attacco? - chiese Tremal-Naik a Yanez che aveva
puntato nuovamente il binocolo.
- No: vedo un uomo che esce dalla tettoia abitata dal pellegrino
con una banderuola verde infissa su una lancia.
- Che ci mandi un parlamentario?
- Sembra, - rispose il portoghese.
- A proporci la resa?
- La pace no di certo.
Un dayako, un qualche famoso guerriero a giudicarlo dalle lunghe
penne che gli ornavano la testa e dalla straordinaria quantità di braccialetti
di ottone che portava alle braccia e alle caviglie, aveva lasciato il campo,
seguìto da un altro che reggeva a stento uno di quei grossi tamburi di legno
che avevano servito poco prima per accompagnare i danzatori.
- Cospettaccio! - esclamò il portoghese. - Ecco un parlamentario
in piena regola; invece d'avere un trombettiere ha un tamburino o meglio un
tamburone. Quel pellegrino deve essere un uomo civilissimo. Scendiamo,
Tremal-Naik, e andiamo a udire che cosa ci manda a dire il generalissimo dei
dayaki.
- Avevano appena lasciata la torretta e raggiunta la terrazza che
si alzava sopra la saracinesca, quando il parlamentario giunse, chiedendo di
voler parlare all'uomo bianco.
- Non sono io il padrone del kampong, - disse il portoghese,
curvandosi sul parapetto e guardando con curiosità il guerriero ed il suo
tamburino.
- Non importa, - rispose il parlamentario. - Il pellegrino della
Mecca, il discendente del gran Profeta, desidera che io comunichi solamente
coll'uomo bianco, il fratello della Tigre della Malesia.
- Per Giove! - esclamò Yanez, ridendo. - Due fratelli di colore
diverso! Quel pellegrino deve essere un grande sciocco.
Poi alzando la voce, proseguì:
- Mi dirai allora che cosa ha da dirmi il discendente del Profeta.
- Egli ti manda a dire che accorda per ora la vita a te ed ai tuoi
uomini, a condizione che tu gli ceda Tremal-Naik e sua figlia.
- E per cosa farne di loro?
- Per decapitarli, - rispose candidamente il guerriero.
- Mi dirai almeno per quale motivo.
- Allah così vuole.
- Dirai allora che il mio Allah invece non lo vuole e che io sono
qui venuto per far rispettare il suo desiderio e che sono pronto a difendere i
miei amici.
- Ti ripeto che Allah ed il Profeta hanno decretato la morte di
quell'uomo e di quella fanciulla.
- Io me ne infischio di loro e di quell'imbroglione di pellegrino
che vi ha fanatizzati dandovi da bere delle panzane.
- Il pellegrino è uomo che ha compiuto dei miracoli sotto i nostri
occhi.
- E non sotto i miei e gli dirai anzi che lo sfido a farne
qualcuno. Fino a prova contraria non lo crederò altro che un intrigante che
abusa della vostra dabbenaggine o dei vostri istinti sanguinari.
- Io andrò a riportare a lui le parole dell'uomo bianco.
- Senza fretta, giacchè noi non ne abbiamo, - disse Yanez,
ironicamente.
Il tamburino fece echeggiare per tre volte il suo pesantissimo
istrumento che risuonò come il tuono udito in lontananza, poi i due selvaggi
tornarono verso l'accampamento dove tutti i guerrieri pareva che li
aspettassero con viva impazienza.
- Quel pellegrino deve essere il più gran furbo che viva sotto la
cappa del cielo, - disse Yanez a Tremal-Naik, quando i due parlamentari si
furono allontanati. - Che specie di miracoli può aver compiuto quell'uomo per
persuadere i dayaki d'essere un semi-dio? Vorrei saperlo.
- Qualche cosa deve evidentemente aver fatto, - rispose l'indiano.
- Non ci si impone da un momento all'altro a questi selvaggi che sono per
natura diffidenti.
- Armi, denari e miracoli! - esclamò Yanez. - Con tuttociò si domano
anche gli antropofagi della Malesia. E non sapere per quali cause quell'uomo se
la prende con noi!
- Con me e con mia figlia, - corresse Tremal-Naik.
- Per ora e poi?... E poi non mi fiderei delle promesse di
quell'impostore. Toh! Ecco il parlamentare che ritorna. Comincia a diventare
noioso lui e anche il suo tamburone. Se si mostra ancora gli farò tirare nelle
gambe una scarica di pallottole o di chiodi.
- Uomo bianco, - disse il parlamentario, quando giunse sotto il
terrazzo, - il pellegrino mi manda a dire che egli compirà dinanzi a te un
miracolo stupefacente che nessun altro uomo potrebbe fare, per dimostrare a te
ed ai tuoi uomini la sua invulnerabilità.
- Vuole che io provi sul suo corpo la penetrazione delle palle
della mia carabina? - chiese Yanez beffardemente.
- Egli si propone di eseguire dinanzi ai tuoi occhi la prova del
fuoco e vuol mostrarti come ne uscirà incolume per la protezione celeste che
gode. Chiede solo che tu gli conceda una zona di terreno in prossimità del
kampong, in modo che tu possa ben osservarlo.
- E poi?
- Non ti basta?
- Domando che cosa farà dopo.
- Aspetterà la tua decisione.
- Che sarebbe?
- Di consegnargli nelle sue mani l'indiano e sua figlia, perchè
dopo una simile prova non ti rimarrà più alcun dubbio che egli non sia un
semi-dio, contro cui nessuno potrebbe lottare, nè tu, nè i tuoi uomini e
nemmeno la Tigre della Malesia, quantunque la si dica invincibile.
- Giacchè il pellegrino è così gentile da offrirci uno spettacolo,
digli che noi non ci opponiamo. Ci servirà almeno di svago.
- Tu non credi, uomo bianco, che il pellegrino possa subire una
simile prova?
- Te lo saprò dire quando avrò veduto quel miracolo.
- E ti arrenderai allora?
- Questo poi non te lo posso dire per ora.
- I tuoi uomini disarmeranno subito e ti abbandoneranno.
- Va bene: aspetterò che gettino a voi i loro fucili, - rispose
Yanez col suo sorrisetto ironico.
Non era trascorso un quarto d'ora da che i due parlamentari
avevano fatto ritorno per la seconda volta all'accampamento, quando Yanez e
Tremal-Naik, che non avevano abbandonato il terrazzo, curiosi di godersi quel
miracolo, videro due drappelli di dayaki, formati d'una quindicina d'uomini
ciascuno, tutti disarmati, accostarsi al kampong portando delle grandi ceste
colme di pietre, per la maggior parte piatte, che dovevano aver raccolte di
certo nel letto di qualche ruscello.
Si fermarono a cinquanta passi dal terrazzo e si misero a disporle
in modo da formare una specie di aia, larga una mezza dozzina di metri e lunga
il doppio.
- Preparano il letto del braciere, - disse Yanez a Tremal-Naik che
lo interrogava.
Ripartiti i due drappelli, se ne avanzarono due altri carichi di
legname resinoso che accumularono sulle pietre e che poi accesero lasciandolo
avvampare per un paio d'ore. Yanez, Tremal-Naik e tutta la guarnigione,
eccettuate le sentinelle, avevano assistito pazientemente a quei preparativi,
tenendosi al riparo degli alberi i cui rami fronzuti proiettavano una fresca
ombra sulle terrazze costruite sulla cinta per permettere ai difensori di far
fuoco più comodamente.
I dayaki, che da quanto si poteva capire, ci tenevano a mostrare
all'uomo bianco, - essere superiore per loro, - i miracoli del pellegrino, a
poco a poco si erano radunati intorno al falò, senza che i difensori del
kampong si fossero presi la briga di protestare, essendosi avanzati tutti
inermi.
- Ecco un divertimento che non godremo mai più, - aveva detto
Yanez, - e che non produrrà alcun effetto, almeno sui miei Tigrotti.
- E nemmeno sui miei malesi e giavanesi, - aveva aggiunto
Tremal-Naik. - Già non credono in Allah come questi fanatici imbecilli. Chi può
essere stato a far conoscere a questi selvaggi la religione maomettana?
- Gli arabi antichi, mio caro, - rispose il portoghese.
- Non sai tu che quegli intrepidi navigatori conoscevano e
percorrevano queste regioni, quando gli europei non sapevano nemmeno che
esistessero in questa parte del globo le grandi isole malesi?
Tu non conosci certo Tolomeo che visse 166 anni dopo la nascita di
Gesù Cristo, il dio dei cristiani. Ti posso però dire che fino da quell'epoca
gli arabi conoscevano perfettamente i malesi, la Chersoneso Aurea ove si poneva
il monte Ofir, che altro non sarebbe che Sumatra; Glabadiva che è l'attuale
Giava; i Satiri che sono Battias, gli antropofagi. Eh! Guarda il pellegrino che
si avanza! Quel birbone si lascerà bruciare le piante dei piedi per dare ad
intendere ai suoi fanatici che è un semi-dio, un essere superiore, un vero
discendente del gran Profeta? Io ammiro la sua forza d'animo.
- Ed io vorrei ucciderlo con un buon colpo, - rispose Tremal-Naik.
- Non commettiamo un simile assassinio, amico mio. Dobbiamo essere
gli ultimi a rispondere alle provocazioni. Siamo persone civili, noi.
Un urlo immenso li avvertì che il pellegrino stava per lasciare
l'accampamento onde mostrare all'uomo bianco ed ai suoi guerrieri la sua
invulnerabilità e la sua potenza di essere superiore.
Darma, la gentile e graziosa anglo-indiana, aveva raggiunto suo
padre e Yanez. Anche i Tigrotti di Mompracem si erano radunati sul terrazzo,
appoggiando le carabine ai parapetti, temendo qualche sorpresa da parte di quei
selvaggi nei quali non avevano nessuna fiducia.
Il pellegrino si avanzava verso la via formata dalle pietre, rese
ardenti da due ore di fuoco continuo.
Aveva sul capo il suo turbante verde ed il viso nascosto da un
piccolo drappo di seta d'egual colore. Il corpo invece era avvolto in una
specie di camicia assai attillata, di nanchino giallo, che gli scendeva fino
alle ginocchia ed i suoi piedi erano nudi.
- O che quell'uomo è un gran ciurmadore o è una vera salamandra, -
disse Yanez.
- Forse che i fakiri dell'India non passeggiano sui tizzoni
ardenti invece che sulle pietre arroventate? - disse Tremal-Naik. - Non ricordi
della festa di Darma Ragia, dove tu hai conosciuto l'adorabile Surama, la
nipote del rajah di Gualpara?
- Per Giove! Se me ne ricordo, - rispose Yanez.
- Anche in quella festa i fanatici correvano sulle brace.
- Ma uscivano da quell'inferno zoppi, mentre questo demonio di pellegrino
promette di passeggiare su quelle pietre scaldate a bianco senza alcun malanno.
- Lo vedremo, Yanez, a meno che non sia un gran fakiro.
- Apri gli occhi, Darma, - disse Yanez, vedendo la fanciulla curvarsi
sul parapetto. - Non mi fido di quei bricconi.
- Che cosa temete, signor Yanez?
- Eh! Un colpo di carabina si fa presto a spararlo.
- Non hanno alcuna arma, - rispose Darma.
- Sì, visibile. Avanti, signor discendente di Maometto, mostrateci
il vostro miracolo.
Il misterioso avversario di Tremal-Naik era giunto dinanzi all'aia
lastricata di pietre che doveva proiettare un calore assolutamente
intollerabile.
Stette un momento raccolto in se stesso, colle mani alzate e gli
sguardi fissi verso occidente, ossia in direzione del lontanissimo sepolcro del
Profeta, agitò per qualche po' le labbra come se recitasse una preghiera, poi
si slanciò risolutamente sulle pietre, gridando per tre volte, con voce
rimbombante:
- Allah! Allah! Allah!
Quindi con passo sicuro, insensibile all'ardente calore che saliva
dalle pietre, coi piedi e le gambe nude, s'avanzò sull'aia, a passi lenti,
senza che gli sfuggisse un moto che tradisse qualche dolore.
I dayaki, stupiti, ammaliati da una simile prova, lo guardavano
con profonda ammirazione, alzando le braccia.
Quell'uomo per loro doveva essere assolutamente un semi-dio, un
vero discendente del grande Profeta.
Il pellegrino compiuta la traversata si fermò un momento, poi
ritornò sui suoi passi, sempre calmo, sempre impassibile, come se passeggiasse
su un prato anzichè su delle pietre che potevano cuocere benissimo del pane.
- Costui deve essere un figlio di compare Belzebù! - esclamò
Yanez, che non poteva fare a meno di ammirare lo stoicismo di quell'uomo. -
Come può resistere a quel calore? Eppure i suoi piedi sono nudi e qui non vi
può essere alcun trucco.
- Quell'uomo deve essere insensibile come una vera salamandra, -
rispose Tremal-Naik.
Il pellegrino, compiuta la seconda prova, volse il viso mascherato
dal drappo verso Yanez, guardandolo per qualche istante, poi si allontanò a
lenti passi, dirigendosi verso la sua tettoia, mentre i dayaki, in preda ad una
vera esaltazione, urlavano a squarciagola:
- Allah! Allah! Allah!
Qualche minuto dopo, mentre i guerrieri raggiungevano i loro
accampamenti, precipitandosi verso il pellegrino, il parlamentario,
accompagnato dal suo tamburino, si presentava per la terza volta sotto la
terrazza.
- Che cosa vuoi ancora, uomo noioso? - gli chiese Yanez.
- Vengo a chiederti se dopo una simile prova data dal discendente
del gran Profeta tu ti sei deciso ad arrenderti, - disse il guerriero.
- Ah! È vero, dovevo darti una risposta, - disse Yanez. - Dirai
dunque al figlio o nipote o pronipote di Maometto, che io lo ringrazio
dell'interessante spettacolo che si è degnato di offrire a noi, poveri
miscredenti.
Poi levandosi, con un gesto superbo, un magnifico anello che
portava in un dito, lo gettò al parlamentario stupito, aggiungendo:
- E questa è la sua ricompensa!...
Nelle isole malesi e anche in quelle polinesiane, la prova del
fuoco è molto in uso anche oggidì, ma non serve come da noi un tempo, per
provare l'innocenza di qualcuno incolpato o d'un omicidio, o d'un furto, bensì
come una cerimonia religiosa.
Ed infatti non sono che i sacerdoti che in certe epoche dell'anno,
per propiziarsi le divinità più o meno celesti, fanno la passeggiata non già
sui carboni accesi come i fanatici indiani, ma invece su pietre rese
ardentissime.
Quella cerimonia si eseguisce per lo più su un piano di pietroni
che misura ordinariamente tre metri di lunghezza e mezzo di larghezza.
I sacerdoti accendono i fuochi all'alba e li mantengono fino al
pomeriggio; poi, accompagnati da alcuni discepoli, sbarazzano le ceneri ed i tizzoni,
pronunciano alcune parole rituali che sono indispensabili secondo loro, battono
con un ramo di dracina l'orlo del braciere, quindi s'avanzano sulle pietre a
piedi nudi, attraversandole lentamente.
La lunghezza del passo non è indicata, ma si suppone che i piedi
debbono toccare almeno tre volte e qualche volta anche di più.
Come fanno a resistere, e quello che è più, ad uscire incolumi da
quella prova? Mistero!
Essi attribuiscono la loro invulnerabilità alla mana, un potere
misterioso che permette agli iniziati di attraversare le pietre ardenti senza
riportare alcuna scottatura, potere che non è riprodotto da alcun simbolo e che
si può trasmettere semplicemente colla parola.
Comunque sia il fatto, si è che escono dalla terribile prova
assolutamente incolumi.
Un viaggiatore europeo, il colonnello inglese Gudgeon, ha voluto
alcuni anni or sono tentare anche lui la prova assieme ad alcuni compagni, in
un'isola dell'Oceano Pacifico, durante una cerimonia religiosa, certo di non
cavarsela senza dolorose scottature. Ebbene, lo credereste? Il coraggioso
colonnello uscì dalla prova non meno illeso dei sacerdoti! Uno solo dei suoi
compagni, che aveva pure ricevuto la mana, ossia quel potere misterioso che
come dicemmo si trasmette colla parola, riportò delle bruciature non lievi, ma
la colpa era stata tutta sua, secondo i sacerdoti.
Egli aveva avuto il torto di guardarsi indietro, cosa che è
severamente vietata per chi ha ricevuto la mana, una scusa evidentemente
trovata dai sacerdoti per salvare la dignità del rito.
Come il colonnello potè reggere la prova e attraversare quelle
pietre, che ancora un'ora dopo compiuta la cerimonia erano così ardenti che
gettatevi delle radici di ti presero subito fuoco? L'inglese non lo seppe mai
dire.
Raccontò d'aver provato solamente un gran calore per tutto il
corpo e qualche cosa ai piedi, come delle leggere scosse elettriche e nulla di
più, scosse però che gli durarono per sette od otto ore di seguito. La pelle
dei piedi invece non riportò alcuna scottatura.
Nella Nuova Zelanda le prove del fuoco sono invece più terribili e
si dice che il dono di poter resistere è privilegio di soli membri di talune
famiglie e di talune caste. Colà non si tratta di attraversare un semplice
strato di pietre, bensì di passeggiare entro una specie di forno circolare, del
diametro di una diecina di metri e di rimanervi venti o trenta secondi.
La temperatura che regna in quei forni è così elevata che una
volta, un viaggiatore volendo misurarla, vide fondersi la cornice metallica del
termometro e il mercurio salire tutto. E notate che la graduazione era di 200
gradi!
Come possono resistere quegli uomini salamandra? Anche questo è un
mistero; eppure resistono ed escono da quella terribile prova perfettamente
incolumi.
Non era quindi da meravigliarsi se anche il misterioso pellegrino
della Mecca, che doveva essere nondimeno un uomo assolutamente straordinario,
aveva potuto dare quella prova per fanatizzare vieppiù i suoi guerrieri
piuttosto che impressionare Yanez ed i difensori del kampong, troppo furbi per
cadere stupidamente nell'agguato e di offrire le loro teste ai kampilang di
quei sanguinari selvaggi.
Lo sprezzo fatto dal portoghese, di pagare cioè il pellegrino come
se si fosse trattato d'un istrione o d'un clown, doveva scatenare la collera,
appena repressa, dei tagliatori di teste e rendere doppiamente furioso il
pellegrino.
Ed infatti il parlamentario era appena tornato all'accampamento
che un clamore spaventevole echeggiò intorno al kampong, clamore che pareva
prodotto più da centinaia di belve feroci che da esseri umani.
- Eccoli diventati feroci come le scimmie rosse quando mangiano il
pimento, - disse Yanez, ridendo. - Avremo una guerra senza quartiere. Bah! Ci
difenderemo fino a che avremo una cartuccia o fino a che non ci sarà più un
dayako vivo.
Poi alzando la voce gridò:
- Ragazzi miei, raggiungete i vostri posti e picchiate più sodo
che potete. Non dimenticate che se cadete nelle mani di quei bruti la minor
cosa che vi possa toccare è quella di perdere la testa sotto un colpo di
kampilang.
Tigrotti di Mompracem, malesi e giavanesi si erano precipitati ai
loro posti di combattimento, risoluti ad opporre la più accanita resistenza ed
a bruciare perfino l'ultima cartuccia, poichè la prova del pellegrino non aveva
scossa per nulla la loro fiducia.
Erano d'altronde sicuri di infliggere a quelle orde assai
disordinate una tremenda lezione. Riparati dietro stecconate di legno del tek
che potevano sfidare il fuoco dei lilà e anche dei mirim e tutti tiratori
scelti, non temevano un attacco, specialmente sotto la direzione di Yanez che
godeva non meno fama della formidabile ed invincibile Tigre della Malesia.
Tutti, senza contare i Tigrotti di Mompracem, erano stati
scorridori del mare, l'unica professione proficua in quei paesi che quantunque
ricchissimi non avevano, almeno allora, commercio alcuno.
Con quegli uomini, risoluti a vendere cara la pelle, sapendo che
non avrebbero avuto quartiere, i dayaki dovevano avere un osso ben duro da
rodere.
Vedendo gli assedianti radunarsi intorno alla tettoia del
pellegrino, Tigrotti, malesi e giavanesi si erano affrettati ad occupare gli
angoli della cinta da dove potevano spazzare colle spingarde la pianura.
Yanez e Tremal-Naik invece erano rimasti sul terrazzo sovrastante
la saracinesca, certi che i dayaki avrebbero tentato verso quel punto il loro
sforzo supremo.
Avevano messa in batteria la spingarda più grossa del kampong,
servita da sei pirati di Mompracem e avevano mandato Sambigliong sulla
torretta, il miglior punto per spazzare la pianura.
- Darma, - disse il portoghese, vedendo i dayaki formare le
colonne d'assalto. - Questo non è il tuo posto, quantunque sappia che tu
adoperi la carabina come un fuciliere di marina. Fra poco i lilà ed il mirim di
quei bricconi lanceranno palle in abbondanza sulla cinta e non voglio che ti
esponi ad un simile pericolo.
- Credete dunque che il pellegrino lancierà all'attacco i suoi
uomini? - chiese la fanciulla.
- Vedi, ci sono a questo mondo degli uomini che non sanno essere
riconoscenti.
- Non vi capisco, signor Yanez.
- Io ho pagato quell'uomo pel divertimento che ci ha offerto, con
un anello che non valeva meno di mille fiorini nelle mani di un ebreo, ed ecco
quel birbante che mi ricompensa con un attacco all'arma bianca. Vale la pena di
essere generosi in questo mondaccio cane? Se io avessi dato un simile regalo ad
un clown e ad un istrione del mio paese, sono certo che mi avrebbe portato
sulle sue spalle perfino in Ispagna, magari sulla sierra Guadarrama. Che mondo
furfante!...
- Ah! Signor Yanez! - esclamò Darma ridendo. - Voi scherzerete
anche quando sarete lì lì per andarvene nel regno delle tenebre.
- Ridi! - disse il portoghese. - Hai del buon sangue fanciulla
mia! Ridi mentre la morte ci minaccia tutti!
- Con voi e coi vostri Tigrotti non ho paura dei dayaki.
Un colpo di cannone interruppe il dialogo. Gli assedianti avevano
fatto tuonare il loro mirim.
La palla passò, con un lungo sibilo, sopra le cinte e cadde
dall'altra parte del kampong senza aver causato alcun danno.
- Bisogna rettificare la mira, miei cari, o non farete nulla, -
disse Yanez.
- Presto Darma, ritirati, - disse Tremal-Naik. - Le palle non
rispettano nessuno.
- Nemmeno le belle fanciulle, - aggiunse Yanez.
- E dovrò rimanere inoperosa mentre voi avete bisogno di gente? -
chiese Darma.
- Se avremo bisogno d'una carabina di più ti chiameremo, - rispose
Tremal-Naik. - Nelle stanze pianterrene del bengalow tu non correrai alcun
pericolo.
Quattro colpi rimbombarono in quel momento, l'uno dietro l'altro.
Dopo il mirim avevano fatto fuoco i piccoli lilà mandando le loro palle contro
le grosse tavole della cinta.
- Va', - ripetè Tremal-Naik, - non mi batterei bene se ti vedessi
qui, esposta al tiro delle artiglierie. Va', e bada che i forni delle cucine
non si spengano.
- I forni? - domandò Yanez mentre Darma, baciato il padre,
scendeva lestamente la scala. - Vuoi offrire una colazione agli assedianti?
- Sì, ma vedrai di che specie, - rispose l'indiano. - Un vero
piatto infernale che li farà urlare come dannati. Eccoli che si muovono! A te
la spingarda, Yanez, che sei un artigliere meraviglioso.
- Li mitraglierò per bene, - rispose il portoghese, gettando via
la sigaretta e accostandosi alla bocca da fuoco, la cui canna lunghissima
minacciava la pianura.
I dayaki che dovevano essere stati istruiti dal pellegrino,
avevano formato quattro colonne d'assalto, di sessanta od ottanta uomini
ciascuna e muovevano risolutamente verso il kampong, coprendosi coi loro
immensi scudi quadrati, di pelle di tapiro o di bufalo, armati solamente di
kampilang. Una quinta colonna, formata esclusivamente di moschettieri, erasi
sparsa invece per la pianura, in catena, per appoggiare l'attacco, insieme ai
lilà ed al mirim.
- Il pellegrino deve essere stato un soldato, - disse Yanez. -
Tuttavia dubito che la sua tattica abbia buon successo. Quando i dayaki si
slanceranno all'assalto romperanno le loro file. La disciplina militare non può
aver fatto presa su questi guerrieri selvaggi. Musica, avanti!
I dayaki cominciavano a sparare violentemente. I colpi di cannone
si alternavano con scariche nutrite di carabine, senza grande successo, poichè
le grosse tavole di legno di tek delle cinte non erano facili a sfondarsi ed i
difensori del kampong erano ben protetti dai parapetti.
Per di più gli alberi spinosi che si stendevano tutto all'intorno
e che avevano rami e fronde fittissime, non permettevano ai fucilieri nemici di
poterli mirare.
La spingarda collocata sulla piattaforma della torricella aveva
tirato il primo colpo contro la colonna, che muoveva verso il punto dove si
trovava la saracinesca e la sua palla, di buon calibro, lanciata da
Sambigliong, che era un valente artigliere, non era andata perduta.
- La prima goccia di sangue è stata sparsa, - disse Yanez. -
Speriamo che diventi un fiume.
Dai quattro angoli del kampong le tigri di Mompracem, a cui era
stato affidato il servizio delle spingarde, si sparava con un crescendo
assordante.
Non potendo quelle piccole bocche da fuoco controbattere il tiro
dei lilà e soprattutto del mirim, sparavano contro le colonne d'assalto, con
palle da una libbra, facendo dei larghi vuoti.
Le carabine indiane, maneggiate dai malesi e dai giavanesi della
fattoria, tutte di tiro lunghissimo, appoggiavano vigorosamente il fuoco delle
spingarde, mettendo a dura prova il coraggio degli assalitori.
Yanez non perdeva tempo. Sparava un colpo di carabina la cui palla
abbatteva quasi sempre un uomo, poi balzava alla spingarda appena era stata
ricaricata e prendeva d'infilata la colonna che s'avanzava verso la
saracinesca, facendo dei tiri veramente meravigliosi, che stupivano lo stesso
Tremal-Naik e che strappavano grida di entusiasmo ai malesi ed ai giavanesi del
kampong.
I dayaki, che non si sentivano troppo sostenuti dalle loro
artiglierie dirette da pessimi tiratori, nè dai loro fucilieri, più abili nel
lanciare frecce che palle, cercavano di affrettare il passo, incoraggiandosi
con urla ferocissime e coprendosi più che potevano coi loro scudi, come se non
potessero venire attraversati dai proiettili delle carabine indiane degli
assediati. Il fuoco del kampong, vigorosissimo, li decimava per bene. Le loro
colonne soffrivano perdite immense e tuttavia non si scompaginavano ancora.
Quando però le spingarde cominciarono a scagliare addosso a loro
nembi di mitraglia, coprendoli di chiodi e di frammenti di ferro, si videro
oscillare e le linee si aprirono qua e là.
- Avanti! - gridava Yanez, che non si prendeva nemmeno la briga di
ripararsi dietro il parapetto. - Date dentro e finiremo per mandarli a rotoli.
Mitragliateti alle gambe!
Ed il fuoco aumentava sempre, coprendo le bande di una vera
pioggia di piombo, di ferro e di chiodi.
Tigri di Mompracem, malesi e giavanesi gareggiavano in bravura ed
in audacia, risoluti a non permettere ai dayaki di giungere sotto le cinte e di
slanciarsi all'attacco.
Soprattutto le spingarde facevano delle vere stragi gettando a
terra, ad ogni scarica di mitraglia, un buon numero d'uomini. Non producevano
ferite mortali, è vero, ma mettevano i guerrieri fuori di combattimento,
rovinando loro le gambe.
Nondimeno, malgrado le enormi perdite, quegli ostinati selvaggi
non accennavano ancora ad arrestarsi. Anzi con un ultimo slancio giunsero ben
presto dinanzi alla zona alberata, gettandosi coraggiosamente in mezzo alle
spine dove si appiattirono per prendere un po' di riposo e per riordinarsi
prima di tentare l'ultimo sforzo.
- Quella è vera carne da cannone, - disse Yanez, la cui fronte si
era abbuiata. - Non credevo che potessero spingersi così vicini. È bensì vero
che non sono ancora sulle cinte e che se le spingarde diventano pel momento
inutili, tuttavia le carabine e le pistole avranno ancora buon giuoco.
- Non inquietarti, amico mio, - disse Tremal-Naik. - Ho preparato
loro una sorpresa che produrrà sulla loro pelle maggior effetto dei chiodi.
- Ma intanto ci sono sotto.
- Lasciali venire. D'altronde le cinte sono alte e le tavole di
tek così grosse che i loro kampilang si smusseranno senza riuscire a spaccarle.
- M'inquieta il fuoco dei loro pezzi.
- Tirano così male!
- Che cosa fanno? Non li odo più.
- S'avanzano strisciando tra le spine.
- È bene assicurata la saracinesca?
- Ho fatto mettere le caviglie di ferro e nessuno potrà alzarla.
Eccoli!
Mentre i lilà e il mirim continuavano a tuonare, aprendo nei
panconi delle cinte qualche foro appena sufficiente per lasciar passare una
mano e i fucilieri s'avanzavano, sempre disposti in catena, strisciando al
suolo e nascondendosi dietro i piccoli rialzi di terreno e dietro i tronchi
abbattuti per sfuggire alle scariche della spingarda collocata sul minareto, che
non aveva cessato di far fuoco, gli assalitori s'aprivano con precauzione il
passo fra le piante spinose.
Essendo quasi tutti nudi ed i cespugli e gli arbusti foltissimi e
formidabilmente armati di punte acutissime, l'impresa era tutt'altro che facile
e lo provavano le grida di dolore che di quando in quando mandavano gli
assalitori, che non potevano frenare.
- La loro carne va a brandelli, - disse Yanez, che curvo sul
parapetto, fra l'apertura lasciata da due sacchi di sabbia collocati dinanzi
alla spingarda, li spiava. - Mordono le spine, miei cari.
- Eppure passano egualmente quei demoni. Ecco lì il primo che
striscia lungo la cinta.
- E che non andrà a raccontare ai suoi compagni se è più o meno
solida, - aggiunse il portoghese.
Puntò la carabina e sparò quasi senza mirare. Il dayako che era
riuscito, a prezzo di chissà quali punture, ad attraversare quella formidabile
barriera, si levò di colpo sulle ginocchia allargando contemporaneamente le
braccia e cadde col cranio attraversato dal proiettile, mandando un urlo rauco.
- Fuoco in mezzo alle piante! - gridò Yanez. - Ci sono sotto.
Poi facendo girare la spingarda sul perno e abbassando la canna
più che potè, lanciò una bordata di mitraglia di traverso, mentre i Tigrotti di
Mompracem, i malesi ed i giavanesi ricominciavano il fuoco massacrando arbusti
e assedianti insieme. Vociferazioni spaventevoli s'alzarono sotto le piante,
segno evidente che non tutti i colpi erano andati perduti, poi una valanga
d'uomini si rovesciò verso la saracinesca assalendola a colpi di kampilang,
mentre i lilà ed il mirim raddoppiavano il fuoco, cercando di mandare le loro
palle sulle terrazze per allontanare i difensori.
Tremal-Naik aveva mandato un lungo fischio.
Subito si videro uscire dalla cucina otto uomini che portavano
delle enormi caldaie che spandevano all'interno un fumo acre e denso.
Salirono rapidamente la scala, deponendo le caldaie sul terrazzo
sovrastante la saracinesca.
- Per Giove! - esclamò Yanez, sentendosi avvolgere da quel fumo
che gli strappava dei colpi di tosse. - Che cosa portate qui?
- Guardati, Yanez! - gridò Tremal-Naik. - Lascia il posto a questi
uomini.
- Ma gli altri cominciano a montare.
- Il caucciù bollente li farà ridiscendere.
Gli otto uomini, armatisi di giganteschi mestoli, cominciarono a rovesciare
il liquido fumante contenuto nelle caldaie.
Urla, orribili, strazianti, s'alzarono tosto alla base della
cinta. I dayaki, spaventosamente ustionati dal caucciù bollente che veniva
gettato dall'alto della cinta e senza alcuna economia, si erano scagliati come
pazzi in mezzo alle piante, fuggendo a precipizio.
Una mezza dozzina di loro, che avevano ricevuto le prime palate
del terribile liquido, si dimenavano e si contorcevano dinanzi alla
saracinesca, ululando lugubremente come lupi idrofobi.
- Per Giove! - esclamò Yanez, facendo un gesto d'orrore. - Questo
indiano ha avuto una trovata magnifica! Cucina vivi quei poveri diavoli!
I dayaki fuggivano anche dalle altre parti, poichè anche da quelle
terrazze gli assediati avevano cominciato ad aspergere coloro che avevano
tentato di scalare la cinta.
Il fuoco intenso delle spingarde e delle carabine completava la
sconfitta degli assedianti i quali ormai non pensavano ad altro che a porsi
fuori di portata dalle armi da fuoco dei difensori del kampong e a rifugiarsi
nei loro accampamenti.
Invano i fucilieri avevano tentato di accorrere in aiuto delle
colonne di assalto che si ripiegavano confusamente. Una bordata di mitraglia
lanciata da tutte le spingarde li persuase a seguire i fuggiaschi.
Due minuti dopo intorno al kampong non restavano che i morti e
qualche ferito che stava per esalare l'ultimo respiro.
I dayaki, convinti di non essere in grado di prendere d'assalto il
kampong, dopo la disastrosa prova fatta che aveva causato alle loro file delle
perdite gravissime, avevano cominciato il vero assedio, sperando che la fame
costringesse i difensori a capitolare.
Avevano formato intorno alla pianura quattro campi trincerati, per
premunirsi da una possibile sortita degli assediati, rinforzandoli con trincee
innalzate certamente dietro le istruzioni del pellegrino che si svelava ogni
giorno di più uomo di guerra.
Inoltre, avevan portate le loro artiglierie molto innanzi,
scavando due trincee parallele, tribolando non poco gli assediati con un
vivissimo cannoneggiamento che, se non causava veramente gravi danni, obbligava
Yanez, Tremal-Naik e i loro uomini ad una continua guardia, temendo che fosse
sempre il preludio d'un nuovo assalto.
Cinque giorni erano così trascorsi, dal primo tentativo d'attacco,
con gran spreco di munizioni da parte dei dayaki e molto fracasso. L'unico
successo ottenuto era stata la demolizione della torricella che essendo troppo
esposta, era caduta pezzo a pezzo, obbligando i difensori a ritirare la
spingarda e ad abbandonare quel posto.
Yanez cominciava ad annoiarsi. Uomo d'azione ed irrequieto,
nonostante sembrasse l'uomo più flemmatico del mondo, trovava che la cosa
andava troppo per le lunghe e che anche le sigarette, che consumava in quantità
prodigiosa, non bastavano più a distrarlo.
Eppure non mancava nulla nel kampong. I magazzini erano ben
forniti, le tettoie erano piene di gabà, di quel bellissimo riso che coltivano
i giavanesi e che supera di gran lunga quello di Rangoon, nel recinto interno
le galline selvatiche razzolavano in gran numero pronte ad offrirsi agli
stomachi degli assediati senza protestare; le frutta non facevano difetto e le
cantine erano piene di enormi vasi di terra colmi di bram, quel forte liquore
ottenuto dalla fermentazione del riso mescolato con zucchero e succhi di varie
palme. Che più? La guarnigione poteva, nelle ore più calde del giorno,
dissetarsi con del buon kalapa, quella bibita rinfrescante racchiusa nelle noci
di cocco, essendovi delle piante di quella specie intorno all'aia e fumare
senza risparmio del delizioso cortado, quei profumati sigari di Manilla e dei
rokok giavanesi, piccoli sigaretti rotolati in una foglia secca di nipa, che
sono così gradevoli.
- Che cosa ti manca per annoiarti, amico? - gli chiese sul cader
del quinto giorno l'indiano, vedendo che Yanez appariva più annoiato che mai. -
Io credo che nessuna guarnigione si sia trovata fra tanta abbondanza.
- Questa calma mi sfibra, - aveva risposto il portoghese.
- Calma la chiami! Ma se le artiglierie del nemico tuonano da mane
a sera!
- Per bucare semplicemente dei panconi che non hanno mai fatto
male ad alcuno e che non protestano.
- Vorresti che le palle bucassero i nostri uomini?
- Tu hai ragioni da vendere, mio caro Tremal-Naik, eppure io vorrei
andarmene di qua.
- Non hai che da far alzare la saracinesca. Io però al tuo posto
preferirei passeggiare intorno al bengalow, - rispose l'indiano ridendo. - Io
credo che la tua irrequietezza dipenda dall'assoluta mancanza di notizie di
Sandokan.
- Anche questo è vero. Vorrei sapere come si svolgono le cose a
Mompracem e sospiro il ritorno di Kammamuri.
- Lasciagli il tempo necessario.
- Dovrebbe essere già qui.
- La regione che ha dovuto attraversare per raggiungere la costa
non è sempre sicura, mio Yanez, e può aver trovato sul suo cammino non pochi
ostacoli. Saliamo sul terrazzo della saracinesca e andiamo a dare uno sguardo
agli assedianti prima che il sole tramonti.
Lasciarono il salotto dove avevano appena allora terminata la cena
in compagnia di Darma e si portarono verso le cinte.
Gli uomini di guardia, che erano i giavanesi, toccando a loro
quella notte vegliare, stavano terminando il loro pasto serale, a cavalcioni
dei parapetti divorando con invidiabile appetito i loro piatti stravaganti.
Essi davan dentro, senza preoccuparsi delle palle dei nemici che
di quando in quando si cacciavano nei panconi con sordo fragore, al blaciang,
quel puzzolente intruglio formato di gamberetti e di piccoli pesci conservati
entro vasi di terra e lasciati a fermentare fino a corrompersi; o all'ud-ang,
una specie di pasta formata di crostacei seccati e poi ridotti in polvere; o ai
pasticci di laron, formati con larve di termiti, un piatto scelto e
gustosissimo pei palati giavanesi e malesi.
Pareva che l'assedio non avesse ancora guastato l'appetito di quei
bravi, dal lavoro energico che compivano i loro denti neri come chiodi di
garofano, per l'abuso del siri e del betel.
Yanez e Tremal-Naik erano appena saliti sul parapetto, quando
notarono nei campi dei dayaki un certo movimento.
Dei capi radunavano attorno a loro numerosi guerrieri e pareva che
facessero loro dei discorsi infuocati a giudicare dall'agitarsi furioso delle
braccia, mentre in altri luoghi si eseguivano le danze guerresche dei kampilang
e dei kriss. Il sole in quel momento stava per tramontare fra un denso nuvolone
nero che pareva saturo di elettricità e che aveva i margini color del rame.
- Un attacco ed un uragano? - si chiese Yanez che aspirava l'aria
che era diventata estremamente secca. - Che cosa ne dici, Tremal-Naik?
- Una bufera l'avremo questa notte, - rispose l'indiano, che
guardava pure il nuvolone il quale si allargava a vista d'occhio.
- Con accompagnamento di fuoco celeste e terrestre. Io sono certo
che i dayaki, stanchi di cannoneggiare inutilmente le nostre cinte,
approfitteranno della tromba d'acqua per venire all'attacco.
- Ed il momento non sarebbe davvero male scelto. Si spara male
quando si ha l'acqua in volto.
- Copriamo le terrazze, Tremal-Naik. In mezz'ora i nostri uomini
possono alzare delle tettoie per riparare almeno gli artiglieri. Per Giove! Che
questa volta ci prendano davvero?
- Finchè avremo del caucciù non lo credo.
- Fa' riempire tutte le pentole che possiedi.
- Vo a dare l'ordine, - rispose l'indiano scendendo
precipitosamente.
Yanez stava per recarsi verso l'angolo della cinta, dove si
trovava una spingarda, quando una freccia lanciata probabilmente da un
sumpitan, ossia da una cerbottana, sibilò dinanzi a lui piantandosi contro uno
dei pali che reggevano il terrazzo.
- Ah! Traditori! - esclamò Yanez, balzando verso il parapetto con
una pistola in mano.
Guardò sotto le piante, mentre Sambigliong che stava mettendo in
batteria la spingarda, accortosi del pericolo che aveva minacciato il
portoghese, accorreva armato d'una carabina. Nessun ramo si agitava, nè alcun
rumore turbava il silenzio che regnava sotto gli arbusti spinosi fiancheggianti
la cinta.
- L'avete veduto quel briccone, capitano? - chiese il mastro.
- Deve essere scappato subito, - rispose Yanez.
- E forse quella freccia era avvelenata col succo dell'upas.
- Vediamo, - disse il portoghese, dirigendosi verso il palo.
Ad un tratto gli sfuggì un grido di stupore.
- Una freccia messaggera! - esclamò.
All'estremità del dardo, il cui cannello era solidissimo, aveva
scorto qualche cosa di bianco, come un pezzo di carta arrotolata intorno al
fusto.
- Allora non si tratta di un tentato assassinio della mia
rispettabile persona, - disse.
Strappò la freccia, la cui punta, formata da una spina acutissima,
si era infissa profondamente nel legno e ruppe il filo che teneva la carta
stretta attorno al cannello.
- Signor Yanez, - disse Sambigliong, - che i dayaki si servano ora
delle frecce per mandare le lettere a destinazione? Ecco un servizio postale di
nuovo genere.
- Che cosa c'è dunque? - chiese in quel momento Tremal-Naik, che
aveva già dati gli ordini e tornava con Darma.
- Un portalettere sconosciuto che mi ha rimessa questa carta sulla
punta di una freccia, - rispose Yanez. - Che contenga una intimazione di resa?
Svolse con precauzione la carta che era coperta di caratteri
grossolani, vi gettò sopra uno sguardo, poi mandò un grido di gioia:
- Kammamuri!
- Il mio maharatto - esclamò Tremal-Naik. - Leggi, leggi Yanez!
"Sono nei dintorni del campo da stamane" scriveva il
maharatto in inglese "e questa notte cercherò d'introdurmi nella fattoria
con l'aiuto d'un ex servo che è ora fra i ribelli.
Lasciate pendere una fune dall'angolo che guarda verso il sud e
preparatevi alla difesa. I dayaki sono pronti ad assalirvi.
KAMMAMURI"
- Quel bravo maharatto qui! - esclamò Tremal-Naik. - Deve aver
divorata la via per essere giunto così presto.
- Che sia solo? - chiese Darma.
- Se avesse dei Tigrotti in sua compagnia l'avrebbe scritto, -
rispose Yanez.
- Avrà almeno la tigre, - disse Tremal-Naik.
- A meno che non gliela abbiano uccisa! - disse Yanez.
- Chi può essere quell'ex servo che l'aiuta?
- Ve ne devono essere parecchi fra i ribelli, - rispose
Tremal-Naik. - Ne avevo una ventina di dayaki e non me n'è rimasto più uno dopo
la comparsa del pellegrino.
- Signor Yanez, - disse Sambigliong, - mi troverò io questa notte
verso l'angolo che guarda al sud.
- Tu sarai più necessario qui che colà, - rispose il portoghese. -
Non hai udito che i dayaki si preparano ad assalirci? Manderemo Tangusa col
pilota. E ora, amici, prepariamoci a sostenere il secondo attacco, che sarà
forse più formidabile del primo e non dimenticate che se i dayaki entrano qui
le nostre teste andranno ad arricchire le loro collezioni.
La notte era allora calata, una notte oscurissima, che nulla
prometteva di buono. La nube nera aveva invaso tutto il cielo, coprendo
rapidamente gli astri e verso il sud balenava.
Una calma pesante regnava sulla pianura e sulle foreste. L'aria
era soffocante al punto da rendere difficile la respirazione e così satura
d'elettricità che tutti gli uomini del kampong provavano una viva irrequietezza
ed un vero senso di malessere.
Anche nei campi dei dayaki tutto era oscuro e di là non proveniva
alcun rumore. I lilà ed il mirim da qualche ora non tuonavano più.
I difensori del kampong, dopo aver costruite frettolosamente le
tettoie per riparare le spingarde, si erano sdraiati sui larghi parapetti delle
terrazze, con le carabine a portata di mano, ascoltando ansiosamente i rumori
del largo.
Yanez, Tremal-Naik e una mezza dozzina di Tigrotti vegliavano
sopra la saracinesca, dove avevano piazzata anche la bocca da fuoco che avevano
ritirata dalla torricella.
Entrambi erano un po' nervosi e preoccupati. Quel silenzio che
regnava negli accampamenti dei dayaki produceva su di loro maggior impressione
che un fuoco violentissimo.
- Preferirei un attacco furioso a questa calma, - disse Yanez che
fumava rabbiosamente un cortado masticandone la punta. - Che si avanzino
strisciando come serpenti?
- È probabile, - rispose Tremai-Naik. - Non si faranno vivi che
quando avranno attraversata la pianura e saranno giunti sotto le piante.
- O che aspettino l'uragano per rendere meno efficaci le nostre
carabine? Quando qui piove è un diluvio che si rovescia.
- Il caucciù li calmerà e surrogherà le palle. Tutti i vasi
disponibili sono al fuoco.
L'uragano intanto si addensava. Qualche soffio d'aria giungeva
facendo curvare le cime degli arbusti spinosi con mille fruscii; verso il sud
tuonava e lampeggiava. La gran voce della tempesta suonava la carica.
Ad un tratto un lampo immenso, simile a una enorme scimitarra,
tagliò in due l'enorme nube gravida di pioggia, poi si seguirono dei fragori
paurosi. Pareva che lassù, nella volta celeste, si fosse impegnato un duello
fra grossi cannoni di marina o da costa e che dei carri carichi di lamine di
ferro corressero all'impazzata su dei ponti metallici.
Quel fracasso durò due o tre minuti con grande accompagnamento di lampi,
poi le cateratte del cielo si aprirono ed una vera tromba d'acqua si rovesciò
furiosamente sulla pianura.
Quasi nel medesimo istante si udirono le sentinelle collocate agli
angoli delle cinte gridare:
- All'armi! Ecco il nemico!
Yanez e Tremal-Naik, che si erano coricati sul parapetto, erano
balzati in piedi.
- Alle spingarde! - aveva gridato il portoghese con voce tuonante.
Alla luce dei lampi, luce vivissima perchè era un bagliore
continuo, con incessante accompagnamento di tuoni formidabili, si vedevano i
dayaki attraversare la pianura a corsa sfrenata, a gruppi, a drappelli, coi
loro giganteschi scudi alzati per proteggersi dai rovesci d'acqua.
Parevano demoni vomitati dall'inferno e l'illusione, con quel
lampeggiare che proiettava sulla terra fasci di luce ora rossastra e ora
livida, ora cadaverica, era perfetta.
Le spingarde, che come dicemmo erano state coperte a tempo colle
tettoie, avevano cominciato a sparare furiosamente, falciando le cime degli
arbusti spinosi prima che la mitraglia cadesse sulla pianura.
Anche i malesi, i giavanesi ed i pirati che non erano occupati al
servizio delle bocche da fuoco, sparavano come meglio potevano, rannicchiati
dietro i parapetti, ma l'acqua che cadeva era tanta e tanta che il più delle
volte le carabine facevano cilecca.
La bufera rendeva la difesa estremamente difficile con le armi da
fuoco, e non accennava a calmarsi, anzi! È vero che non doveva durare molto;
gli uragani che scoppiano in quelle regioni acquistano una intensità
spaventevole, di cui non possiamo farci un'idea, ma ordinariamente non si
prolungano al di là d'una mezz'ora.
Anzi, talvolta cessano dopo pochi minuti. Che furia però in quel
brevissimo tempo! Pare che l'universo intero vada a catafascio o che un
incendio immenso lo divori, nonostante le trombe d'acqua che si rovesciano dal
cielo.
La nube nera pareva che fosse diventata di fuoco e che tutti i
venti si fossero concentrati sulla pianura stendendosi intorno al kampong di
Tremal-Naik.
Gli alberi si torcevano come fossero semplici fuscelli; i
giganteschi durion che pareva dovessero sfidare le più tremende convulsioni
terrestri e celesti, rovinavano al suolo sradicati da quelle raffiche
irresistibili; i poderosi pombo si spogliavano rapidamente dei loro rami; le
gigantesche foglie delle palme e dei banani volavano per l'aria come mostruosi
volatili.
Acqua, vento e fuoco si mescolavano gareggiando di violenza,
mentre in alto, sulla cima della cupola fiammeggiante, i tuoni facevano udire
la poderosa voce della tempesta, soffocando completamente i rombi del mirim,
dei lilà e delle spingarde.
I difensori del kampong, quantunque accecati dai lampi e affogati
sotto quei getti d'acqua colossali, non si smarrivano d'animo e mantenevano il
loro fuoco vivissimo mitragliando le orde selvagge che si avanzavano mescendo
le loro urla ai tuoni del cielo.
- Non arrestatevi! - gridavano senza posa Yanez, Tremal-Naik e
Sambigliong, che si trovavano sotto la tettoia che riparava la spingarda della
saracinesca.
I dayaki che non subivano già grosse perdite, non marciando più in
colonna, ben presto giunsero sotto le piante spinose che si misero a sciabolare
furiosamente coi loro pesanti kampilang, per aprirsi un varco che permettesse
loro di montare liberamente all'assalto della cinta.
Tutto il loro sforzo si era concentrato verso le saracinesche che
ormai conoscevano. Era quello il punto più solido del kampong, ma anche quello
che offriva maggiori probabilità di poter invadere la fattoria. Alcuni
drappelli si erano muniti di travi pesanti per servirsene come di arieti e
sfondare i panconi della cinta.
Yanez e Tremal-Naik, comprendendo che stavano per giuocare la loro
ultima carta, avevano fatti accorrere tutti i servi del kampong coi pentoloni
colmi di caucciù. Quel liquido terribile, ancora una volta, poteva rendere maggiori
servigi che le armi da fuoco.
I dayaki, che massacravano rapidamente gli arbusti spinosi,
giungevano. Un drappello dopo essersi aperto un largo sentiero, sbucò sotto la
cinta ed assalì risolutamente la saracinesca percuotendola poderosamente con un
tronco d'albero spinto innanzi da trenta o quaranta braccia.
Una pioggia di caucciù bollente, che cadde sulle loro teste,
bruciando ad un tempo i loro capelli e la cotenna, li costrinse ad abbandonare
precipitosamente l'impresa.
Un altro non ebbe miglior fortuna; ma giungeva il grosso che la
mitraglia delle spingarde non era riuscita a trattenere.
Due o trecento uomini, resi furibondi dall'ostinata resistenza che
opponevano gli assediati, si rovesciarono contro la cinta appoggiando ai
parapetti delle grosse canne di bambù per dare la scalata alle terrazze. Alle
grida di Yanez e di Tremal-Naik, tutti gli uomini del kampong erano accorsi da
quella parte, non lasciando che pochi artiglieri alle spingarde.
Avevano gettate le carabine, diventate quasi inutili con
quell'acquazzone che non cessava ancora, ed avevano impugnati i parangs, armi
non meno pesanti e non meno taglienti dei kampilang dei dayaki.
Gli assalitori, nonostante gli spruzzi abbondanti del liquido
infernale, montavano intrepidamente all'attacco con un coraggio disperato,
mandando clamori orribili.
I primi che giungono sui parapetti, rotolano nel fossato
sottostante con le mani tagliate o la testa spaccata, ma altri ne
sopraggiungono menando formidabili colpi di kampilang per allontanare i
difensori.
Si arrampicano come le scimmie, su pei bambù o balzandosi l'uno
addosso all'altro formano delle piramidi umane che nemmeno il caucciù, che
continua a venire versato, riesce a scuotere.
Mandano urla spaventevoli, la loro pelle cade a brandelli e fuma,
eppure quei fanatici, incoraggiati dalla voce del pellegrino che echeggia in
mezzo alle piante spinose, resistono con una tenacia che fa impallidire Yanez,
il quale comincia a perdere buona parte della sua fiducia.
I difensori del kampong, soprattutto i Tigrotti della Malesia, non
dimostrano tuttavia meno tenacia, nè meno coraggio degli assalitori.
I loro parangs, manovrati da braccia solide, tagliano nel vivo e
mutilano orrendamente quelli che riescono a issarsi sui parapetti.
Mentre i dayaki urlano:
- Allah! Allah! Allah! -, nè più nè meno dei fanatici mussulmani
delle sabbiose terre dell'Arabia, i pirati di Yanez rispondono con non meno
entusiasmo:
- Viva Mompracem! Largo alle tigri dell'arcipelago!
Il sangue scorre a fiotti. Le palizzate della cinta grondano e le
terrazze si arrossano.
Da una parte e dall'altra combattono con pari furore, mentre
l'uragano imperversa sempre e somministra la luce ai combattenti onde possano
scannarsi meglio.
La tenacia e il coraggio dei dayaki, non guadagnano gran che. Tre
volte i guerrieri del pellegrino, tutto sfidando, il fuoco delle spingarde
collocate agli angoli che li prende di fianco con bordate di chiodi, i getti di
caucciù ed i parangs che li mutilano, sono mandati all'assalto e hanno
raggiunti e anche scavalcati i parapetti e tre volte sono stati costretti a
lasciarsi cadere nei fossati già pieni di morti e di feriti.
- Ancora uno sforzo! - urla Yanez, che vede gli assalitori
esitare. - Uno sforzo ancora e avremo ragione di questi testardi.
Le spingarde raddoppiano il fuoco ed i malesi e i giavanesi, che
hanno avuto un momento di riposo, tornano a tagliare nel vivo, mentre i servi
rovesciano gli ultimi vasi contenenti il caucciù.
L'attacco si rallenta, i dayaki tentano per la quarta volta la
scalata, non più con lo slancio e col fanatismo di prima.
La paura comincia ad impossessarsi dei loro animi. Non invocano
nemmeno più Allah.
Tuttavia il loro ultimo sforzo non è meno pericoloso. Sono ancora
in buon numero, mentre la guarnigione si è assottigliata non poco, esposta al
fuoco di alcuni tiratori nascosti sotto gli arbusti.
E poi la stanchezza comincia a farsi sentire. Le lunghe sciabole
pesano nelle mani dei malesi e dei giavanesi, se non in quelle dei Tigrotti di
Mompracem.
I tagliatori di teste tornano ad arrampicarsi, mentre i loro
compagni che sono nel fossato, tentano con uno sforzo supremo di aprire una
breccia nella saracinesca percuotendo i panconi colle travi.
Guai se i difensori si perdono d'animo. È finita per tutti. Anche
per la graziosa Darma!
Yanez volta la spingarda in modo che la mitraglia rada il
parapetto, gridando contemporaneamente ai suoi uomini che stanno per avventarsi
sugli assalitori che già si preparano a balzare sulle terrazze:
- Indietro... un momento solo!
Il colpo parte e la mitraglia spazza da un angolo all'altro della
cinta, tutto il parapetto, fulminando o storpiando quanti nemici si trovano
sopra.
Nel medesimo tempo i servi rovesciano tutte le caldaie ancora
rimaste su coloro che s'accaniscono contro la saracinesca.
Il fumo si era appena dileguato, quando una tigre superba si
scaglia sul parapetto mandando un aoung ferocissimo, abbranca un dayako rimasto
sospeso e miracolosamente illeso e gli pianta i denti nel cranio.
Alla vista di quel terribile carnivoro che i lampi incessanti mostrano
come se fosse di pieno giorno, un terrore invincibile invade gli assalitori.
Se anche le belve della foresta accorrono in aiuto dell'uomo
bianco e dell'indiano, vuol dire che gli uomini sono più potenti del pellegrino
della Mecca.
La ritirata si converte in pochi istanti in una fuga precipitosa,
disordinata. Dei selvaggi gettano perfino gli scudi e i kampilang per correre
più lesti.
Più nessuno obbedisce ai capi, nè alle grida del pellegrino che
invano si sfiata a urlare:
- Avanti per Allah! Maometto vi protegge!
Non erano dopotutto così sciocchi per accorgersi che Allah ed il
Profeta non li avevano affatto protetti.
Mentre scappavano a rotta di collo, spronati dai tiri delle
spingarde, un uomo si era slanciato sulla terrazza, muovendo rapidamente verso
Yanez e Tremal-Naik. Era anche quello un bel tipo di indiano di circa
quarant'anni, meno alto di Tremal-Naik ed invece più membruto, dalla pelle
abbronzata con certi riflessi dell'ottone, che spiccava vivamente sul suo
vestito bianco, cogli occhi nerissimi e fieri ed i lineamenti fini ad un tempo
ed energici.
Vedendolo Yanez aveva mandato un grido di gioia:
- Kammamuri!
- Il mio bravo maharatto! - aveva esclamato dal canto suo
Tremal-Naik.
- Arrivo troppo tardi, - rispose il nuovo arrivato, - è vero padrone?
- In tempo per vedere i talloni dei dayaki, - rispose Tremal-Naik.
- Sei salito in questo momento? - chiese il portoghese.
- Sì, signor Yanez, ed è stato un vero miracolo se i vostri uomini
non mi hanno ucciso. Mi arrampicavo sulla fune e proprio nel momento che
tiravano una bordata di chiodi.
- Sei stato a Mompracem?
- Sì, signor Yanez.
- Dunque hai veduto la Tigre della Malesia?
- L'ho lasciata sette giorni or sono.
- Sei giunto solo?
- Solo, signor Yanez.
- Non hai condotto alcun rinforzo?
- No.
- Va'a rifocillarti, che devi essere stremato dalle privazioni.
Fra poco noi saremo da te, - disse Tremal-Naik. - Yanez, diamo gli ultimi colpi
ai fuggiaschi e tu, Darma, - gridò, volgendosi verso la tigre, che portava il
medesimo nome di sua figlia, - lascia quell'uomo e vattene in cucina.
Dieci minuti dopo Yanez e Tremal-Naik, assicuratisi che i dayaki
avevano sgombrato anche la zona alberata e che tutti si erano ripiegati sui
loro accampamenti, certi di non venire più disturbati, almeno per quella notte,
lasciavano la terrazza per raggiungere il maharatto.
L'uragano stava per calmarsi. La nera nube si era squarciata e
attraverso uno strappo mostravasi la luna.
Solo in lontananza il tuono continuava a brontolare e si udiva il
vento ululare sinistramente sotto le folte foreste che circondavano la pianura.
Trovarono Kammamuri nel salotto da pranzo, seduto dinanzi alla
tavola, che divideva fraternamente un pollo arrostito colla tigre.
- È finita la battaglia, padrone? - chiese, rivolgendosi a
Tremal-Naik.
- E spero che non avranno più desiderio di ritornare per qualche
tempo, - rispose l'indiano. - È la seconda sconfitta che subiscono.
- Quali nuove rechi da Mompracem? - chiese Yanez, sedendosi di
fronte al maharatto. - Io sono stupito di averti veduto giungere senza una
scorta. Gli uomini non mancano a Mompracem.
- È vero, signor Yanez, ma anche là sono non meno necessari di
qui, - rispose il maharatto.
Il portoghese e anche Tremal-Naik avevano fatto un gesto di
stupore.
- Padrone, signor Yanez, io reco da Mompracem delle gravi notizie.
- Spiegati meglio, - disse il portoghese. - Chi può minacciare il
covo delle tigri di Mompracem?
- Un nemico non meno misterioso del pellegrino, appoggiato dagli inglesi
di Labuan e dal nipote di James Brooke, il nuovo rajah di Sarawak.
Yanez aveva lasciato cadere un pugno così formidabile sul tavolo,
da far traballare i bicchieri e le bottiglie.
- Anche Mompracem minacciata! - esclamò.
- Sì, signor Yanez, e la cosa è più grave di quello che credete.
Il governatore di Labuan ha notificato a Sandokan che deve prepararsi a
sgombrare l'isola.
- La nostra Mompracem? E per quale motivo?
- Egli ha scritto alla Tigre che la presenza degli antichi pirati
costituisce un pericolo permanente per la tranquillità e per lo sviluppo della
colonia inglese; che l'isola è troppo vicina e troppo difesa; e che infine
serve d'incoraggiamento ai pirati bornesi i quali cominciano ad alzare la testa
e scorrere il mare, contando sull'appoggio vostro.
- Menzogne! Noi da molti anni abbiamo rinunciato alle nostre
scorrerie e non prestiamo più appoggio ai bornesi, che scorazzano i mari della
Malesia.
- Sono infamie! - gridò Tremal-Naik. - È questa la ricompensa che
l'Inghilterra riserbava pei valorosi che hanno liberata l'India dagli
strangolatori? Hanno ben ragione di chiamare quel governo l'insaziabile
leopardo.
- E Sandokan, che cosa ha risposto a quell'insolente governatore?
- chiese Yanez.
- Che è pronto a difendere la propria isola e che non cederà
dinanzi ad alcuna minaccia.
- E sta fortificandosi?
- Ha fatto arruolare già cento dayaki di Sarawak e a quest'ora li
avrà ricevuti. Voi sapete che contate ancora dei fidi amici fra gli antichi
partigiani di Muda Hassim, il competitore di James Brooke, lo sterminatore dei
pirati.
- Sì, vi son laggiù delle persone che si ricordano ancora che
fummo noi a rovesciare Brooke e rimandarlo in Inghilterra senza una ghinea, -
rispose Yanez. - E chi è che ha mosso tutta questa guerra? Qui i dayaki
fanatizzati da un pellegrino che vogliono la testa del tuo padrone; là gli
inglesi aizzati da chissà chi, giacchè fino a poche settimane or sono noi
vivevamo in buoni rapporti col governatore di Labuan.
- E pare che vi sia anche il rajah di Sarawak della partita, il nipote
di Brooke, - aggiunse Kammamuri. - Una nave di quel reame, senza alcun motivo
plausibile, ha affondato in questi giorni un praho di Sandokan lasciando
affogare l'intero equipaggio. Mandata la Marianna a dargli la caccia e chiedere
al comandante spiegazioni e riparazioni, per tutta risposta l'equipaggio
ricevette l'intimazione di seguirlo a Sarawak.
- Ciò che non avrà fatto, suppongo, - disse Tremal-Naik.
- No, ma dovette ritornare più che in fretta a Mompracem sotto il
fuoco d'una nave a vapore giunta improvvisamente per sostenere la prima, e che
portava pure sul picco le bandiere del rajah.
- Tremal-Naik, - disse Yanez che si era alzato e che passeggiava
nervosamente per la sala. - Mi viene un sospetto.
- E quale?
- Che tutta questa congiura sia opera del rajah per vendicare la
caduta di suo zio e che si sia accordato col governo inglese. Già noi siamo una
spina per Labuan, che è così prossima a Mompracem e che noi molti anni fa per
poco non abbiamo espugnata e conquistata.
- Non solo, signor Yanez, vi è qualche altro nella partita, -
disse Kammamuri.
- E chi?
- Sapete che cosa mi ha raccontato l'ex servo del mio padrone che
mi ha aiutato ad attraversare gli accampamenti dei dayaki e giungere qui
inosservato?
- Che cosa? - chiesero ad una voce Yanez e Tremal-Naik.
- Che il pellegrino che ha fanatizzato i dayaki e che li ha armati
e pagati largamente, non è un arabo, come lo si è creduto finora, bensì un
indiano.
- Un indiano! - esclamarono i due amici.
- E ho da dirvi qualche cosa di più grave ancora, che vi farà
aprire di più gli occhi e meglio comprendere con quale nemico noi abbiamo da
fare. L'ex servo ha aggiunto d'averlo sorpreso una notte in una capanna
inginocchiato dinanzi ad una bacinella piena d'acqua contenente dei piccoli
pesci rossi, dei manghi del Gange, di certo.
- Per Giove! - esclamò Yanez, fermandosi di colpo, mentre
Tremal-Naik balzava in piedi col viso alterato. - Un bacino con dei pesci
dentro!
- Sì, signor Yanez.
- Allora quell'uomo è un thug! - esclamò Tremal-Naik con accento
di terrore.
- Deve essere tale perchè solamente gli strangolatori indiani
adorano i manghi del Gange che, secondo le loro credenze, incarnano l'anima
della dea Kalì, - rispose Kammamuri.
Per alcuni istanti nella sala regnò un profondo silenzio. Perfino Darma,
la superba tigre ammaestrata, divorava la sua cena senza più brontolare, come
se avesse compresa la gravità eccezionale della situazione.
- Udiamo, - disse ad un tratto Yanez, che aveva riacquistato
subito il suo sangue freddo. - Chi è l'uomo che ti ha raccontato ciò?
- Karia, un dayako che fu ai nostri servigi e che ora si trova nel
campo dei ribelli, un uomo intelligentissimo che corseggiò i mari parecchi
anni. Un giorno gli ho salvato la vita, mentre una tigre stava per divorarlo ed
ha conservato a me un po' di riconoscenza. È stato lui, come vi dissi, a farmi
attraversare le linee dei ribelli.
- Dove lo avevi trovato? - chiese Tremal-Naik.
- Nella foresta, mentre io cercavo di accostarmi inosservato al
kampong. Invece di tradirmi e di consegnarmi al pellegrino, mi guidò qui, dopo
d'avervi avvertiti, con una freccia ed un mio biglietto, della mia presenza.
- Possiamo quindi fidarci di quanto ti ha narrato? - disse Yanez.
- Pienamente; e poi non ha mai udito parlare dei thugs indiani ed
è rimasto molto meravigliato quando mi udì a dire che se il pellegrino adorava
di nascosto i pesci non era mussulmano.
- Yanez, - disse Tremal-Naik, che era ancora in preda ad una
profonda agitazione, - che cosa pensi di fare?
Il portoghese, appoggiato alla tavola, con una mano sulla fronte e
la testa china, pareva che meditasse profondamente.
- Siamo stati degli stupidi, - disse ad un tratto. - Io mi chiedo
come mai non abbiamo pensato che quel dannato pellegrino potesse essere un
thug! Eppure l'odio che ha contro di te, Tremal-Naik, che hai rapito prima loro
la Vergine della pagoda e poi hai strappato pur loro tua figlia Darma, che
doveva surrogare sua madre, doveva bastare per aprirci gli occhi.
Poi, dopo un breve silenzio, aggiunse:
- Se noi non avessimo veduto Suyodhana, il loro capo, spirare
sotto il pugnale di Sandokan, si potrebbe credere che tutto ciò è opera sua, ma
noi tutti abbiamo constatata la sua morte ed abbiamo veduto il suo cadavere
gettato nella gran fossa comune assieme ai ribelli di Delhi.
- Chi può essere quel pellegrino? Uno dei luogotenenti di
Suyodhana?
- Yanez, che cosa dobbiamo fare? - chiese per la seconda volta
Tremal-Naik. - Ora che sappiamo che vi è la mano dei thugs che noi credevamo
per sempre annichiliti, io tremo per la vita della mia Darma.
- Non ci resta che andarcene al più presto da qui e raggiungere
Sandokan. Qui non abbiamo più nulla da fare ed io e Sandokan sapremo
compensarti largamente di ciò che abbandoni nelle mani dei dayaki.
- Sono ancora abbastanza ricco e ho, tu lo sai, delle fattorie
anche nel Bengala. Vorrei invece sapere come potremmo noi fuggire cogli
assedianti alle costole.
- Il mezzo lo troveremo. Si dice che la notte porti consiglio. Già
che i dayaki ci lasciano un momento tranquilli, andiamo a riposare. Sambigliong
s'incaricherà di disporre gli uomini di guardia. Chissà che domani il mio
cervello non abbia trovato qualche buona idea.
Certi che gli assedianti, colla terribile batosta ricevuta, non
sarebbero tornati alla riscossa, i tre uomini che erano stanchissimi si ritrassero
nelle loro stanze non certo lieti, specialmente il portoghese e Tremal-Naik,
della brutta piega che prendevano le cose.
La notte passò tranquilla. I dayaki, scoraggiati e anche
addolorati per le gravi perdite subite, non avevano più osato lasciare i loro
accampamenti che dovevano rigurgitare di feriti.
Gli uomini di guardia del kampong udirono fino all'alba rullare i
tamburoni e i lamenti dei parenti dei morti rimasti nei fossati delle cinte,
che nessuno aveva levati di là.
Al mattino seguente Yanez, che aveva dormito male e pochissimo,
angosciato dalle tristi notizie recate dal maharatto, era già in piedi prima
ancora che il sole fosse spuntato all'orizzonte.
Pareva che fosse tormentato da qualche idea, perchè, invece di
scendere nella sala per farsi servire il thè come faceva tutte le mattine,
raggiunse il terrazzo su cui esisteva ancora un pezzo della torretta di legno
che le artiglierie nemiche avevano demolito e di lassù si mise ad osservare
attentamente le cinte e la disposizione interna del kampong.
La fattoria formava un vasto parallelogrammo, tagliato a metà dal
bengalow e dalle tettoie e da una palizzata in modo da poter dividere la
difesa.
La prima parte, dove trovavasi la saracinesca, comprendeva i
fabbricati in muratura: la seconda le aie e le abitazioni della servitù e dei
campieri e i recinti degli animali. Fu quella disposizione, prima non
attentamente notata, che colpì il portoghese.
- Per Giove! - mormorò, stropicciandosi allegramente le mani. -
Ciò si presta meravigliosamente al mio progetto. Tutto dipende dalla provvista
delle cantine del mio amico Tremal-Naik. Se il bram abbonda il colpo è fatto. I
dayaki non sono meno golosi dei negri e anche su loro i forti liquori
esercitano un fascino irresistibile. Cane d'un pellegrino! Ti preparerò un tiro
da maestro.
Ridiscese visibilmente soddisfatto e trovò Tremal-Naik e Kammamuri
nel salotto, che stavano vuotando alcune tazze di thè.
- Hai trovato nessuna buona idea che ci permetta di andarcene? -
chiese, rivolgendosi al padre della fanciulla.
- Ho tormentato invano tutta la notte il mio cervello, - rispose
Tremal-Naik che sembrava assai abbattuto. - Non vi sarebbe che un solo
tentativo da fare, un tentativo disperato.
- Quale?
- Di aprirci il passo attraverso le file degli assedianti coi parangs
in pugno.
- E farci probabilmente massacrare, - rispose Yanez. - Trenta
contro trecento, avendo ormai dieci o dodici uomini feriti che non varranno
gran che in una lotta corpo a corpo; brutto affare.
- Non ho trovato altro di meglio.
- Di quanti vasi di bram disponi? - chiese bruscamente Yanez.
- A che cosa potrebbe servirci quel liquore? - chiesero ad una
voce Tremal-Naik e Kammamuri guardandolo con sorpresa.
- Per farci scappare, amici miei.
- Scherzi, Yanez.
- No, Tremal-Naik. D'altronde il momento sarebbe male scelto. Sei
ben provvisto?
- Le mie cantine sono piene, provvedendo io tutte le tribù dei
dintorni.
- I dayaki sono buoni bevitori, vero?
- Come tutti i popoli selvaggi.
- Se trovassero sui loro passi un centinaio di vasi di quel
liquore, a loro disposizione, credi tu che si fermerebbero per vuotarli?
- Non glielo impedirebbe nemmeno il cannone, - rispose
Tremal-Naik.
- Allora, miei cari amici, il pellegrino è giocato, - disse Yanez.
- Non ti comprendiamo.
- Il kampong è diviso in due dalla palizzata interna?
- Sì, l'ho fatto appositamente costruire per opporre maggiore
resistenza nel caso che il nemico avesse potuto forzare la saracinesca, -
rispose Tremal-Naik.
- L'idea è stata buona, amico mio, e ci servirà magnificamente in
questo momento. Noi concentreremo tutte le nostre difese verso le aie e le
abitazioni dei servi, lasciando ai dayaki il passo libero e abbandonando loro
il bengalow e le tettoie.
- Come! - esclamò Tremal-Naik. - Tu cederesti loro le nostre
migliori opere di difesa?
- Non ci servirebbero più dal momento che abbiamo deciso di
evacuare la piazza, - rispose Yanez. - Anzi abbatteremo una parte della cinta
che guarda la saracinesca per attirare meglio i dayaki.
- La palizzata interna non è molto solida.
- Mi basta che resista qualche ora e poi i dayaki non si
affaticheranno ad abbatterla. Preferiranno bere il tuo bram, - disse Yanez
ridendo. - Noi collocheremo nel cortile tutti i vasi che contiene la tua
cantina e vedrai che quella barriera li arresterà meglio di qualunque altra.
- Si ubriacheranno, ne sono certo.
- È quello che desidero; perchè noi ne approfitteremo per
andarcene, dopo d'aver incendiato il bengalow e le tettoie. Protetti dalla
barriera di fuoco, nessuno ci molesterà almeno per alcune ore.
- Tippo Sahib, il Napoleone dell'India non sarebbe certo capace di
architettare un simile piano.
- Quella non era una tigre di Mompracem, - disse Yanez con comica
serietà.
- Cadranno nel laccio i dayaki.
- Non ne dubito. Appena si accorgeranno che la saracinesca è
aperta e che le terrazze sono state abbandonate e disarmate, non indugieranno
ad assalirci. Sotto gli arbusti spinosi non mancano delle spie che si
affretteranno ad avvertirli.
- A quando il colpo? - chiese Kammamuri.
- Tutto deve essere pronto per questa sera. Le tenebre ci sono
necessarie per fuggire senza essere veduti.
- All'opera Yanez, - disse Tremal-Naik. - Io ho piena fiducia nel
tuo piano.
- Hai un cavallo per Darma?
- Ne ho quattro e buoni.
- Va benone, faremo correre i dayaki fino alla costa. Quanto hai
impiegato tu, Kammamuri, a raggiungerla?
- Tre giorni, signore.
- Cercheremo di arrivare prima. I villaggi di pescatori non
mancano e qualche praho o delle scialuppe sapremo trovarle.
L'audace progetto fu subito comunicato ai difensori del kampong e
da tutti approvato senza obiezioni. D'altronde, non vi era nessuno che non
fosse disposto a fare un supremo tentativo per liberarsi da quell'assedio che
cominciava a pesare e demoralizzare la piccola guarnigione.
I preparativi vennero cominciati. Le spingarde vennero ritirate e
piazzate dietro la palizzata interna, su terrazze frettolosamente costruite,
essendo la fattoria fornita di legname, poi le cantine furono vuotate portando
tutto il bram nel cortile che si estendeva dinanzi al bengalow.
Vi erano più di ottanta vasi, della capacità di due e anche tre
ettolitri ciascuno; tanto liquore da ubriacare un esercito, essendo quella
mistura fermentata, di riso, di zucchero e di succhi di palme diverse,
eccessivamente alcolica.
Verso il tramonto, la guarnigione abbattè una parte della cinta e
dopo aver isolate le terrazze, le incendiò per meglio attirare i dayaki e far
loro credere che il fuoco fosse scoppiato nel kampong.
Terminati quei diversi preparativi e preparate delle cataste di
legna sotto le tettoie e nelle stanze terrene del bengalow, abbondantemente
innaffiate di resine e di caucciù onde ardessero immediatamente, la guarnigione
si ritrasse dietro la palizzata in attesa del nemico.
Come Yanez aveva preveduto, gli assedianti attratti dai bagliori
dell'incendio che divorava le terrazze contro cui si erano fino allora infranti
i loro sforzi e fors'anche avvertiti dai loro avamposti celati sotto gli
arbusti spinosi, che le cinte erano state sfondate, non avevano indugiato a
lasciare i loro accampamenti per muovere ad un ultimo assalto.
Presa fra il fuoco ed i kampilang, la guarnigione del kampong non
doveva tardare ad arrendersi.
Calavano le tenebre quando le sentinelle che vegliavano sui due
angoli posteriori della fattoria annunciarono il nemico.
I dayaki avevano formato sei piccole colonne d'assalto e
s'avanzavano di corsa, mandando clamori assordanti. Si tenevano ormai certi
della vittoria. Quando Yanez li vide entrare fra gli arbusti, fece dare fuoco
alle cataste di legna accumulate sotto le tettoie e nelle stanze del bengalow,
poi appena vide che i suoi uomini erano in salvo, fece tuonare le spingarde per
simulare una disperata difesa.
I dayaki erano allora davanti alle cinte. Vedendole in parte
abbattute ebbero un momento di esitazione temendo qualche agguato, poi
passarono correndo sotto le terrazze che finivano di ardere e si rovesciarono
all'impazzata nel kampong, urlando a squarciagola, pronti a sgozzare i
difensori a colpi di kampilang.
Yanez vedendoli slanciarsi verso gli enormi vasi che formavano
come una doppia barriera dinanzi al bengalow, aveva dato ordine di sospendere
il fuoco per non irritare troppo gli assalitori.
Vedendo quei recipienti, i dayaki per la seconda volta si erano
arrestati. Un resto di diffidenza li tratteneva ancora non sapendo che cosa
potessero contenere.
L'alcol che si sprigionava dai coperchi, che erano stati
appositamente smossi, non tardò a giungere ai loro nasi.
- Bram! Bram!
Fu il grido che uscì da tutte le gole. Si erano precipitati sui
vasi, strappando i coperchi e tuffando le mani nel liquido.
Urla di gioia scoppiarono tosto fra gli assedianti. Una bevuta
s'imponeva, tanto più che i difensori avevano sospeso il fuoco.
Un sorso, solo un sorso e poi avanti all'attacco! Ma dopo le prime
gocce tutti avevano cambiato parere. Era meglio approfittare dell'inazione
della guarnigione del kampong; d'altronde era infinitamente migliore,
quell'ardente liquore, delle palle di piombo.
Invano i capi si sfiatavano per cacciarli innanzi. I dayaki erano
diventati ostriche attaccate al loro banco colla differenza che si erano invece
incrostati ai vasi.
Ottanta vasi di bram! Quale orgia! Mai si erano trovati a simile
festa.
Avevano gettato perfino gli scudi ed i kampilang e bevevano a
crepapelle, sordi alle grida e alle minacce dei capi.
Yanez e Tremal-Naik ridevano allegramente, mentre i loro uomini
staccavano senza troppo rumore alcuni tavoloni dalla cinta per prepararsi la
ritirata.
Intanto le tettoie cominciavano ad ardere e dalle finestre del bengalow
uscivano torrenti di fumo nero.
Fra pochi istanti una barriera di fuoco doveva frapporsi fra gli
assedianti e gli assediati.
I dayaki non parevano preoccuparsi dell'incendio che minacciava di
divorare l'intero kampong.
Insaziabili bevitori continuavano a dare dentro ai vasi, urlando,
ridendo, cantando, e contorcendosi come scimmie. Bevevano colle mani, coi
panieri destinati a contener le teste dei vinti nemici, con gusci di noci di
cocco trovati per il cortile.
I loro stessi capi avevano finito per imitarli. Il terribile
pellegrino dopo tutto era al campo e non poteva vederli. Perchè non avrebbero
approfittato di quell'abbondanza, dal momento che gli assediati si mantenevano
tranquilli?
E gli uomini cadevano, come fulminati, pieni da scoppiare, intorno
ai vasi, mentre le fiamme s'alzavano altissime facendo piovere su di loro una
pioggia di scintille.
Il bengalow era tutto in fuoco e le tettoie, piene di provviste,
ardevano come zolfanelli, illuminando i bevitori.
Era il momento di andarsene. I dayaki non si ricordavano forse di
non aver più dinanzi il nemico, tanto la loro ubriachezza era stata rapida.
- In ritirata! - comandò Yanez. - Abbandonate tutto fuorchè le
carabine, le munizioni ed i parangs.
Aiutando i feriti, lasciarono silenziosamente la palizzata,
attraversarono la cinta e si slanciarono a corsa sfrenata attraverso la
pianura, preceduti da Tremal-Naik e da Kammamuri che cavalcavano a fianco di
Darma.
La tigre li seguiva spiccando salti immensi, spaventata dalla luce
dell'incendio che diventava sempre più intensa.
Raggiunto il margine della boscaglia che si estendeva verso
ponente, il drappello che si componeva di trentanove persone, compresi sette
feriti, s'arrestò per prendere fiato e anche per osservare ciò che succedeva
nel kampong e negli accampamenti dei dayaki.
La fattoria pareva una fornace. Il bengalow che era costato tante
fatiche al suo proprietario, ardeva dalla base alla cima come una fiaccola
immensa, lanciando in aria fitte nubi di fumo e sprazzi di scintille.
Le cinte avevano pure preso fuoco e rovinavano assieme alle
terrazze. Si udivano gli scoppi delle spingarde che erano state abbandonate
ancora cariche. Degli uomini s'aggiravano affannosamente trascinando i
guerrieri che si erano ubriacati e che correvano il pericolo di essere bruciati
accanto ai vasi di bram.
Il pellegrino doveva aver tenuto alcuni drappelli di riserva per
appoggiare le colonne d'assalto nel caso che non fossero riuscite a penetrare
nel kampong e, non udendo più nè spari nè grida di guerra, erano certamente
accorsi per vedere che cosa era successo dei loro compagni.
- Che l'inferno bruci tutte quelle canaglie, - disse Yanez
inforcando uno dei quattro cavalli che gli era stato condotto da Tangusa. -
Solo mi spiace andarmene senza aver potuto mettere le mani su quel cane di
pellegrino. Spero di ritrovarlo un giorno sul mio cammino e allora guai a lui!
- Un giorno? - disse ad un tratto Kammamuri, che aveva volti gli
sguardi verso il nord. - Gambe, signori! Siamo stati scoperti e ci danno la
caccia!
13. La ritirata attraverso le
foreste
Ai bagliori dell'incendio, che rischiaravano tutta la pianura, il
maharatto aveva scorta una colonna di dayaki che s'avanzava a passo di corsa
lungo il margine della foresta, cercando di accostarsi inosservata. Doveva
essere l'ultima riserva del pellegrino, che muoveva alla caccia dei fuggiaschi.
Qualcuno doveva averli veduti attraversare la pianura ed aveva
dato l'allarme prima che scomparissero sotto i boschi.
Yanez e Tremal-Naik con un solo sguardo si persuasero che non era
il caso d'impegnare una lotta, anche se il grosso dei nemici si trovava, almeno
per parecchie ore, nell'impossibilità di prendere le armi.
- Sono almeno un centinaio e per la maggior parte armati di
fucili! - aveva esclamato il portoghese. - Raccomandiamoci alle nostre gambe e
carichiamo i feriti più gravi sui cavalli. A terra Tremal-Naik, e anche tu
Kammamuri, e tu, Sambigliong, forma un drappello che protegga la ritirata.
Sei feriti furono fatti salire sui tre cavalli rimasti liberi, il
settimo fu quello montato da Darma ed il drappello si slanciò di corsa sotto la
foresta, fuggendo verso ponente.
Sambigliong, con otto uomini scelti fra i più lesti ed i più
robusti, si era messo alla retroguardia per rallentare, con qualche scarica, lo
slancio degli inseguitori.
Avevano il vantaggio di qualche chilometro e si studiavano di
mantenerlo, facendo sforzi disperati per non rimanere indietro.
Quella corsa sfrenata sotto le gigantesche piante durò una buona
ora, poi Yanez e Tremal-Naik, avendo trovato una macchia foltissima,
comandarono la fermata onde non sfiatare completamente i loro compagni.
Quel luogo si prestava anche opportunamente per una valida difesa
nel caso che i dayaki fossero riusciti a scoprirli, essendo la macchia formata da
durion dal tronco enorme che potevano benissimo proteggerli.
Ogni rumore era cessato. Non udivano più le grida degli
inseguitori lanciati sulle loro tracce. Si erano fermati, non osando inoltrarsi
sotto la foresta o s'avanzavano a passi di lupo per sorprenderli?
- Aspettiamoli qui, - aveva detto Yanez. - Se hanno smarrite le
nostre tracce le ritroveranno infallantemente e preferisco fucilarli fra questi
colossi, piuttosto che ci piombino addosso in un altro luogo più scoperto. Se
possiamo infliggere loro un'altra lezione, quelle mignatte ci lasceranno
tranquilli fino a che non sarà passata l'ebrezza agli altri. È terribile una
sbornia di bram, è vero, Tremal-Naik?
- Dura almeno ventiquattro ore, - rispose l'indiano.
- Con un simile vantaggio giungeremo sulle rive del mare prima di
loro.
- Purchè non scendano il Kabatuan con delle piroghe. Ecco il
pericolo.
- È più breve la via del fiume?
- Di molto, Yanez.
- Non avevo pensato a questo. Bah, se ci assalgono in mare ci
difenderemo. Tutto dipende dall'avere un paio di prahos.
- Ne troveremo, signor Yanez, - disse Kammamuri. - Nel villaggio
ove ne ho noleggiato uno per recarmi a Mompracem, ne ho veduti parecchi. Non
avranno difficoltà, quei pescatori, a vendercene un paio.
Attesero più di un'ora entro la macchia, aspettando invano
l'arrivo dei dayaki.
Certi che avessero smarrite le loro tracce o che fossero tornati
verso i loro accampamenti decisero, dopo breve consiglio, di riprendere la
marcia.
Collocarono la fanciulla ed i feriti nel centro della colonna e s'addentrarono
risolutamente nella immensa foresta che Kammamuri asseriva estendersi quasi
senza interruzione fino sulle rive del mare.
Tutta la notte proseguirono la marcia, sempre col timore di veder
si raggiungere dai tagliatori di teste e allo spuntare del sole improvvisarono
un accampamento sulla riva d'un fiumicello che doveva essere qualche affluente
del Kabatuan.
Le loro apprensioni andavano a poco a poco calmandosi e
cominciavano a sperare di poter raggiungere il mare senza altri combattimenti e
d'imbarcarsi per Mompracem.
Ed infatti anche quel giorno passò tranquillo. Della colonna
lanciata sulle loro tracce più nessuna nuova.
Per altri tre giorni continuarono ad inoltrarsi attraverso quella
interminabile foresta, abitata solamente da qualche tranquillo tapiro e da
qualche banda di babirussa e verso il tramonto del quinto salivano i primi
contrafforti dei monti Cristallo, la gran catena costiera che si prolunga da
nord al sud a breve distanza dalle sponde occidentali dell'immensa isola.
Nonostante la foltezza dei boschi, l'incontro di non poche pantere
nere e di mias, quelle gigantesche scimmie dal pelame rossastro, dotate d'una
forza prodigiosa, anche quella traversata fu compiuta senza gravi pericoli.
Nel pomeriggio del sesto giorno, dopo d'aver avvistato il mare
dalle più alte giogaie della catena, scendevano in una valle strettissima, che
doveva condurli alla costa.
Marciavano da quattro ore, nel più profondo silenzio, in fila
indiana, tanto era stretto il passaggio ed ingombro di massi enormi, quando
delle grida lontane li fermarono di colpo.
- I dayaki? - aveva chiesto Yanez, voltandosi rapidamente.
Una scarica rimbombò in quel momento sul margine superiore della
vallata ed una truppa numerosissima d'uomini apparve, scendente a precipizio i
fianchi selvosi della costa.
- Birbanti! - esclamò Yanez, furioso. - Ci hanno seguìti per
schiacciarci in questo luogo!
- Capitano, - disse Sambigliong, - proseguite verso la costa coi
feriti, la signorina Darma e Tremal-Naik ed una piccola scorta. Kammamuri mi ha
assicurato che il mare non è che a tre miglia di distanza.
- E tu? - chiesero Tremal-Naik ed il portoghese.
- Io, signore, assieme agli altri, impedirò il passo a quei
furfanti finchè avete preparati i prahos. Se non li arrestiamo, ci
schiacceranno tutti in questa gola e nessuno di noi rivedrà mai più Mompracem.
Presto, signori, il nemico ci piomba addosso.
- Puoi resistere mezz'ora? - chiese Yanez.
- Anche un'ora, capitano. Lassù, - disse il valoroso mastro della
Marianna, indicando un'alta roccia che si rizzava proprio in mezzo alla
valletta, - terremo duro a lungo.
- Sì, mio bravo, - disse Yanez con voce commossa. - Appena udrai a
tuonare le nostre carabine, ripiegati verso la costa. I prahos o delle
scialuppe saranno pronte. Vi è un villaggio è vero, Kammamuri, allo sbocco di
questo burrone?
- Sì, signor Yanez. È abitato da pescatori e le barche non
mancano! Lesti, signori! Tra noi e la tigre daremo da fare ai dayaki.
Le prime palle giungevano di già, sibilando sinistramente nella gola
e scheggiando le rocce. Qualcuna poteva colpire la fanciulla.
- Arrivederci presto! - gridarono Yanez e Tremal-Naik,
slanciandosi dietro ai cavalli che si erano messi a trottare portando Darma ed
i feriti.
- A me, amici! - disse Sambigliong, volgendosi verso i suoi
uomini. - Facciamo fronte a quei birbanti! Là, tutti su quella rupe! Vieni,
Kammamuri.
Erano in venti, avendone distaccati otto per scortare Yanez e
Tremal-Naik, tutti ben armati e ben provvisti di munizioni.
In pochi salti raggiunsero la rupe che sbarrava quasi
ininterrottamente il burrone e si scaglionarono fra le rocce, riparandosi
dietro le sporgenze. Darma, la tigre addomesticata, l'amica fedele del
maharatto, era con loro, pronta a provare i suoi artigli sulle carni dei
dayaki.
La colonna nemica era già discesa nella valle, a cinquecento passi
dallo scoglio. Era composta di un centinaio e mezzo d'uomini, per la maggior
parte armati di moschetti e di carabine, il fiore certamente delle forze del
maledetto pellegrino.
Vedendo le tigri di Mompracem, i malesi ed i giavanesi della
fattoria occupare la cima della rupe, invece di muovere direttamente
all'assalto, i guerrieri si dispersero fra i cespugli che coprivano il fondo
del burrone e aprirono un fuoco violentissimo colla speranza di snidare i
difensori.
- Amici, - gridò Sambigliong, rivolgendosi ai suoi uomini, - vi
avverto che dobbiamo resistere fino a che udremo il segnale che ci darà l'uomo
bianco. Non contate i morti e non economizzate le cartucce.
- Fuoco! - urlò Kammamuri che occupava proprio la cima della rupe.
Una scarica nutrita partì da dietro le rocce, abbattendo d'un
colpo solo un piccolo drappello di nemici, che, sprezzando il pericolo, muoveva
audacemente innanzi, senza prendere alcuna precauzione. Era composto di una
dozzina d'uomini e nessuno era rimasto in piedi.
- Cominciamo bene, Sambigliong, - gridò Kammamuri. - Per Siva e
Visnù, dovrebbero mandarci incontro un altro manipolo d'uomini.
I dayaki, resi furibondi per la distruzione totale della loro
avanguardia, non avevano indugiato a rispondere con scariche formidabili, che
rintronavano profondamente nella stretta valle.
Per alcuni minuti la fucilata durò intensissima d'ambe le parti,
poi i dayaki, comprendendo che non sarebbero mai riusciti a scacciare, coi
fucili, i difensori della rupe che si tenevano bene nascosti, si radunarono in
varii drappelli per prendere a viva forza quella formidabile posizione.
Impugnati i kampilang, si slanciarono, col loro impeto abituale,
all'attacco, urlando per incutere maggior terrore ai nemici, ma non erano
ancora giunti alla base della rupe che il fuoco dei Tigrotti, dei malesi e dei
giavanesi, li costrinse ad arrestarsi per riprendere i fucili.
- Amici! - gridò Sambigliong ai suoi prodi che non abbandonavano i
loro posti, quantunque molti fossero stati già feriti. - Ecco il momento
terribile! Sappiate morire da eroi!
I dayaki per la seconda volta si erano precipitati all'assalto,
sostenendosi con un fuoco vivissimo.
Malgrado le enormi perdite che subivano, avevano cominciato ad
arrampicarsi su per le roccie, vociando sempre, balzando come scimmie,
impazienti d'impadronirsi delle teste di quegli ostinati difensori e di
vendicarsi di tante sconfitte subite.
Il drappello guidato da Sambigliong e da Kammamuri resisteva
tenacemente. La lotta diventava terribile! Era un battagliare selvaggio,
feroce, inumano.
Gli uomini cadevano mandando urla furiose, tentando ancora di
offendere o col fucile o coi kampilang o coi parangs gli avversari.
Sambigliong e Kammamuri vedevano con angoscia assottigliarsi sempre
più il loro drappello. Tutti quelli che si trovavano a metà della rupe erano
stati decapitati dalle pesanti sciabole degli assalitori o fucilati sul posto
ed il segnale ancora non si udiva! Che cosa poteva essere successo a Yanez? Che
i prahos dei pescatori non fossero ancora rientrati in porto? Era quello che si
chiedevano con ansietà estrema Kammamuri e Sambigliong, i quali ormai si
vedevano impotenti a frenare l'attacco.
I dayaki salivano sempre, sfidando intrepidamente la morte e
facendo scintillare i loro terribili kampilang. Non facevano quasi più fuoco,
tanto erano sicuri della vittoria.
Sambigliong, vedendo sciabolare gli uomini che si erano appiattati
a due terzi della salita, mandò un grido tuonante:
- Kammamuri! Lancia la tigre!
- A te, Darma! - urlò il maharatto. - Sbrana!
La belva, che durante quella intensa fucilata era rimasta nascosta
dietro una roccia, mugolando sordamente e rizzando il pelo, a quel comando
balzò innanzi con un aug spaventevole e piombò su un uomo che stava decapitando
un giavanese, puntandogli i denti nella nuca.
I dayaki, vedendo rovinarsi addosso quella belva, che pareva
volesse divorarli tutti, si erano precipitati all'impazzata giù dalla roccia,
ricaricando precipitosamente i loro moschetti.
Vedendoli retrocedere, Darma aveva subito abbandonato il primo
uomo per scagliarsi sopra un altro. Con un secondo slancio piombò addosso ad
uno dei fuggiaschi, rovesciandolo di colpo, quando una scarica vivissima la
colpì.
La povera bestia si era bruscamente rizzata sulle zampe posteriori,
rimanendo in quella posa alcuni istanti, poi s'abbattè, mentre Kammamuri
mandava un urlo disperato:
- La mia Darma! Me l'hanno uccisa!
Quasi nel medesimo istante si udirono in lontananza tre spari.
- Il segnale! Il segnale! - gridò Sambigliong. - In ritirata!
Del drappello non rimanevano che undici uomini. Tutti gli altri
erano caduti sotto le palle e i kampilang dei dayaki e i loro corpi giacevano
sui pendii della rupe, privi della testa.
Sambigliong afferrò Kammamuri che stava per scendere verso la
tigre, a rischio di farsi fucilare e lo trascinò con sè, dicendogli:
- È morta: lasciala.
Si erano precipitati a corsa disperata nel burrone, mentre una
seconda scarica rumoreggiava verso la costa.
Yanez doveva avere molta premura. Il drappello con una corsa
fulminea percorse tutta la gola, sotto una grandine di palle, avendo i dayaki
ripreso l'inseguimento e sbucò su una piccola pianura alla cui estremità
s'alzavano quindici o venti capanne, piantate su dei pali. Al di là
rumoreggiava il mare.
- Signor Yanez - gridarono Sambigliong e Kammamuri, vedendo dei
piccoli prahos ancorati dinanzi al minuscolo villaggio, colle vele già
spiegate, pronti a prendere il largo.
Il portoghese usciva in quel momento da una capanna, accompagnato
da Tremal-Naik e dalla fanciulla, mentre la loro scorta accostava i due
legnetti alla riva.
- Presto! - gridò Yanez, vedendo i superstiti ad attraversare,
sempre correndo, la piccola pianura.
Pochi minuti dopo, estenuati e insanguinati, madidi di sudore, si
precipitavano sulla riva.
- E gli altri? - chiesero a una voce Yanez e Tremal-Naik.
- Tutti morti, - rispose Kammamuri con voce affannosa; - anche la
tigre, la nostra brava Darma.
- Sia dannato quel cane di pellegrino! - gridò l'indiano, sul cui
viso traspariva un intenso dolore. - Anche la mia tigre perduta!
- Ed i dayaki? - chiese Yanez.
- Fra poco saranno qui, - disse Sambigliong.
- Lesti, imbarchiamoci. Tu sul più grosso, Tremal-Naik, con tua
figlia e la scorta. A me l'altro con Kammamuri ed i superstiti.
S'imbarcarono rapidamente e i due legni presero il largo, mentre
la popolazione della borgata udendo le grida dei dayaki si salvava
precipitosamente nei boschi vicini.
Il vento era favorevole, sicchè i due prahos con poche bordate
uscirono dalla piccola baia, filando rapidamente verso il sud-ovest, non
volendo scostarsi troppo dalla spiaggia, almeno pel momento.
I dayaki giungevano allora sulle rive della baia, ma troppo tardi.
La preda tanto sospirata ancora una volta sfuggiva loro e proprio nel momento
in cui credevano di averla finalmente nella mani.
Non sapendo su chi sfogarsi, avevano dato fuoco al villaggio.
- Canaglie! - esclamò Yanez, che teneva la barra del timone. - Se
avessi ancora la mia Marianna vi darei io una tale lezione da non scordarvela
più. Tutto forse non è finito fra noi e voi e chissà che un giorno non vi
ritroviamo sui nostri passi e allora guai al vostro pellegrino!
I due legnetti, spinti da un fresco vento di settentrione, erano
già lontani e stavano girando il capo Gaya, per entrare nella baia di Sapangar,
entro cui sbocca il Kabatuan.
Erano due piccoli prahos pescherecci, con grandi vele formate di
vimini intrecciati, bassi di scafo, privi di ponte e col bilanciere per poter
meglio appoggiarsi e resistere alle raffiche senza correre il pericolo di
rovesciarsi.
Quello montato da Tremal-Naik, dalla fanciulla e dagli otto uomini
della scorta era un po' più grosso e portava per armamento un lilà; quello di
Yanez invece non aveva che una vecchia spingarda collocata su un cavalletto
fissato sulla prora.
- Pessimi velieri, - disse Sambigliong, dopo un rapido esame. -
Sono vecchi quanto me.
- Non vi era di meglio, mio bravo tigrotto, - rispose Yanez. - È
stata anzi una vera fortuna trovarli e non ci volle poco a indurre quei
pescatori a venderceli.
- Muoviamo subito su Mompracem?
- Costeggeremo fino a Nosong, prima di intraprendere la
traversata. Non vi è molto da fidarsi di queste barcacce che assorbono acqua
come le spugne.
- Sono impaziente di giungervi, capitano.
- Ed io non meno di te, Sambigliong. Che cosa sarà successo
laggiù, dopo le notizie portate da Kammamuri? Come desidero saperlo!
- Che la Tigre stia combattendo contro gli inglesi?
- Non mi stupirei: Sandokan non è un uomo d'abbassare la bandiera
e di cedere alle pretese del governatore di Labuan senza opporre una fiera
resistenza. Come rimpiango ora d'aver perduto la mia nave! Colla mia Marianna e
la sua appoggiati dai prahos da guerra, avremmo potuto dar da fare alle
cannoniere di Labuan.
- Non è colpa mia, capitano Yanez, - disse Sambigliong.
- Tu hai fatto anche troppo per difendere la mia nave, - rispose
Yanez, con voce dolce. - Non ho alcun rimprovero da farti, mio bravo.
Stringiamo verso la costa e cerchiamo di guadagnare più via che potremo. Se il
vento si mantiene, domani notte noi approderemo a Mompracem.
Era allora calato il sole e le tenebre scendevano rapide. Il mare
era calmo, con leggere ondulazioni che non davano alcun fastidio ai due
legnetti, i quali continuavano la loro rotta verso il sud-ovest, tenendosi a
due o tre gomene l'uno dall'altro.
Yanez, seduto a poppa, su una grossa pietra che serviva da ancora,
teneva la mano sulla barra, consumando le sue ultime sigarette, mentre la
maggior parte dei suoi uomini russavano stesi sul fondo del legno.
Soli quattro vegliavano a prora, per la manovra.
Nessun lume brillava sul mare, già divenuto color dell'inchiostro.
Anche verso la costa tutto era tenebroso. Solo verso l'isolotto di Sapangar,
che chiude a ponente la baia omonima, un punto rossastro brillava, la torcia
forse di qualche pescatore notturno.
Al di là del capo Gaya, il vento era venuto quasi a mancare ed i
due velieri non avanzavano che con estrema lentezza.
- Bramerei trovarmi ben lontano dalla baia prima dell'alba, -
mormorò il portoghese. - La foce del Kabatuan per poco non è stata fatale alla
mia Marianna.
Vegliò fino alle una del mattino, poi non scorgendo nulla di
sospetto, cedette la barra a Sambigliong, sdraiandosi sotto un banco, su una
vecchia vela di vimini.
Un grido del mastro lo svegliò bruscamente alcune ore dopo:
- All'armi! Tutti in piedi!
Cominciava allora ad albeggiare e i due prahos, che durante la
notte avevano camminato pochissimo, si trovavano verso la punta settentrionale
dell'isola di Gaya.
Yanez, udendo il grido del suo fedele mastro, era balzato
rapidamente in piedi, chiedendo:
- Ebbene, che cosa c'è? Che non si possa dormire un momento
tranquilli e...
Si era bruscamente interrotto, facendo un gesto che tradiva una
viva ansietà.
Un grosso giong, un veliero assai più rotondo e più lungo dei
soliti prahos, con due vele triangolari, usciva in quel momento dalla baia,
seguìto da una mezza dozzina di doppie scialuppe munite di ponte e da una
scialuppa a vapore che non portava alcuna bandiera sull'asta di poppa.
- Che cosa vuole quella flottiglia? - si era domandato il
portoghese.
Un colpo di mirim, partito dal giong, sparato a bianco, fu la
risposta. La flottiglia intima ai due prahos di fermarsi.
- I dayaki, signori! - gridò in quell'istante Sambigliong, che si
era slanciato verso prora per meglio osservare gli uomini che montavano il
veliero e le doppie canoe. - Signor Yanez, virate di bordo e gettiamoci verso
la costa!
Il portoghese mandò una bestemmia. - Ancora essi! - esclamò poi. -
Ecco la fine!
Era una follia tentare d'impegnare la lotta con forze così
poderose e munite di lilà e di mirim e fors'anche di spingarde. Fuggire era
pure impossibile: la scialuppa a vapore, che era pure montata da uomini di
colore, malesi e dayaki, non avrebbe tardato a raggiungere i due vecchi e
pessimi velieri.
Gettarsi verso la costa o meglio ancora verso l'isola di Gaya che
era coperta di folte foreste, era l'unica salvezza che restasse ai fuggiaschi.
- Appoggiate sulla costa! - gridò Yanez. - E armate i fucili.
Il praho di Tremal-Naik che si trovava a sette o otto gomene da
quello di Yanez, aveva già virato di bordo e muoveva sollecitamente verso Gaya.
Disgraziatamente il tempo mancava. Il giong, accortosi dell'intenzione
dei fuggiaschi, con una lunga bordata si era frammesso fra i due prahos,
seguìto subito dalla scialuppa a vapore ed aveva cominciato a far fuoco coi
suoi lilà, cercando di abbattere le manovre.
- Ah! Canaglie! - aveva gridato Yanez. - Ci separano per
distruggerci più facilmente. Su, tigri di Mompracem, diamo battaglia e
affondiamo tutti piuttosto che cadere vivi nelle mani di quei selvaggi.
Afferrò la carabina e pel primo aprì il fuoco, sparando sul ponte
del giong.
I suoi uomini avevano pure impugnate le armi, moschettando
vigorosamente l'equipaggio della nave avversaria.
Anche sul praho di Tremal-Naik, quantunque stretto fra il grosso
veliero e la scialuppa a vapore che tentava di abbordarlo, le carabine
tuonavano furiosamente, tentando una suprema resistenza.
Non doveva durare a lungo quella lotta così impari. Una bordata di
mitraglia disalberò d'un colpo solo il praho dell'indiano rasandolo come un
pontone ed immobilizzandolo, mentre una piccola granata, sparata dal pezzo
d'artiglieria che armava la scialuppa a vapore sfondava la ruota di prora,
aprendo una falla enorme.
- Tigrotti di Mompracem! - aveva gridato Yanez, che si era subito
accorto della disperata situazione in cui trovavasi Tremal-Naik. - Andiamo a
salvare la fanciulla!
Il praho virò per la seconda volta di bordo cercando di accostarsi
a quello dell'indiano, quando si vide tagliare la via dal giong.
Il grosso veliero, compiuta la sua opera di distruzione, si era
rivolto verso quello di Yanez, mentre la scialuppa a vapore abbordava, con due
doppie scialuppe d'appoggio, quello di Tremal-Naik che cominciava ad affondare.
- Fuoco sul ponte, Tigrotti! - gridò il portoghese. - Almeno
vendichiamo gli amici!
Una voce dall'accento metallico, si levò in quel momento dalla
poppa del giong:
- Arrendetevi al pellegrino della Mecca! Vi prometto salva la
vita!
Il misterioso nemico era apparso sul cassero col suo turbante
verde in capo, impugnando una di quelle corte scimitarre indiane chiamate
tarwar.
- Ah! Cane! - gridò Yanez. - Anche tu ci sei! Prendi!
Aveva in mano la carabina carica. La puntò e fece fuoco
rapidamente.
Il pellegrino aprì le braccia, le richiuse, poi cadde addosso al
timoniere, mentre un altissimo urlo di furore s'alzava fra l'equipaggio del
giong.
- Finalmente! - gridò Yanez. - Ed ora fumiamo la nostra ultima
sigaretta!
La sconfitta delle tigri di Mompracem era oramai questione di
minuti.
Il praho di Tremal-Naik, stretto dalla scialuppa a vapore e dalle
due doppie barche, colla prora sgangherata che beveva acqua in quantità, era
stato subito preso d'assalto nonostante la disperata resistenza dell'equipaggio
e stava per scomparire negli abissi del mare.
Yanez, con una emozione facile a comprendersi, aveva veduto
Tremal-Naik, Darma e pochi superstiti trascinati nella scialuppa a vapore, la
quale aveva subito preso il largo verso il sud, filando velocemente senza più
occuparsi della battaglia.
Sul secondo praho non rimanevano che sette uomini, mentre il giong
ne aveva tre volte tanti e portava grossi pezzi in paragone all'unica e vecchia
spingarda. Per di più le doppie barche accorrevano da tutte le parti per
finirla ed aiutare il grosso veliero.
Non rimaneva che arrendersi o lasciarsi affondare. Già una bordata
di mitraglia aveva fatto cadere a pezzi le due vele di giunchi, togliendo così
a Yanez ogni speranza di poter raggiungere l'isola che si trovava ancora a otto
o dieci gomene di distanza e di salvarsi sotto le folte foreste.
I sette valorosi nondimeno non avevano cessato di far fuoco, bruciando
freddamente le loro ultime cartuccie. Il portoghese ne dava l'esempio, sparando
senza posa, con una calma meravigliosa, senza levarsi dalle labbra la sua
ultima sigaretta che si era promesso di finire prima di andarsene all'altro
mondo.
Il giong, che aveva conservato tutte le sue vele, correva addosso
al povero praho immobilizzato, per abbordarlo o per sfasciarlo con una vigorosa
speronata. Aveva sospeso il fuoco delle sue artiglierie, giudicando inutile
sprecare le munizioni, tanto era oramai sicuro di aver facilmente ragione su
quel pugno di prodi.
- Su, tigri di Mompracem, - gridò Yanez, vedendo che l'equipaggio
del veliero preparava i grappini d'abbordaggio. - Una scarica ancora e poi mano
ai parangs! Saremo noi che salteremo sul ponte del giong.
Quei sette demoni che preferivano la morte alla resa, avevano
scaricate le loro carabine ed impugnate le pesanti sciabole, quando una
violenta detonazione rimbombò dietro di loro, propagandosi pel lontano
orizzonte.
Un istante dopo una nuvola di fumo s'alzava sulla poppa del giong
e l'albero maestro spaccato di colpo dallo scoppio di qualche obice, cadeva
pesantemente in coperta, assieme all'immensa vela che portava, coprendo i
combattenti come sotto un gigantesco sudario.
Yanez, sorpreso che qualcuno potesse accorrere in suo aiuto e
proprio in quel momento, quando pareva che la fine fosse oramai prossima, si
era vivamente voltato.
Una magnifica nave a vapore, di grandi dimensioni, formidabilmente
montata da uomini vestiti di bianco, degli europei senza dubbio, girava in quel
momento la punta settentrionale di Gaya, dirigendosi velocemente sul luogo
della pugna.
- Amici, Tigrotti! Siamo salvi! - gridò mentre un secondo obice
fracassava il timone del giong ed un terzo spaccava in due una delle scialuppe
doppie.
Con un salto fu sulla murata poppiera e facendo porta-voce colle
mani, gridò ripetutamente:
- A me, Europei!
Un quarto colpo di cannone, che aprì una falla enorme alla linea
di galleggiamento del giong, fu la risposta; gli uomini che montavano quella
superba nave dovevano essersi accorti che sui praho vi era un uomo bianco, un
uomo appartenente alla loro razza che correva un estremo pericolo e, senza
chiedere spiegazioni, cannoneggiavano bravamente il grosso veliero, che era
invece montato da selvaggi.
Sul ponte di comando si vedevano alcuni ufficiali fare dei gesti,
come per rassicurare il portoghese.
Le doppie scialuppe, vedendo avanzarsi quel colosso di ferro, si
erano affrettate a scappare verso l'isola, abbandonando il giong alla sua
sorte, tanto più che non avevano più nemmeno l'appoggio della scialuppa a
vapore, scomparsa già verso il sud coi prigionieri.
Il veliero, colpito già da tre obici, si era inclinato su un
fianco, imbarcando acqua per lo squarcio che doveva essere stato gravissimo. I
suoi uomini, dopo d'aver scaricato i loro pezzi contro la nave, cominciavano a
saltare in acqua per non venire attratti dal gorgo.
- Amici! - gridò Yanez. - Ai remi! Andiamo a cercare il
pellegrino!
Mentre la nave a vapore metteva in acqua due scialuppe, montate da
due dozzine d'uomini armati di carabine, i pirati di Mompracem, impadronitisi
dei remi, spinsero il praho addosso al giong il quale cominciava ad immergersi.
A bordo non erano rimasti che dei morti e qualche ferito. Tutti
gli altri nuotavano disperatamente verso l'isola, dove erano già giunte le
scialuppe doppie.
Yanez, Kammamuri e Sambigliong si issarono rapidamente a bordo del
veliero, slanciandosi verso il cassero dove supponevano si trovasse il
pellegrino.
Non si erano ingannati. Il loro misterioso ed implacabile
avversario, giaceva su una vecchia vela, coi pugni stretti sul petto,
comprimendosi una ferita prodotta probabilmente dalla palla della carabina di
Yanez. Non era morto, poichè appena si vide presso quei tre uomini, con uno
scatto improvviso s'alzò sulle ginocchia e strappatesi dalla cintura una
pistola dalla canna lunghissima, tentò di far fuoco. Kammamuri, a rischio di
ricevere la scarica in pieno petto, gli si era gettato prontamente addosso,
strappandogli l'arma.
- Credevo che fossi morto, - disse il maharatto, - ma giacchè ti
ritroviamo ancora vivo, ti ricacceremo all'inferno.
Aveva volta l'arma contro il pellegrino e stava per fracassargli
il cranio, quando Yanez gli trattenne il braccio.
- È più prezioso vivo che morto, - gli disse. - Non commettiamo la
sciocchezza di finirlo. Sambigliong, prendi quest'uomo e portalo sul praho.
Lesti; il giong affonda!
Il veliero continuava a inclinarsi sul fianco squarciato,
minacciando di rovesciarsi. Yanez ed i suoi compagni saltarono sul praho,
mentre una delle due scialuppe gettava un cavo per rimorchiarlo verso la nave,
la quale erasi arrestata a due gomene di distanza.
Tutto l'equipaggio, che era piuttosto numeroso, era salito sulle
murate del vapore, seguendo con viva curiosità l'opera di salvataggio.
- Sono europei! - aveva esclamato Yanez, appena ebbe terminato di
far legare il pellegrino. - Che siano inglesi?
- Per lo meno parlano inglese, - disse Kammamuri, che aveva udito
un comando dato dall'ufficiale che guidava la scialuppa.
- Sarebbe comica che dovessimo la nostra salvezza a dei nemici non
meno accaniti dei dayaki.
Poi, con un profondo sospiro, aggiunse:
- E Tremal-Naik? E Darma? Che cosa sarà accaduto di loro? Ah! Mio
Dio!
- La scialuppa a vapore è scomparsa verso il sud, signor Yanez.
- Non si è diretta verso la foce del Kabatuan? Sei proprio sicuro?
- Sicurissimo: non sono stati consegnati ai dayaki.
- Ma allora chi erano costoro? Dove li avranno condotti?
Una scossa lo interruppe. Il praho aveva urtato contro la piattaforma
inferiore della scala che era stata subito abbassata.
Un uomo sui cinquant'anni, solidamente piantato, con una barbetta
brizzolata tagliata a punta, che indossava una divisa di panno azzurro cupo con
bottoni dorati ed un berretto con gallone, attendeva sulla piattaforma
superiore.
Yanez pel primo balzò sui gradini e salì rapidamente, dicendo al
comandante della nave, in inglese:
- Grazie, signore, del vostro aiuto. Ancora qualche minuto e la
mia testa andava ad aumentare la collezione di quei terribili cacciatori di
crani.
- Sono ben felice, signore, di avervi salvato, - rispose il
comandante, tendendogli la destra e dandogli una stretta vigorosa. - Qualunque
altro uomo bianco, d'altronde, avrebbe fatto altrettanto. Con quei furfanti non
ci vuole misericordia, come non ci vogliono mezze misure.
- Ho l'onore di parlare al comandante?
- Sì, signore...
- Yanez de Gomera, - rispose il portoghese.
Il comandante aveva fatto un soprassalto. Prese Yanez per una
mano, traendolo sulla tolda per lasciare il passo libero a Sambigliong ed agli
altri che portavano il pellegrino e si mise a guardarlo con viva curiosità,
ripetendo:
- Yanez de Gomera! Questo nome non mi è nuovo,
signore. By God! Sareste voi il compagno di quell'uomo formidabile che anni or
sono ha detronizzato James Brooke, lo sterminatore dei pirati?
- Sì, sono quello.
- Ero a Sarawak il giorno in cui Sandokan vi entrò coi guerrieri
di Muda Hassim e le sue invincibili tigri. Signor de Gomera, sono ben felice di
avervi prestato un po' d'aiuto. Ma che cosa volevano quegli uomini da voi?
- È una istoria un po' lunga a narrarsi. Ditemi, signore, voi non
siete inglese?
- Mi chiamo Harry Brien e sono americano della California.
- E questa nave che è così poderosamente annata, meglio d'un
incrociatore di prima classe?
- Oh molto meglio! - disse l'americano, sorridendo. - Credo che
finora non ve ne sia una seconda in tutta la Malesia e nel Pacifico. Forte, a
prova di scoglio, con artiglierie formidabili e rapida come una rondine marina.
Si volse verso i marinai che stavano loro d'intorno, interrogando
curiosamente i compagni del portoghese, mentre il medico di bordo prodigava le
prime cure al pellegrino, dal cui petto usciva un filo di sangue.
- Date la colazione a quelle brave persone, - disse loro. - E voi signor
de Gomera, seguitemi nel quadro. Ah! Che cosa devo fare del vostro praho?
- Abbandonatelo alle onde, comandante, - rispose il portoghese. -
Non vale la pena di prenderlo a rimorchio.
- Dove desiderate che vi sbarchi?
- Più vicino a Mompracem che vi sarà possibile, se non vi spiace.
- Vi condurremo direttamente colà, si trova quasi sulla mia rotta
e la visiterò volentieri. Venite, signor de Gomera.
Si diressero verso poppa e scesero nel quadro, mentre la nave,
dopo che i marinai ebbero issato le due scialuppe e tagliati gli ormeggi del
praho, riprendeva la sua corsa verso il sud.
Il comandante fece portare una colazione fredda nel salotto
poppiero e invitò Yanez a dare l'assalto.
- Possiamo discorrere anche mangiando e bevendo, - disse
amabilmente. - La mia cucina è a vostra disposizione, signor de Gomera, al pari
della mia cantina particolare.
Quando il pasto fu finito, l'americano conosceva già tutte le
disgraziate avventure toccate al suo commensale sulla terra dei dayaki, per
opera del misterioso pellegrino e anche la pericolosa situazione in cui
trovavasi Sandokan.
- Signor de Gomera, - disse, offrendogli un manilla profumato, -
vorrei proporvi un affare.
- Dite, signor Brien, - rispose il portoghese.
- Sapete dove stavo per recarmi?
- Non lo saprei indovinare.
- A Sarawak per cercare di vendere questa nave.
Yanez si era alzato, in preda ad una visibile commozione.
- Voi volete vendere la vostra nave! - esclamò. - Non appartiene
alla marina da guerra americana?
- Niente affatto, signor de Gomera. Era stata costruita nei
cantieri d'Oregon, per conto del sultano di Shemmerindan, il quale voleva
vendicare, a quanto mi fu detto, suo padre uccisogli dagli olandesi nella
sanguinosa sconfitta inflitta a quei predoni molti anni or sono.
- Nel 1844, - disse Yanez. - Conosco quell'isola4.
- Il sultano aveva già versato ai costruttori un'anticipazione di
ventimila sterline, promettendo l'intero pagamento alla consegna della nave, ed
un forte regalo se fosse riuscita tale da poter sfidare impunemente le navi
olandesi. Non abbiamo lesinato e, come avete potuto osservare, questo piroscafo
vale meglio d'un incrociatore di prima classe. Disgraziatamente quando condussi
la nave alla foce del Cotti, fui informato che il sultano era stato assassinato
da un suo parente, ad istigazione degli olandesi, a quanto pare, per evitare
una nuova campagna. Il suo erede non ne volle sapere della nave, abbandonandoci
l'anticipo fattoci.
- Quello là è una bestia, - disse Yanez. - Con un simile piroscafo
avrebbe potuto far tremare anche il sultano di Varauni.
- Da Ternate ho telegrafato ai costruttori e mi hanno incaricato
di offrirla al rajah di Sarawak o a qualche sultano. Signor de Gomera, vorreste
acquistarla? Con questa voi potreste diventare il re del mare.
- Vale? - chiese Yanez.
- Gli affari sono affari, signore, - disse l'americano. - I
costruttori chiedono cinquantamila sterline.
- Ed io, signor Brien, ne offro sessantamila, pagabili sul banco
di Pontianak, a condizione che mi lasciate il personale di macchina a cui
offrirò doppia paga.
- Sono gente che non rifiuterà, avventurieri della più bella
razza, pronti a chiudere ed aprire una valvola ed a sparare il fucile.
-
Accettate?
- By God! È un affare d'oro, signor de
Gomera, e non me lo lascerò sfuggire.
- Dove volete sbarcare col vostro equipaggio?
- A Labuan possibilmente, per prendere il postale che va a
Shangai, da cui troveremo facile imbarco per San Francisco.
- Quando saremo a Mompracem farò mettere a vostra disposizione un
praho onde vi sbarchi in quell'isola, - disse Yanez.
Estrasse un libriccino che teneva gelosamente nascosto in una
fascia che portava sotto la camicia, si fece dare una penna e appose delle
firme su diversi biglietti.
- Ecco degli chèques per sessantamila sterline, pagabili a vista
sul banco di Pontianak, dove io e Sandokan abbiamo un deposito di tre milioni
di fiorini. Signor Brien, da questo momento la nave è mia e ne assumo il
comando.
- Ed io, signor de Gomera, da comandante divento un pacifico
passeggero, - disse l'americano, raccogliendo gli chèques. - Signor de Gomera,
visitiamo la nave.
- Non mi occorre mi è bastato uno sguardo per giudicarla. Solo
desidero conoscere il numero delle bocche da fuoco.
- Quattordici pezzi, fra cui quattro da trentasei, un'artiglieria
assolutamente formidabile.
- Mi basta: devo occuparmi del pellegrino. O egli mi dice dove la
scialuppa ha condotto Tremal-Naik e Darma o lo martirizzo fino a che esalerà
l'ultimo respiro.
- Conosco un mezzo infallibile per costringerlo a parlare, l'ho
appreso dalle nostre pelli-rosse, - disse l'americano. - Sempre la rotta su
Mompracem, signor de Gomera?
- Ed a tiraggio forzato, - rispose il portoghese. - È probabile
che in questo momento Sandokan stia per misurarsi cogli inglesi e non ha che
dei prahos.
- E voi, signor de Gomera, avete a disposizione una nave da
cacciare tutti a fondo. Pezzi da 36! Faranno saltare le cannoniere di Labuan
come giuocattoli.
Lasciarono il quadro e salirono in coperta. La nave filava a tutto
vapore verso il sud-ovest, con una velocità assolutamente sconosciuta ai
piroscafi di quell'epoca.
Quindici nodi all'ora e sei decimi. Chi avrebbe potuto gareggiare
con quel piroscafo americano che filava come una rondine marina o poco meno?
Yanez ne era entusiasmato.
- È un fulmine! - aveva detto ad Harry Brien. - Con tale nave, nè
gli inglesi di Labuan, nè il rajah di Sarawak mi fanno paura. Sandokan, se
volesse, potrebbe dichiarare la guerra anche all'Inghilterra!
Kammamuri in quel momento gli si appressò, dicendogli:
- Signor Yanez, la ferita del pellegrino non ha alcuna importanza.
La vostra palla deve aver colpito prima qualche cosa di duro, probabilmente
l'impugnatura del tarwar, che quell'uomo portava alla cintura e l'ha colpito
solamente di rimbalzo, strisciando su una costola.
- Dov'è?
- In una cabina di prora.
- Signor Brien, volete accompagnarmi?
- Sono con voi, signor de Gomera, - rispose l'americano. -
Cerchiamo di strappare il velo che nasconde quel misterioso personaggio.
Scesero nella corsia di babordo di prora ed entrarono in una
stanzetta che serviva d'infermeria.
Il pellegrino giaceva su una branda, guardato da Sambigliong e da
un marinaio della nave.
Era un uomo sui cinquant'anni magrissimo, dalla pelle assai
abbronzata, coi lineamenti fini come quelli degli indiani delle alte caste e
gli occhi nerissimi, penetranti, animati da un fuoco sinistro.
Aveva i piedi e le mani legate e conservava un mutismo feroce.
- Capitano, - disse Sambigliong a Yanez, - ho veduto or ora il
petto di quest'uomo e vi ho scorto un tatuaggio rappresentante un serpente con
una testa di donna.
- Ecco la prova che egli è veramente un thug indiano e non già un
arabo maomettano, - rispose Yanez.
- Ah! Uno strangolatore! - esclamò l'americano, guardandolo con
vivo interesse.
Il prigioniero udendo la voce di Yanez aveva trasalito, poi aveva
alzato il capo, fissandolo con uno sguardo ripieno d'odio.
- Sì, - disse, - sono un thug, un amico devoto di Suyodhana, che
aveva giurato di vendicare su Tremal-Naik, su Darma, su te e più tardi sulla
Tigre della Malesia la distruzione dei miei correligionari. Ho perduto la
partita quando credevo di averla vinta: uccidimi. Vi è qualcuno che penserà a
vendicarmi e più presto di quello che credi.
- Chi? - domandò Yanez.
- Questo è il mio segreto.
- Che io ti strapperò.
Un sorriso ironico sfiorò le labbra dello strangolatore.
- E mi dirai anche dove quella scialuppa a vapore ha condotto
Tremal-Naik, Darma ed i miei Tigrotti sfuggiti al fuoco dei tuoi lilà.
- Questo non lo saprai mai!
- Adagio, signor strangolatore, - disse l'americano. -
Permettetemi di avvertirvi che io conosco un mezzo infallibile per farvi
parlare. Non resistono nemmeno le pelli-rosse, che sono d'una cocciutaggine
incredibile.
- Voi non conoscete gli indiani, - rispose il thug. - Mi ucciderete,
ma non mi strapperete una sillaba.
L'americano si volse verso il suo marinaio dicendogli:
- Prepara sul ponte un paio di tavole ed un barile d'acqua.
- Che cosa volete fare, signor Brien? - chiese Yanez.
- Ora lo vedrete, signor de Gomera. Fra due minuti quest'uomo
parlerà, ve lo prometto.
- Voi, - aggiunse poi rivolgendosi a Sambigliong e a Kammamuri, -
prendete quest'uomo e portatelo in coperta.
L'indiano non aveva opposto la menoma resistenza, anzi il sorriso
ironico che gli sfiorava le labbra non era nemmeno sparito. Pareva che
quell'uomo fosse assolutamente sicuro di sè e che nemmeno la prospettiva, non
certo piacevole, di dover sopportare la tortura, avesse scossa la sua forte
anima di settario fanatico.
Quando si trovò sulla tolda, disteso su una tavola e solidamente
legato in modo da impedirgli di fare il menomo movimento, anche allora la sua
serietà non venne meno.
Guardò con occhio tranquillo i marinai che avevano formato un
circolo intorno a lui, poi il capitano e Yanez, dicendo a quest'ultimo col suo
solito accento beffardo:
- Ed ora mi getterai ai pesci?
- Abbiamo qualche cosa di meglio, signor strangolatore, - disse
l'americano. - Vi duole la ferita?
Lo strangolatore alzò le spalle con disprezzo.
- Non datevi alcun pensiero per quella graffiatura, - disse con
voce recisa. - Mi prendete per un fanciullo?
- Meglio così. Portate un paio di secchie e l'imbuto.
Tre marinai si fecero largo, portando quanto era stato chiesto.
L'imbuto era quello che usava il cambusino per riempire le botti, un arnese
massiccio dall'imboccatura abbastanza larga per tappare completamente la bocca
dell'indiano.
- Vuoi confessare? - chiese per l'ultima volta l'americano. - Mi
risparmierai una tortura inutile, perchè non potrai resistere.
- No, - rispose seccamente lo strangolatore.
- Neanche se ti promettessi un giorno la libertà? - chiese Yanez,
a cui ripugnava ricorrere ai mezzi estremi.
- Quel giorno io non sarei più vivo.
- Agite, - disse l'americano.
Tutti si erano ristretti attorno alla tavola. Solo il timoniere
era rimasto dietro la ruota ed i fuochisti dinanzi ai forni.
Due marinai introdussero nella bocca dell'indiano l'estremità
dell'imbuto, tenendovelo ben fermo, mentre un terzo vi versava lentamente
l'acqua contenuta nel bugliolo5.
Lo strangolatore, costretto a bere per non morire soffocato, aveva
cercato con uno sforzo disperato, di spezzare i legami per allontanare
l'imbuto. Aveva subito compreso che non avrebbe potuto resistere a lungo a
quella tortura che prima di allora non aveva mai conosciuta.
Tuttavia, deciso a resistere fino all'ultimo, anche a morire, non
fece alcun atto che potesse far supporre all'americano ed al portoghese di
essere pronto a confessare.
Il liquido continuava a scorrergli nello stomaco ed il suo ventre
si gonfiava a vista d'occhio. I suoi lineamenti dimostravano uno spasimo
estremo, gli occhi pareva che volessero schizzargli dalle orbite e respirava
affannosamente per le nari, con un rantolo sinistro, lugubre.
- Confesserai? - gli chiese l'americano che assisteva, freddo,
impassibile, a quella scena, facendo segno al marinaio che teneva la secchia di
fermarsi.
Il thug fece col capo un feroce gesto di diniego ed i suoi denti
scricchiolarono sulla canna di ferro dell'imbuto.
Un altro paio di litri d'acqua scorsero pel tubo. Il martirizzato,
col viso congestionato, gli occhi già spaventosamente sbarrati, lo stomaco
enormemente dilatato, fece ad un tratto un brusco soprassalto.
Era la sua resa.
- Basta, - aveva detto Yanez, nauseato. - Basta.
L'imbuto fu tolto. Il thug aspirò a lungo l'aria, poi con voce
rantolosa mormorò:
- Assassini!
- Oh! Non morrai per un po' d'acqua, - disse l'americano. - Non si
può resistere, questo è vero, ma non si corre alcun pericolo se non si
continua. Parlerai?
L'indiano stette un momento silenzioso, poi vedendo l'americano
fare cenno ai marinai di ricominciare, una orribile espressione di spavento si
diffuse sul suo viso.
- No... no... più - balbettò.
- Chi è l'uomo che ti ha mandato qui? Parla o ricominciamo, -
disse Yanez.
- Sindhya, - rispose l'indiano.
- Chi è costui? E tu, soprattutto, chi sei veramente?
- Sono... sono... il precettore... di Sindhya... l'ho allevato...
io... io... l'amico... fedele... di Suyodhana...
- E quel Sindhya? - insistette Yanez che vedeva l'indiano girare
gli occhi e respirare sempre più affannosamente.
- Parla o torniamo all'acqua, - disse l'americano.
- È... è... il figlio... di... Suyodhana, - burbugliò lo
strangolatore.
Un grido di stupore era sfuggito dalle labbra di Yanez, di
Kammamuri e di Sambigliong. Suyodhana aveva lasciato un figlio! Era possibile?
Il capo dei settari, che meno degli altri avrebbe potuto amare una donna, lui
che incarnava sulla terra il Trimurti della religione indiana, come un giorno
la piccola Darma aveva incarnata Kalì, la sanguinaria divinità, aveva avuto il
suo romanzo, come un mortale qualunque?
Yanez si era curvato sull'indiano, per chiedergli maggiori
spiegazioni e s'avvide che il povero uomo aveva smarrito i sensi.
- Che muoia? - chiese, rivolgendosi all'americano. - Non ha
confessato tutto e bisogna che sappia dove si trova il figlio del terribile
strangolatore e dove hanno condotto Tremal-Naik e Darma.
- Lasciatelo digerire tranquillamente la sua acqua, - rispose lo
yankee. - Questa tortura non uccide, se viene sospesa a tempo e domani
quest'uomo starà bene quanto me e voi. Facciamolo riportare nella cabina e
lasciamo che dorma.
- È svenuto.
- S'incaricherà il medico di bordo di farlo tornare in sè. Non
temete, signor de Gomera. Questa sera o domani, noi sapremo tutto quello che
desiderate sapere.
Fece un cenno ai due marinai e questi sollevarono l'indiano, che
non dava più segni di vita e lo portarono nel frapponte.
- Ebbene, signor de Gomera, - disse l'americano, rivolgendosi a
Yanez che pareva assai preoccupato e pensieroso. - Pare che non siate troppo
lieto della nuova che avete appreso. È un uomo pericoloso, il figlio del capo
degli strangolatori?
- Può diventarlo, - rispose Yanez, - non sapendo noi nè dove si
trovi, nè chi sia, nè di quali mezzi disponga. La guerra sorda ma implacabile,
fattaci finora, dimostra che quel Sindhya deve possedere l'energia e la ferocia
del padre. È necessario che io sappia dove si nasconde.
- Non era dunque fra i dayaki che vi hanno assaliti?
- Non sembra. Non vi era che quel pellegrino alla testa
dell'insurrezione, di questo siamo certi. Se vi fosse stato qualche altro
indiano a quest'ora l'avremmo saputo.
- Che sia veramente possente quel Sindhya?
- I fatti lo dimostrano. È stato lui ad armare i dayaki, lui a
sobillare gli inglesi e forse anche il nipote di James Brooke. Sono certo che
deve disporre di ricchezze incalcolabili.
- E l'oro è il nerbo della guerra, - disse l'americano.
- E deve aver armato qualche nave anche.
- Che la vostra affonderà senza fatica, signor de Gomera. Nessuno
potrà sfidare impunemente le vostre artiglierie che sono le più moderne e le
più formidabili che finora si conoscano e che anche la marina del mio paese sta
adottando. Che peccato non potervi tenere compagnia!
- Signor Yanez, - disse in quel momento Kammamuri, che fino allora
era rimasto silenzioso e non meno pensieroso del portoghese, - che cosa ne dite
di questa inaspettata rivelazione?
- Che non avrei mai supposto che noi dovessimo trovarci ancora di
fronte ai thugs indiani. Tu che sei stato loro prigioniero parecchio tempo, non
hai mai udito a narrare che Suyodhana avesse un figlio?
- No, signor Yanez, e poi se i thugs lo avessero saputo, il loro
capo avrebbe molto perduto della sua influenza. Egli deve averlo fatto allevare
molto lontano dalle Sunderbunds, all'insaputa di tutti, per celare la propria
colpa. Un capo come lui non può amare una mortale: il suo cuore non deve
battere che per la sanguinaria dea e per nessun'altra donna.
- Credi tu che la comunità dei thugs fosse molto ricca?
- Mi fu detto che poteva disporre di tesori favolosi e che solo
Suyodhana sapeva dove erano collocati.
- Distrutti i settari, certo quelle ricchezze saranno state
raccolte da Sindhya.
- È probabile, signor Yanez, - rispose il maharatto.
- Ed ora viene a sfidarci per vendicare suo padre! - disse il
portoghese, come parlando fra sè. - Come la Tigre della Malesia ha vinto e
ucciso la Tigre dell'India abbatterà anche il tigrotto.
- Mi stupisce però, - disse l'americano, - come lui, figlio d'uno
strangolatore, sia riuscito a procurarsi l'appoggio degli inglesi, se è vero
quanto voi sospettate.
- Sapete voi sotto quale nome o quale titolo si nasconda? - chiese
Yanez. - Non sarà stato così sciocco da dire al governatore di Labuan che è un
seguace di Kalì. Mi occorre sapere dove si trova ed il suo precettore me lo
dirà, dovessi torturarlo fino a che muoia.
- Basterà minacciarlo d'una nuova bevuta, - disse l'americano. -
Non resisterà, lo vedrete e vi spiattellerà tutto. Signor de Gomera, andate un
po' a riposarvi. Dovrete essere assai stanco, dopo tante emozioni. I vostri
marinai dormono già come ghiri.
Il portoghese, che da due notti non chiudeva gli occhi, seguì il
consiglio dell'americano e scese nel quadro con Kammamuri, gettandosi vestito
come era in un lettuccio.
Intanto la nave continuava la sua rotta verso il sud-est,
tenendosi a una dozzina di miglia dalla costa. Divorava i suoi quindici nodi,
velocità assolutamente straordinaria in quell'epoca, in cui i piroscafi
migliori, non esclusi gli incrociatori, non riuscivano ordinariamente a
percorrerne più di dodici.
Al largo non appariva alcuna nave; verso la costa, assai sinuosa e
frastagliata da minuscoli seni, veleggiavano lentamente alcuni prahos montati
probabilmente da pescatori, essendo le acque che bagnano quella grande isola
ricchissime di pesci.
A mezzodì il Nebraska - tale era il nome del magnifico vapore -
avvistava già l'isola di Tiga e puntava direttamente verso il capo Nosong, che
forma l'estremità d'una vasta isola staccata dalla terraferma da uno stretto
canale che sbocca nella vasta baia di Bruni.
Alle quattro, Labuan, la colonia inglese, a cui Sandokan per tanti
anni aveva dato da fare, minacciando l'esterminio dei suoi primi coloni, era in
vista verso il sud. Quasi nel medesimo istante la voce dell'americano svegliava
bruscamente Yanez.
- In piedi, signor de Gomera! - aveva gridato il comandante.
Vi era nella voce un certo tono, che fece balzare subito in piedi
il portoghese. Anche il viso dell'americano era assai oscuro.
- Avete qualche brutta nuova da comunicarmi? Mi sembrate
sconvolto, signor Brien.
- By God! - bestemmiò lo yankee grattandosi rabbiosamente la
testa. - Non me l'aspettavo, signor Yanez.
- Insomma, che cosa c'è di nuovo?
- C'è... c'è... che quel maledetto indiano se n'è andato all'altro
mondo senza completare le sue confessioni.
- Morto!
- Aveva qualche terribile veleno nascosto in un anello. Vi
rammentate che ne aveva uno al dito medio, con un grosso corindone?
- Sì, mi pare di averglielo veduto.
- Ho trovato il corindone levato e sotto di esso un piccolo vuoto
che doveva contenere qualche granello di chissà quale sostanza tossica ed è
rimasto fulminato sotto gli occhi del marinaio di guardia, - disse l'americano.
Yanez aveva fatto un gesto di collera.
- Morto, portando nella tomba il segreto che più mi premeva! -
esclamò coi denti stretti. - Come faremo noi a sapere dove quella scialuppa a
vapore ha condotto Tremal-Naik, Darma ed i loro uomini? Maledizione! La stella
che per tanti anni ci ha protetti, comincia a offuscarsi. Sarebbe il principio
della fine?
- Non scoraggiatevi, signor Yanez, - disse l'americano. - Non li
avranno già mangiati i vostri amici. Se non li hanno uccisi subito, vuoi dire
che i rapitori avevano ricevuto l'ordine di tradurli in qualche luogo.
- E dove?
- Ecco il punto nero, per ora.
Yanez, che in quella disgraziata spedizione più volte aveva perduto
la sua calma, si era messo a passeggiare per la cabina in preda ad una
vivissima agitazione.
Che cosa fare? Che cosa risolvere? Dove dirigere le ricerche?
Erano quelli i pensieri che turbavano la sua mente.
- Dove ci troviamo ora, signor Brien? - chiese ad un tratto
fermandosi dinanzi all'americano.
- In vista delle coste di Labuan, signor de Gomera.
- Quando potremo giungere a Mompracem?
- Fra le dieci e le undici di notte.
- Fate mettere in acqua una scialuppa con viveri e armi per due
uomini e accostate Labuan.
- Che cosa volete tentare, signor de Gomera?
- Mi è venuto un sospetto.
- E quale?
- La scialuppa a vapore si è diretta verso il sud, senza entrare
nella baia di Kabatuan, che i miei prahos avevano già oltrepassata.
- Sicchè voi credete?
- Che abbia condotti Tremal-Naik, Darma e i loro uomini a Labuan.
- E vorreste sbarcare un paio dei vostri malesi onde vadano ad
informarsi?
- E raccoglierli più tardi.
- Due uomini bianchi avrebbero maggiori probabilità e ve ne sono a
bordo di quelli che hanno fegato. Basta pagarli.
- Avranno ciò che chiederanno.
- Seguitemi, signor Yanez.
Quando salirono in coperta, le spiagge di Labuan erano
perfettamente visibili, non distando che una dozzina di miglia.
L'americano fece armare una scialuppa, chiamò due marinai, due
californiani alti come granatieri e li informò del desiderio espresso dal
portoghese.
- E offro cento sterline a ciascuno se riuscirete a darmi notizie
dei miei amici, - aggiunse Yanez.
- Andiamo anche all'inferno noi, - rispose uno dei due marinai.
- A prendere Belzebù, se lo vorrete, signor comandante, - disse
l'altro.
- Fra due giorni al più tardi io verrò a raccogliervi.
- Di notte? - chiese Bob.
- Sì, e segnalerò la nostra presenza con un razzo verde.
- Che il diavolo ci porti via se non riusciremo, signor
comandante, - rispose il primo.
La scialuppa era pronta. I due californiani vi discesero e presero
subito il largo arrancando verso l'isola, mentre il Nebraska riprendeva
frettolosamente la sua rotta, dirigendosi verso ponente.
Un po' più tardi lo strangolatore, dopo che il medico ebbe
constatato essere veramente morto, veniva gettato in mare chiuso entro un'amaca
e con una palla di cannone ai piedi, onde sottrarlo alla voracità dei
pescicani, che si tengono ordinariamente a fior d'acqua.
Alle otto di sera il Nebraska, che non aveva rallentata la
velocità, si trovava già a mezza via fra Labuan e Mompracem. Il mare era sempre
deserto e la luna sorgeva lentamente all'orizzonte, specchiandosi in esso.
Una calma assoluta regnava intorno alla nave. Nessuna ondulazione
increspava la superficie che pareva d'olio.
Yanez, Kammamuri e Sambigliong, dal castello di prora, spiavano
ansiosamente l'orizzonte, impazienti di avvistare l'alta rupe su cui sorgeva la
dimora della Tigre della Malesia, mentre l'americano, che aveva ripreso
momentaneamente il comando della poderosa nave, passeggiava sulla plancia di
comando.
- Quale sorpresa per Sandokan vedendoci giungere con un simile
rinforzo! - disse Sambigliong. - Abbiamo perduto la Marianna e torniamo con una
nave che ne vale venti.
- Che darà del filo da torcere a Sindhya ed ai suoi alleati, se
veramente ne ha, - rispose Yanez.
- Che gli inglesi si siano accontentati d'una semplice minaccia,
capitano?
- È un bel po' che ci hanno fatto capire di andarcene lontani da
Mompracem.
- E l'ultima minaccia era grave, signor Yanez, - disse Kammamuri.
- Non avevo mai veduto Sandokan così preoccupato prima di allora.
- Si preparava alla resistenza?
- Sì, signor Yanez.
Ad un tratto il portoghese impallidì.
- Se giungessimo troppo tardi? - chiese con ansietà. - No, è
impossibile che abbiano potuto vincere in così breve tempo Sandokan. Ha uomini
di ferro e navi e cannoni e batterie formidabili. Le sole forze di Labuan non
sarebbero sufficienti per una tale impresa. Fra un'ora sapremo che cosa sarà
avvenuto.
Si era messo, come era sua abitudine, quando un pensiero lo
tormentava, a passeggiare pel castello, colle mani affondate nella tasca e la
sigaretta spenta fra le labbra.
Passarono quindici o venti minuti. Solo diciotto o venti miglia
separavano la Nebraska da Mompracem.
Ad un tratto, verso ponente, si udì un rombo lontano, che si
propagò sul mare rumoreggiando sinistramente.
Yanez aveva interrotta bruscamente la sua passeggiata, mentre
l'americano scendeva precipitosamente la plancia di comando.
- Un colpo di cannone! - aveva esclamato Yanez.
- E viene da Mompracem, signor de Gomera, - disse l'americano,
salendo il castello. - Il vento ci soffia di fronte.
- Che gli inglesi abbiano assalito l'isola?
- Ma ci siamo noi e vi mostrerò la potenza delle nostre
artiglierie. Uomini di macchina! A tiraggio forzato e caricate le valvole più
che potete. Uomini dei pezzi! Ai vostri posti!
Una seconda detonazione rimbombò in quel momento, più distinta
della prima, seguìta dopo qualche po' da una serie non interrotta di spari più
o meno sonori.
Non ci si poteva ingannare. All'orizzonte, in direzione di
Mompracem, si combatteva un'aspra battaglia.
Yanez e l'americano si erano slanciati sul ponte di comando,
mentre gli artiglieri caricavano frettolosamente i pezzi della coperta e delle
batterie e si raddoppiava il personale di macchina.
- Siamo pronti? - chiese Brien all'ufficiale di quarto che aveva
ispezionati rapidamente tutti i pezzi.
- Sì, comandante.
- Doppia riserva al timone ed in coperta la guardia franca.
Le detonazioni continuavano con un fragore crescente. Si udivano
quelle secche dei piccoli pezzi e quelle poderose e più prolungate delle
artiglierie di grosso calibro.
Yanez, un po' pallido per l'emozione, ma calmo, aveva puntato un
cannocchiale verso ponente, mentre la nave correva come una rondine marina,
lasciandosi dietro una interminabile scia spumeggiante.
- Fumo all'orizzonte! - gridò ad un tratto il portoghese. - Vi sono
delle navi a vapore laggiù. Sono navi inglesi, non ne dubito. Presto! Presto!
- Corriamo il pericolo di saltare, signor de Gomera. Non possiamo
forzare di più le caldaie.
Un fumo biancastro, che la luce lunare mostrava perfettamente, si
alzava verso Mompracem.
I colpi spesseggiavano. Si combatteva furiosamente in quella
direzione.
Poi cominciarono a scorgersi i lampi delle artiglierie.
Avvampavano su una vasta zona, come se un gran numero di navi combattessero.
- I nostri prahos! - urlò d'improvviso Yanez, staccando
dall'occhio il cannocchiale. - La Tigre della Malesia s'allontana al nord.
Maledetti! Ancora una volta gli inglesi ci hanno vinti!
L'americano gli aveva strappato di mano il cannocchiale.
- Sì, i prahos - disse poi, - e cannoneggiati da cannoniere.
Veleggiano al nord.
- Cannonieri! - gridò Yanez. - Pronti pel fuoco di bordata!
Massacrate quelle navi!
Il Nebraska si avanzava rapido, in modo da frapporsi fra i velieri
che fuggivano sempre sparando, colla Marianna di Sandokan in coda che avvampava
come un vulcano e le piccole navi a vapore che li perseguitavano con scariche
formidabili.
- Eccoci in pieno ballo, - disse l'americano. - Giovanotti! Fuoco
di bordata!
16. La dichiarazione di guerra
La flottiglia della Tigre della Malesia, pur fuggendo dinanzi al
nemico, si batteva furiosamente, rispondendo vigorosamente coi quattro pezzi da
caccia postati sulla tolda della Marianna e le grosse spingarde dei prahos.
Si componeva di otto velieri, muniti di vele immense e montati da
equipaggi numerosi, ma solo quello montato dalla Tigre, che era ancora più
grosso di quello che Yanez aveva perduto sul Kabatuan, era in grado di tenere,
almeno per qualche tempo, testa agli avversari. Gli altri non erano che dei
semplici navigli malesi, un po' più grossi dei prahos comuni, senza bilancieri
e forniti invece di ponte e di murate piuttosto alte per meglio proteggere i
fucilieri.
La squadra nemica, che doveva prima aver cacciate le tigri di
Mompracem dalla loro isola, era di molto più forte e anche meglio armata,
componendosi di due piccoli incrociatori che battevano bandiera inglese, di
quattro cannoniere e di un brigantino di tonnellaggio quasi eguale a quello
della Marianna.
Tuttavia quelle diverse navi non osavano abbordare i velieri di
Sandokan ed avevano molto da fare a tener testa alle formidabili scariche di
moschetteria dei pirati, ai pezzi da caccia ed ai colpi di mitraglia dei prahos
che spazzavano, come uragani micidiali, i loro ponti.
La comparsa improvvisa della magnifica e poderosa nave americana,
aveva interrotto per un momento la pugna e sospeso il combattimento, ignorando
tanto gli inseguiti quanto gli inseguitori a quale nazione appartenesse, non
essendo stata innalzata alcuna bandiera sull'asta di poppa, nè al pomo della
mezzana.
Una voce formidabile che s'alzò dal ponte di comando della nave,
avvertì le tigri di Mompracem che avevano un formidabile protettore.
- Viva Sandokan! Hurrà per Mompracem.
Poi seguì il comando:
- Fuoco di bordata sugli inglesi!
I setti pezzi di babordo della nave americana, tutti i pezzi di
grosso calibro, e di lunga portata, avvamparono quasi nell'istesso tempo, con
un rimbombo spaventevole che si ripercosse fino in fondo alla stiva, facendo
tremare perfino i puntali, e quella tempesta di proiettili rovinò addosso ad
uno dei piccoli incrociatori demattandolo d'un colpo solo, squarciandogli il
fianco di tribordo e facendogli scoppiare le caldaie. Un uragano di fuoco e di
fumo irruppe tosto dalla sala delle macchine, seguìto da un fragore formidabile
che pareva prodotto dallo scoppio delle casse di munizioni e di barili di
polvere.
La nave, arrestata di botto, si piegò sul fianco ferito, mentre
l'equipaggio si gettava in acqua, urlando.
- Ebbene, signor de Gomera, - disse l'americano che gli stava
presso, sulla plancia di comando. - Che cosa ne pensate delle vostre
artiglierie?
- Ve lo dirò più tardi, - rispose il portoghese. - Gettiamoci fra
i prahos e le cannoniere e diamo battaglia. Artiglieri! Fuoco di tribordo! Giù
il brigantino!
Una seconda scarica seguì quel comando, mentre i prahos delle
tigri di Mompracem si riparavano dietro la nave americana, scaricando le loro
grosse spingarde.
Il brigantino, che si era portato innanzi per proteggere coi suoi pezzi
da caccia l'altro incrociatore, prese una tale fiancata che tutte le sue murate
si sfasciarono, mentre l'albero maestro, spaccato due piedi sopra la tolda,
precipitava attraverso la prora con orrendo fracasso, sfondando parte del
castello ed ammazzando o storpiando una mezza dozzina di gabbieri.
Urla formidabili si levarono dai ponti dei prahos della Tigre
della Malesia, frammisti a poderose scariche di mitraglia. I pirati di
Mompracem si prendevano la loro rivincita e mercè l'aiuto di quella nave potente,
sul cui picco era stata subito spiegata la bandiera dell'antico scorridore del
mare, tutta rossa con tre teste di tigre, infliggevano a loro volta agli
assalitori vittoriosi una dura lezione.
Le cannoniere, vistesi impotenti a sostenere il fuoco contro un
così terribile avversario, che possedeva delle artiglierie di una potenza e di
un calibro quasi sconosciuto in quell'epoca, raccolti in furia i marinai
dell'incrociatore e gettata una gomena al brigantino che si trovava
nell'impossibilità di rimettersi alla vela, batterono rapidamente in ritirata
in direzione di Mompracem, salutati da un'ultima scarica fatta dai pezzi da
caccia della Marianna e dalle spingarde dei prahos.
Intanto un uomo era disceso sulla piattaforma della scala della
nave americana, che era stata subito abbassata e si era slanciato sulla coperta
cadendo fra le braccia aperte di Yanez.
Era di statura piuttosto alta, stupendamente sviluppato, con una
testa bellissima, d'aspetto fiero ed energico, colla pelle assai abbronzata,
gli occhi nerissimi che pareva avessero dentro un fuoco e la capigliatura
folta, ricciuta e nera come l'ala d'un corvo, che cadevagli sulle spalle. La
barba invece, appariva un po' brizzolata mentre sulla fronte si disegnavano
alcune rughe che non dovevano essere precoci.
Vestiva all'orientale, con una casacca di seta azzurra a ricami
d'oro e maniche ampie, stretta alla cintura da un'alta fascia di seta rossa
sorreggente una splendida scimitarra e due pistole dalle canne lunghissime e
arabescate ed i calci ad intarsi d'avorio e d'argento; aveva calzoni larghi,
alti stivali di pelle gialla a punta rialzata e sul capo un turbantino di seta
bianca con un pennacchio fermato da un diamante grosso quasi come una noce.
Una bellissima fanciulla, che indossava un costume di donna
indiana, lo seguiva.
- Sandokan! - aveva esclamato Yanez, stringendoselo al petto. -
Tu, battuto! E anche tu, mia Surama!
Un lampo ardente balenò negli sguardi del comandante della
squadriglia dei velieri, mentre il suo viso assumeva una terribile espressione
d'odio e nel medesimo tempo di dolore.
- Sì, battuto per la seconda volta e ancora dal medesimo nemico, -
disse poi con voce sorda. - Cacciato da Mompracem!
- Non l'avrei certo lasciata per far piacere a loro, Yanez.
- Tutto perduto?
- Hanno distrutto tutto, quei cani. I villaggi sono in fiamme, la
popolazione è stata massacrata senza risparmiare nè le donne, nè i fanciulli,
colla ferocia ben nota degli inglesi quando si sentono più forti e si trovano
dinanzi a delle genti di colore. Anche la nostra casa non sussiste più.
- Ma perchè questo assalto improvviso?
Sandokan, invece di rispondere aveva volto lo sguardo in giro,
guardando la tolda della magnifica nave che si copriva di marinai americani.
- Dove hai trovato questo incrociatore? - chiese poscia. - Che
cos'hai fatto in questi giorni? E Tremal-Naik? E Darma? E la
Marianna? E chi sono questi uomini bianchi che prendono le difese delle tigri
di Mompracem?
- Sono avvenute delle cose gravissime, fratellino mio, dopo la mia
partenza pel Kabatuan, - rispose Yanez. - Ma prima che ti racconti ciò, dimmi
dove ti recavi ora.
- In cerca di te, innanzitutto, poi di un nuovo asilo. Non mancano
le isole al nord del Borneo dove potersi posare e prepararsi alla vendetta, -
disse Sandokan. - La Tigre della Malesia farà udire ancora il suo ruggito sulle
spiagge di Labuan e anche su quelle di Sarawak.
Yanez fece un segno al capitano che stava fermo a pochi passi, in
attesa di ricevere gli ordini del nuovo proprietario della nave, poi, dopo
averlo presentato a Sandokan, gli chiese:
- Dov'è che desiderereste sbarcare, capitano?
- Possibilmente a Labuan, dove mi sarà più facile trovare imbarchi
per Pontianak e poi ho due uomini laggiù che potrebbero darvi delle preziose
informazioni, signor de Gomera.
Rimarranno a vostra disposizione fino a che ne avrete bisogno,
tutto il personale di macchina che ha accettato le vostre proposte e due
quartiermastri artiglieri onde istruire i vostri malesi nel servizio dei pezzi.
Sarei ben lieto di rimanere in vostra compagnia e prendere parte alla campagna,
che non ne dubito, inizierete contro quei signori dalle bandiere rosse
inquartate.
- Avanzatevi lentamente su Labuan in modo da potervi giungere di
notte. I prahos potranno seguirci senza difficoltà, essendo il vento fresco, -
ordinò Yanez.
Poi, passato un braccio sotto il destro di Sandokan, lo trasse
verso poppa e scesero entrambi nel quadro, seguìti dalla giovane indiana.
In quel momento le cannoniere, il brigantino e l'incrociatore
scomparivano fra le nebbie dell'orizzonte.
- Narrami che cosa è successo a Mompracem, innanzitutto, - disse
Yanez, mentre sturava una bottiglia di whisky e fissava sorridendo Surama. -
Perchè ti sono piombati addosso? Kammamuri che era giunto alla fattoria di
Tremal-Naik mi aveva già narrato che il governatore di Labuan desiderava
prenderti l'isola.
- Sì, e col pretesto che la mia presenza costituiva un continuo
pericolo per quella colonia ed incoraggiava i pirati bornesi, - rispose
Sandokan. - Non credevo però che spingesse le cose tanto oltre verso di noi,
che abbiamo reso all'Inghilterra un così grande servigio sbarazzando l'India
dalla setta dei thugs. Invece quattro giorni or sono un messo inglese mi recò
l'ordine di sgombrare l'isola entro quarantott'ore, sotto la minaccia di
cacciarmivi colla forza.
Scrissi allora al governatore che l'isola da vent'anni era stata
occupata da me e che per diritto mi apparteneva e che la Tigre della Malesia
era tale uomo da difenderla a lungo; quand'ecco che ieri sera, senza alcuna
dichiarazione di guerra, mi vedo piombare addosso la squadra che tu hai
trattata così bene, mentre un'altra, composta di piccoli velieri, sbarcava
sulle rive occidentali quattro compagnie di cipai con quattro batterie di
artiglieria.
- Canaglie! - esclamò Yanez, indignato. - Ci hanno considerati
come fossimo ancora dei pirati!
- Peggio, come degli antropofagi, - disse Sandokan, con voce
fremente. - A mezzanotte i villaggi sorpresi erano in fiamme ed i loro abitanti
massacrati con inaudita ferocia, mentre la squadra apriva un fuoco terribile
contro le nostre trincee della piccola baia, distruggendomi buona parte dei
prahos.
Quantunque preso fra due fuochi, fra i pezzi delle navi e le
batterie dei cipai, ho resistito disperatamente fino all'alba, respingendo più
di quattordici attacchi; poi, quando vidi che ogni resistenza era inutile, mi
sono imbarcato cogli avanzi delle mie bande ed a colpi di cannone mi sono
aperto il passo fra gli incrociatori e le cannoniere, riuscendo a fuggire in tempo.
- Ed ora che cosa intendi fare?
La Tigre della Malesia alzò la destra agitandola come se
impugnasse qualche arma e si preparasse a vibrare un colpo mortale, poi,
contraendo le labbra come la belva di cui portava il nome, disse con uno
scoppio d'ira spaventevole:
- Che cosa penso di fare? Come vent'anni or sono ho fatto tremare
Labuan, tornerò a spargere il terrore su tutte le sue coste. Dichiaro la guerra
all'Inghilterra ed a Sarawak insieme.
- Od al figlio di Suyodhana?
Sandokan aveva fatto un soprassalto.
- Che cosa hai detto, Yanez? - gridò, guardandolo con profonda
sorpresa.
- Che l'uomo che ha sollevati i dayaki del Kabatuan, che ha fatto
muovere il governatore di Labuan e quello di Sarawak per cacciarci da Mompracem
è il figlio della Tigre dell'India che tu hai uccisa a Delhi.
Sandokan era rimasto muto: pareva che quella inaspettata
rivelazione lo avesse fulminato.
- Aveva un figlio, il capo degli strangolatori indiani! - esclamò
finalmente.
- E molto abile e molto risoluto e deciso a vendicare la morte di
suo padre, - aggiunse Yanez. - Noi abbiamo perduta già la nostra isola, tutte
le fattorie di Tremal-Naik sono state distrutte e quel caro amico e Darma si
trovano in sua mano.
- Te li hanno rapiti! - gridò Sandokan.
- Dopo un combattimento terribile che sarebbe terminato colla
morte di tutti, senza l'arrivo provvidenziale di questa nave.
Sandokan si era messo a girare pel salotto cogli scatti d'una
belva rinchiusa in una gabbia, la fronte burrascosamente aggrottata e le mani
raggrinzite sul petto.
- Narrami tutto, - disse ad un tratto, fermandosi dinanzi al
portoghese e vuotando d'un fiato solo una tazza di whisky.
Yanez, più brevemente che potè, raccontò le diverse avventure
toccategli dopo la partenza da Mompracem e che già noi conosciamo.
Sandokan le aveva ascoltate in silenzio, senza interromperlo.
- Ah! Questa nave è nostra? - disse quando Yanez ebbe finito. -
Sta bene: faremo guerra all'Inghilterra, a Sarawak, al figlio di Suyodhana, a
tutti!
- E dei nostri prahos che cosa ne farai? Non potrebbero seguire
questa nave che fila come un pesce veliero. Vorresti affondarli?
- Li manderemo nella baia d'Ambong. Colà abbiamo degli amici e
terranno in consegna i nostri velieri fino al nostro ritorno, mantenendo un
equipaggio solo sulla Marianna.
- Che ci seguirà?
- Potremmo averne bisogno più tardi.
Lasciarono il quadro e salirono in coperta, dove Kammamuri, il
prode maharatto, e Sambigliong li attendevano.
La nave filava a piccolo vapore verso oriente, seguìta a breve
distanza dalla Marianna di Sandokan e dai prahos, i quali avevano il vento in
favore.
In lontananza si profilavano debolmente le alture di Labuan,
indorate dagli ultimi raggi del sole, prossimo ormai al tramonto.
Alle nove di sera l'incrociatore s'arrestava a mezzo miglio dalla
spiaggia, di fronte al luogo ove aveva sbarcato i due marinai potendo darsi che
il segnale venisse fatto quella notte istessa.
Nessuno aveva acceso i fanali, nemmeno la poderosa nave onde non
attirare l'attenzione delle cannoniere inglesi a guardia dell'isola.
Erano trascorse quattro ore, quando un razzo verde, s'alzò sulla
cima d'una scogliera. Yanez, Sandokan, l'americano e la giovane indiana che
stavano chiacchierando sulla plancia di comando, seduti su delle poltrone a
dondolo, si erano bruscamente alzati.
- Il segnale dei miei uomini! - aveva esclamato lo yankee. -
Sapevo che erano due furbi quelli e che non avrebbero perduto il loro tempo
nelle taverne di Victoria.
Ad un suo comando un marinaio lanciò un razzo rosso a cui i due
americani risposero subito con un altro d'eguale colore.
Poco dopo una sottile linea oscura si staccava dalla scogliera,
lasciandosi dietro una scia fosforescente. Il mare, saturo di nottiluche,
luccicava sotto i colpi dei remi come se dei getti di zolfo fuso scorressero
sotto la scialuppa.
Yanez aveva fatto abbassare la scala.
Dieci minuti dopo l'imbarcazione abbordava la grossa nave e i due
americani salivano frettolosamente.
- Dunque? - chiesero ad una voce Yanez ed il comandante, con
ansietà.
- Siamo riusciti al di là delle nostre speranze, signori, -
rispose uno dei due.
- Sbrigati a spiegarti, Tom, - disse lo yankee. - Sai dove sono
state condotte quelle persone?
- Sì, capitano. L'ho saputo da un nostro compatriotta che montava
quella scialuppa a vapore di cui vi ha parlato il signore, - disse, accennando
a Yanez.
- Si è fermata a Labuan quella scialuppa? - chiese il portoghese.
- Solo pochi minuti per rinnovare la provvista di carbone e per
sbarcare quel nostro compatriotta a cui una palla aveva spezzato un braccio, -
rispose il marinaio. - Mi disse quell'uomo che a bordo vi era un indiano, una
fanciulla e cinque malesi.
- E dove li hanno condotti?
- A Redjang, nel fortino di Sambulu.
- Nel sultanato di Sarawak! - esclamò Sandokan. - Allora è stato
quel rajah che li ha fatti rapire?
- No, signore. Il nostro compatriotta ci ha detto che è stato un
uomo che si fa chiamare il Re del Mare ma che pare abbia l'appoggio, più o meno
velato, del governatore di Labuan e del rajah.
- Non sa chi è costui? - chiese Yanez.
- Lui stesso lo ignora, non avendolo mai veduto. Ma tuttavia ha
assicurato che quell'uomo è potente e che è amico del rajah - disse il
marinaio.
Si volse verso il comandante americano:
- Volete sbarcare qui? - gli chiese.
- Preferirei piuttosto qui che su di un'altra costa.
- Non avrete dei fastidi da parte degli inglesi, dopo quello che
avete fatto?
- Nessuno mi conosce, signore, e poi sono suddito americano e gli
inglesi non oseranno molestarmi. D'altronde inventerò una storiella qualunque
per spiegare la mia presenza sulle coste di Labuan: un naufragio per esempio
avvenuto molto al largo, la presa della mia nave da parte dei pirati bornesi o
qualcos'altro. Non inquietatevi per me.
- V'incarichereste di affidare una lettera all'ufficio postale di
Victoria pel governatore di Labuan?
- Figuratevi se vi negherei un tal favore, signore.
- Vi avverto che si tratta d'una dichiarazione di guerra.
- Me l'ero immaginato, - rispose l'americano. - Mi guarderò
dall'avvertire il governatore di averla impostata io.
- Yanez, - disse Sandokan, volgendosi all'amico, - preleva dalla
mia cassa, che si trova nella mia cabina della Marianna, mille sterline che
regalerai all'equipaggio americano e fa' preparare le scialuppe onde sbarchi.
Scendo un momento nel quadro a scrivere la lettera pel governatore.
Quando tornò sul ponte, l'equipaggio americano che doveva lasciare
la nave, escluso il personale di macchina ed i due quartiermastri cannonieri
che avevano già firmato l'arruolamento, lo salutò con un formidabile:
- Hurrà alla Tigre della Malesia! Hurrà!
Hipp! Hipp! Hipp!
Sandokan reclamò con un gesto un breve silenzio, poi fatti salire
a bordo della nave i comandanti dei prahos e la maggior parte dei suoi
Tigrotti, lesse ad alta voce:
Noi Sandokan, soprannominato Tigre della Malesia, ex principe di
Kini-Ballon e Yanez de Gemerà legittimi proprietarii dell'isola di Mompracem,
notifichiamo al signor governatore di Labuan che da oggi dichiariamo la guerra
all'Inghilterra, al rajah di Sarawak ed all'uomo che è da loro protetto.
Da bordo del Re del Mare: 24 maggio 1868.
SANDOKAN E YANEZ DE GOMERA
Un urlo terribile, selvaggio, si scatenò come un uragano dai petti
delle terribili tigri di Mompracem.
- Viva la guerra! Morte ed esterminio alle giacche rosse!
- Signore, - disse il comandante americano, tendendo a Sandokan la
destra, - vi auguro di dare a quel prepotente di John Bull una dura lezione.
Della potenza della nave che v'ho venduto, ne rispondo pienamente e
nessun'altra che si trovi in questi mari potrà tenervi testa. Prima però di
lasciarvi vi voglio fare una domanda e darvi un consiglio.
- Parlate, - disse Sandokan. - La nave non possiede che
cinquecento tonnellate di carbone, provvista che, anche economizzata, non potrà
durarvi più d'un mese. Servitevi più che potete delle vele, perchè dopo la vostra
dichiarazione di guerra, avrete chiusi i porti olandesi e del sultanato di
Bruni che si manterranno indubbiamente neutrali e che si rifiuteranno di
provvedervi.
- Avevo già pensato a questo, - rispose Sandokan.
- Mandate, quindi, prima che la guerra scoppi, la vostra Marianna
a caricare carbone a Bruni e datele un appuntamento in qualche punto della baia
di Sarawak onde la vostra nave non rimanga senza combustibile in sul più bello
della guerra. Il carbone per voi non sarà meno prezioso della polvere, ricordatevelo.
- In caso disperato andrò a saccheggiare i depositi che gli
inglesi hanno su certe isole pel rifornimento delle loro squadre, - rispose
Sandokan.
- Ed ora, signori, buona fortuna, - disse l'americano, stringendo
energicamente le mani ai due antichi pirati di Mompracem.
Mise la lettera nel portafoglio e scese la scala.
Il suo equipaggio aveva già preso posto nelle imbarcazioni che
erano guidate da numerosi pirati.
La squadriglia prese subito il largo, dopo un altro fragoroso
urrah.
Mezz'ora dopo, le imbarcazioni, sbarcato l'equipaggio americano
sulla spiaggia di Labuan, fecero ritorno.
La Marianna ed i prahos avevano sciolte le vele, pronti a salpare
pel nord e raggiungere il porto amico di Ambong, con equipaggi ridotti, essendo
la maggior parte dei loro marinai passati sull'incrociatore.
- Ed ora, - disse Sandokan, quando ebbe dato gli ultimi ordini ai
comandanti dei legni e che questi si misero in marcia, - andiamo a liberare
Tremal-Naik ed abbattere la potenza del rajah di Sarawak, suoi alleati e
protetti.
Un momento dopo, il Re del Mare, come era stata battezzata la poderosa nave americana, si slanciava a tutto vapore verso il sud, per raggiungere la baia di Sarawak.
PARTE
SECONDA
- Signor Yanez, vedo un lume brillare laggiù, entro
quell'apertura.
- L'ho veduto, Sambigliong.
- Che vi sia un praho ancorato nella rada?
- Io credo invece che si tratti di una scialuppa a vapore, di
quelli che ha condotto qui Tremal-Naik e Darma.
- Che si vegli all'entrata della rada?
- È possibile, amico, - rispose tranquillamente il portoghese,
gettando via la sigaretta che stava fumando.
- Potremo passare inosservati?
- Chi vuoi che si aspetti un colpo di mano da parte nostra?
Redjang è troppo lontana da Labuan e poi scommetterei che nemmeno a Sarawak
sanno che noi siamo già giunti. Chissà se la nostra dichiarazione di guerra al
leopardo inglese e al nipote di James Brooke è giunta qui. E poi non siamo noi
vestiti da cipai indostani? Forse che le truppe del rajah portano dei vestiti
diversi dai nostri?
- Tuttavia, signor Yanez, preferirei che quella scialuppa o quel
praho non si trovasse qui.
- Devono dormire della grossa a bordo, mio caro Sambigliong, e noi
li sorprenderemo.
- Come! Assaliremo quei marinai? - chiese Sambigliong.
- Non amo lasciarmi alle spalle dei nemici che potrebbero
molestarci nella ritirata. Ci sbarazzeremo il terreno senza che la Perla di
Labuan venga in nostro aiuto e avvicinandosi alla costa urti contro qualche
scogliera. Suppongo che non saranno in molti su quella scialuppa o praho che
sia e noi siamo lesti di mano. Non fate uso delle armi da fuoco: solo i parangs
ed i kriss devono lavorare. Mi avete capito?
- Sì, signor Yanez, - risposero parecchie voci.
- Avanti adunque e silenzio.
Questa conversazione avveniva su una grossa scialuppa, manovrata
da sei paia di remi e montata da quattordici persone che indossavano il
pittoresco costume dei cipai sarawakini: giacca di panno rosso, calzoni bianchi
di tela, turbantino in testa pure bianco e scarpe colla punta rialzata.
Dodici avevano la pelle di colore molto oscuro, che li faceva
rassomigliare a malesi o per lo meno a dayaki: e gli altri due invece erano di
razza caucasica ed indossavano la divisa di ufficiali.
Erano tutti uomini robusti, alti e muscolosi e tenevano presso i
loro rispettivi banchi delle lunghe carabine di fabbrica indiana, delle pesanti
sciabole colla lama molto larga e dei pugnali a lama serpeggiante, i famosi, e
terribili kriss malesi.
La scialuppa, che manovrava silenziosamente e velocemente, sotto
la direzione di Yanez che stava a poppa, alla barra del timone, muoveva verso
una profonda baia che s'apriva sulla costa occidentale dell'isola del Borneo,
in quella porzione che è bagnata dalle acque del grande golfo di Sarawak.
Quantunque la notte fosse oscurissima, essendo le stelle coperte
da un velo di vapori che la brezza di ponente spingeva verso la costa, la
scialuppa s'avanzava senza mai esitare, scivolando fra le scogliere corallifere
che aprivano vagamente a babordo ed a tribordo e contro cui rompevasi la
risacca con dei muggiti prolungati.
Si dirigeva verso un piccolo punto luminoso che si scorgeva in
fondo alla rada e che ora s'alzava ed ora s'abbassava, come se subisse delle
scosse improvvise.
Si era già molto inoltrata entro quel profondo squarcio della
costa, quando l'uomo bianco che stava seduto presso Yanez, un bel giovane di
venticinque o vent'otto anni, di forme massicce, con una barbetta tagliata
all'americana e che indossava la divisa di luogotenente, chiese:
- Capitano Yanez, se ci interrogano, che cosa diremo?
- Che andiamo a portare viveri al fortino di Macrae, - rispose il
portoghese, che aveva accesa una seconda sigaretta. - Forse che la nostra
scialuppa non è carica d'ogni ben di Dio?
- E appena saremo bordo contro bordo daremo addosso?
- Sì,
signor Horward. Noi
pirati non esitiamo mai e andiamo sempre a fondo. Se sarà una scialuppa a
vapore, v'incaricherete voi di metterla subito sotto pressione, così ci
rimorchierete subito al largo dopo fatto il colpo.
- Avete fiducia che riesca?
- Piena, completa, signor Horward. Fra due ore Tremal-Naik e Darma
saranno a bordo del Re del Mare, ve lo dico io.
- Siete ammirabili voi altri, signor Yanez.
- Siamo abituati a correre tutti i rischi, - rispose il portoghese.
- D'altronde anche voi americani avete nelle vene del buon sangue.
- Oh!
Una voce che era partita dal praho o dalla scialuppa, poichè
l'oscurità non permetteva ancora di ben distinguere che cosa fosse, aveva
gridato:
- Chi vive?...
- Amici che vanno a rifornire di viveri il forte di Macrae, -
rispose Yanez.
- Abbiamo l'ordine di proibire lo sbarco a tutti fino all'alba.
- Chi ha dato quest'ordine?
- Il capitano Moreland, che si trova nel fortino in attesa che la
sua nave si sia rifornita di carbone.
- Aspetteremo l'alba presso di voi, - rispose Yanez.
Poi, volgendosi verso il macchinista americano ed a Sambigliong
che gli stava presso, disse a mezza-voce:
- Non sapevo che vi fosse una nave in queste acque. Il capitano
Moreland! Chi sarà costui?
- Qualche inglese ai servigi del rajah di Sarawak, senza dubbio, -
rispose l'americano.
- Priveremo la nave del suo capo, - disse Sambigliong. - Lo faremo
prigioniero assieme alla guarnigione del fortino.
- Adagio, mio caro, - disse Yanez. - Vi possono essere in quel
fortino più uomini di quello che crediamo e noi dobbiamo giuocare d'astuzia.
D'altronde nulla sospetteranno, ora che abbiamo fermata la scialuppa che era
incaricata di approvvigionarlo.
- Una vera fortuna, signor Yanez, - disse l'americano.
- Non dico il contrario... Là, vedete se mi ero ingannato? È una
scialuppa a vapore e non già un praho. Ragazzi, tenetevi pronti.
- Accosta! - gridò in quel momento una voce rauca, - o vi scarico
addosso un po' di mitraglia.
- E assassinereste dei camerati, - rispose Yanez. - Vi avverto
intanto che io sono un ufficiale del rajah e non un dayako.
L'uomo che aveva formulata quella minaccia brontolò qualche parola
che non giunse fino a Yanez. La scialuppa a vapore era ormai tanto vicina da
distinguerla benissimo, essendo illuminata da un grosso fanale di marina appeso
sulla cima del fumaiolo.
Era una barcaccia lunga una decina di metri, larga di fianchi,
fornita di ponte, con un piccolo pezzo di cannone collocato a prora. Alcuni
uomini erano appoggiati alla murata di babordo, vestiti di bianco e sembravano
indiani dai turbantini che portavano in testa.
- Gettate una gomena, - disse Yanez, mentre i suoi malesi alzavano
i remi e afferravano i parangs tenendoli nascosti sotto i banchi.
Una fune fu gettata dalla barcaccia e venne subito afferrata da
Sambigliong che era passato a prora.
- Pronti, - sussurrò Yanez ai suoi uomini. - Quando udrete il mio
comando, balzate sopra il bordo.
Con poche bracciate la scialuppa si trovò addosso alla barcaccia.
Yanez e l'americano in un momento passarono a bordo della seconda.
- Chi è che comanda qui? - chiese il portoghese, con voce
imperiosa.
- Sono io, signore - rispose un indiano che portava sulle maniche
i galloni di sergente, salutando. - Perdonate, signor tenente, di avere minacciato
di mitragliarvi ma il capitano Moreland ha dato ordini severissimi e non posso
permettervi d'approdare.
- Dov'è il capitano?
- Nel fortino.
- E la sua nave?
- Alla foce del Redjang, dinnanzi la bocca settentrionale.
- I prigionieri sono sempre nel fortino?
- Quell'indiano e quella fanciulla?
- Sì, - disse Yanez.
- Ieri vi erano ancora, ma credo che appena la nave del capitano
avrà compiuta la sua provvista di carbone, li trasporterà a Sarawak.
- Che cosa si teme?
- Un colpo di mano da parte delle Tigri di Mompracem. Corre voce
che si siano messi in mare contro l'Inghilterra e il rajah.
- Baie, - disse Yanez. - Sono tutti fuggiti al settentrione di
Borneo. Quanti uomini hai qui?
- Otto, signor tenente.
- Arrenditi!
Prima che il sergente si fosse rimesso dallo stupore, il
portoghese con una mossa fulminea l'aveva afferrato colla destra per la gola,
mentre colla sinistra gli aveva puntato al petto una delle due pistole che
teneva alla cintura.
Vedendo quell'atto, i dodici tigrotti che formavano l'equipaggio
della scialuppa, avevano scavalcata rapidamente la murata scagliandosi contro
gli altri indiani coi parangs alzati.
- Chi oppone resistenza è uomo morto! - tuonò Yanez.
Il sergente, che doveva essere un uomo di fegato, con una brusca
mossa cercò di sottrarsi alla stretta del portoghese e di estrarre la sciabola,
mentre gridava ai suoi uomini:
- Prendete le carabine!
L'americano Horward che gli si era posto dietro, fu pronto ad
afferrarlo a mezzo corpo ed a farlo ruzzolare sul ponte con uno sgambetto dato
a tempo.
Vedendo il loro sergente a cadere e che i pirati stavano per far
uso dei parangs, l'equipaggio non osò muoversi.
- Sambigliong, lega il sergente e voi altri disarmate tutti e
calateli sotto il ponte bene assicurati.
L'ordine fu subito eseguito senza che gli indiani opponessero
resistenza.
- Ora, - continuò il portoghese, sedendosi presso il sergente che
era stato legato solidamente alla murata, - se ti preme salvare la pelle,
discorriamo un po'. Sarebbe inutile che tu ti ostinassi a tacere, conoscendo
noi il modo di far urlare anche i muti. Quanti uomini vi sono nel fortino di
Macrae?
- Cinquanta, compreso il capitano ed un tenente del rajah.
- Chi è quel sir Moreland?
- Si dice che prima fosse un tenente della marina anglo-indiana.
- Che cosa è venuto a far qui?
- Non lo so, signore; pare che siasi unito al rajah di Sarawak e
che goda anche la protezione del governatore di Labuan. So che comanda una
bella nave a vapore, formidabilmente armata.
- È un inglese dunque?
- Così si dice, - rispose il sergente, - quantunque sia di
carnagione molto bruna.
- Che bandiera batte la sua nave?
- Quella del rajah di Sarawak.
- Quale distanza corre da qui al fortino?
- Appena un miglio.
- Tu avrai salva la vita e dieci sterline di regalo. Signor
Horward, voi rimarrete qui con due dei nostri e nel frattempo accenderete la
macchina. Ne avremo bisogno fra alcune ore. Gli altri s'imbarchino con me.
Poi, rivolgendosi nuovamente al sergente:
- Si trova su un'altura il fortino, è vero?
- Di fronte a noi, - rispose l'indiano. - È la sola altura che vi
sia su questa costa.
- Benissimo: voi rimarrete prigionieri fino al nostro ritorno e,
se rimarrete tranquilli, vi lasceremo poi liberi. Signor Horward buona notte e
buona guardia.
- Buona fortuna, capitano Yanez, - rispose l'americano.
Il portoghese ridiscese nella scialuppa con Sambigliong e nove
uomini, lasciandone due all'americano e diede il segnale della partenza.
L'imbarcazione si staccò dalla barcaccia e filò verso la spiaggia
che si trovava a tre o quattrocento passi e contro cui rompevasi, con cupo
fragore, la risacca, risalendo per un buon tratto la spiaggia.
Gli undici uomini sbarcarono senza alcun inconveniente, tirarono
in secco la scialuppa, poi deposero i parangs, armandosi invece delle carabine
e caricandosi di ampie ceste che parevano piuttosto pesanti.
- Siete pronti? - chiese Yanez.
- Sì, capitano, - risposero tutti.
- Lasciate parlare me solo e tenetevi pronti a tutto.
- Saremo muti.
- Avanti, miei prodi. Le tigri di Mompracem non temono i
mammalucchi del rajah di Sarawak.
Essendosi in quel frattempo diradato un po' il velo nebbioso che
nascondeva le stelle, Yanez aveva subito scorta l'altura su cui trovavasi il
fortino, essendo il paese circostante tutto piano. Il drappello si mise in
marcia nel più profondo silenzio. Yanez rischiarava la via con una grossa
lanterna, che aveva tolta dalla scialuppa e che dovevasi scorgere a una grande
distanza fra l'oscurità della notte.
Scoperto al di là delle dune una specie di sentiero che
serpeggiava fra delle piantagioni d'indaco e che pareva si dirigesse verso
l'altura, gli undici uomini vi s'inoltrarono camminando in fila indiana.
Non avevano scelto male la direzione, perchè venti minuti dopo si
trovavano alla base della minuscola collina, alta appena duecento metri, sulla
cui cima scorgevasi confusamente una specie di torricella con intorno delle
case e delle cinte.
- Se non dormono o non sono ciechi devono aver scorta la mia
lampada, - disse Yanez. - Mio caro signor Moreland, vedrai come ti giuocheranno
le tigri di Mompracem! Poi Sandokan si occuperà della tua nave, giacchè ne hai
una.
Un sentieruzzo che s'innalzava a zig-zag conduceva al fortino.
Yanez, dopo d'aver accordato ai suoi uomini un momento di riposo,
essendo quelle ampie ceste assai pesanti, cominciò a salire, tenendo la
sciabola sguainata.
Il drappello era giunto già a metà costa, quando da uno spalto del
fortino si udì una voce a gridare:
- Chi va là?
- Il tenente Farshon con cipai di Sarawak che portano viveri pel
fortino e ordini pel capitano Moreland.
- Attendete.
Si udirono delle voci, poi si videro parecchi lumi brillare sulle
palizzate e finalmente tre uomini che parevano dayaki, quantunque indossassero
il costume indiano e armati di carabine, mossero incontro al drappello. Uno di
essi portava una torcia.
- Da dove venite, signor tenente? - chiese uno dei tre.
- Da Kohong, - rispose Yanez. - È ancora sveglio il capitano
Moreland?
- Ha finito or ora di cenare
assieme ai prigionieri.
- Si mangia molto tardi a Macrae.
- Il capitano è tornato dopo il tramonto, questa sera.
- Conducetemi subito da lui; ho delle gravi notizie da
comunicargli.
- Seguitemi, signor tenente.
Yanez gli si mise dietro, mormorando fra i denti:
- Ecco una cosa che non avevo prevista. Se Tremal-Naik o Darma,
vedendomi comparire improvvisamente, mandassero un grido di sorpresa? Mio caro
Yanez sta' in guardia. La carta che stai giuocando è terribile.
Il drappello varcò un ponte levatoio, attraversò due cinte e un
vasto cortile e giunse dinanzi ad un fabbricato piuttosto vasto, costruito in
muratura e sormontato da una torricella. Dalle finestre del pianterreno
uscivano due sprazzi di luce, essendo le imposte ancora aperte.
- Venite, tenente: il capitano è là, - disse uno dei tre dayaki. -
Devo dare ricovero ai vostri uomini?
- No, per ora: lasciateli qui nel cortile.
Ringuainò la sciabola, si assicurò le pistole dentro la fascia,
scambiò con Sambigliong un rapido cenno e affettando una grande calma entrò in
una saletta illuminata da una lanterna cinese, di carta oliata, dove dinanzi ad
una tavola riccamente imbandita si trovavano tre persone: un capitano di
marina, Tremal-Naik e Darma.
Vedendo entrare Yanez, in quel costume a cui non erano abituati,
Tremal-Naik e la fanciulla si erano alzati di scatto colla bocca aperta pronti
a mandare quel grido di sorpresa, naturale del resto, che l'audace portoghese
tanto temeva. Uno sguardo fulmineo di lui lo arrestò a tempo sulle loro labbra.
Fortunatamente il capitano Moreland, che volgeva le spalle alla
porta e che nell'alzarsi si era imbrogliata la correggia della sciabola nella
spalliera della sedia, non aveva potuto sorprendere quello sguardo imperioso.
Fece mezzo giro su se stesso e squadrò il portoghese che aveva
portata la destra sulla visiera dell'elmetto di sughero coperto di flanella
bianca, salutando militarmente.
Il capitano era un bel giovane, di forse venticinque anni, di
statura piuttosto alta e slanciata, con due occhi nerissimi, che parevano
avessero dentro il fuoco, una barbetta nera che gli dava un aspetto fiero e,
come aveva detto il sergente della barcaccia, aveva la pelle assai abbronzata.
Si sarebbe detto che aveva nelle vene più sangue indiano o malese che europeo,
malgrado la purezza dei suoi lineamenti che erano più caucasei che indù.
- Da dove venite, signor tenente? - gli chiese in purissima lingua
inglese, dopo che lo ebbe ben guardato.
- Vengo da Kohong a portarvi dei viveri da parte di quel
governatore. Non ne aspettavate, capitano?
- Sì, avevo fatto chiedere delle provviste che qui non si possono
trovare.
- Delle bottiglie e dei prodotti europei?
- È vero, - rispose il capitano, - ma non era necessario che per
inviarmi ciò mi mandasse anche un ufficiale. Bastavano alcuni soldati.
- Non si fidava a comunicare loro le notizie che io sono
incaricato di darvi a voce.
- Delle notizie?
- E gravi, sir Moreland.
- Siete il comandante della guarnigione di Kohong, voi?
- Sì, capitano.
- Non siete inglese, voi.
- No, uno spagnolo da parecchi anni ai servigi del rajah di
Sarawak.
- Che cosa avete da dirmi?
Yanez accennò Tremal-Naik e Darma che stavano immobili, in piedi,
guardandolo con crescente stupore, senza però lasciarsi sfuggire un cenno
qualsiasi che potesse allarmare il capitano.
- Avete ragione, - disse sir Moreland, sorridendo. - Sono miei
prigionieri.
Si volse verso Tremal-Naik e Darma e disse loro con perfetta
cortesia:
- Permettete che mi assenti qualche minuto.
- Toh! Toh! - mormorò Yanez fra i denti. - Li tratta più da ospiti
che come prigionieri. Che cosa vi può essere sotto?
Seguì lo sguardo del capitano e lo vide fissarsi replicatamente
sulla fanciulla, la quale abbassò gli occhi, mentre un leggero rossore le
coloriva le gote.
- Ah! Diavolo! - pensò il portoghese, corrugando lievemente la
fronte. - Il sangue anglo-indiano s'intende forse? La sarebbe curiosa!
Il capitano aveva aperta una porta laterale e introdusse Yanez in
un elegante gabinetto ammobiliato all'indiana, con ricchi tappeti, mobili
leggeri, divanetti di stoffa orientale trapuntati in oro e con grandi vasi di
bronzo a rilievi, collocati negli angoli.
Una lampada a globo un po' opaca ed azzurrognola, spandeva una
luce un po' velata sui tappeti facendo scintillare i loro ricami d'argento.
- Nessuno potrà udirci, tenente, - disse il capitano, dopo d'aver
chiusa la porta a chiave e d'aver lasciata cadere una pesante tenda di broccato
antico.
- Sapete, capitano, che le tigri di Mompracem hanno dichiarato la
guerra all'Inghilterra ed al rajah di Sarawak suo protetto? - disse Yanez.
- Ne sono stato informato fino da ieri da un corriere del rajah, -
rispose sir Moreland. - Ma quelli sono pazzi!
- Non forse quanto credete, - rispose Yanez. - Ricordatevi che fu
Sandokan a rovesciare James Brooke quand'era al colmo della sua potenza e che
lo si credeva invincibile.
- Quelli erano altri tempi, tenente. E poi, sfidare l'Inghilterra!
Ignorando dunque che la sua potenza navale è temuta perfino dagli stati
europei? Quei pazzi faranno qualche crociera in queste acque coi loro prahos,
poi si squaglieranno alle prime cannonate.
- Ecco dove v'ingannate, sir Moreland. Non è coi loro velieri che
hanno intrapresa la guerra. Ieri è stata veduta una grossa e poderosa nave a
vapore, fumare a venti miglia al largo di Kohong e che aveva sul picco la
bandiera rossa delle tigri di Mompracem.
Il capitano aveva sussultato.
- Qui di già? - esclamò.
- E pare che si dirigano verso queste coste.
- L'avete incontrata voi?
- No, capitano.
- Che cosa vengono a fare qui? Che sappiano che la mia nave è
ancorata alla seconda bocca del Redjang?
- Il governatore di Kohong crede invece che mirino ad assalire il
fortino di Macrae per liberare i due prigionieri ed è perciò che mi ha mandato
qui ad avvertirvi di inviarli subito da lui. Io ho l'incarico di condurli colla
barcaccia a vapore che staziona nella rada.
- Sono più sicuri a bordo della mia nave.
- Li esporreste al rischio d'una grave battaglia ed essendo molto
problematica la vostra vittoria, il governatore preferirebbe che glieli
mandaste. Pare che tale desiderio lo abbia manifestato anche il rajah a quanto
ho potuto capire. Ci tiene ad avere in ostaggio quelle due persone per frenare
Sandokan nelle sue audacie e impedirgli di ritentare l'insurrezione dei dayaki
dell'interno, che sono stati poi alleati ai tempi di James Brooke.
Sir Moreland era rimasto silenzioso, come se fosse in preda ad una
viva preoccupazione; poi, dopo qualche istante di silenzio, disse con tono
singolare che non sfuggì al portoghese:
- Anch'io ci tengo dacchè Tremal-Naik e Darma rimangano
prigionieri.
Si passò con un moto nervoso una mano sulla fronte e mandò un
sospiro.
- Fatalità del destino, - disse poi, come parlando fra sè.
Yanez lo osservava attentamente, pensando:
- Che diavolo... che quell'anglo-indiano sia stato ferito dagli
occhi di Darma? Vivaddio è un bel giovane, pieno di fuoco e di slancio e mi
sembra leale. Se provassi a grattargli dolcemente la gola?
- Capitano, - disse, - che cosa decidete dunque?
- Il governatore di Kohong può aver ragione, - rispose sir
Moreland, dopo un altro breve silenzio. - I prigionieri potrebbero essermi
d'imbarazzo a bordo della mia nave e poi non si sa mai come finisce una
battaglia, specialmente quando vi sono di mezzo quei terribili pirati. Ho
fiducia intera nella robustezza del mio vascello e nel valore dei miei uomini,
scelti con cura e anche nella potenza dei miei cannoni che sono dei più
moderni; ma non conosco le forze dei nostri avversari e potrei avere la peggio.
Voi credete che essi sappiano dove si trova il mio Sambas?
- È il nome della vostra nave?
- Sì, - rispose il capitano.
- A Kohong si crede che la Tigre della Malesia e Yanez sappiano
dove si trova ancorata e non si dubita che da un momento all'altro vi
assalgano.
- Allora affiderò a voi i due prigionieri; ma risponderete della
loro salvezza?
- Io seguirò la costa passando dietro le scogliere. L'acqua non è
abbondante in quei canali interni e la nave dei pirati della Malesia non
potrebbe seguirmi. Io rispondo pienamente di loro, capitano.
- È meglio che approfittiate delle tenebre.
- È quello che volevo proporvi, sir Moreland, - disse Yanez, che
frenava a grande stento la gioia interna.
- Quanti uomini avete?
- Dieci qui e due nella rada.
- Vi servirete della barcaccia a vapore, così all'alba potrete
giungere a Kohong.
- E voi, capitano?
- Io uscirò in mare ed andrò a cercare la Tigre della Malesia.
Anelo di misurarmi con quell'uomo.
- Lo odiate?
- È un pirata che è tempo di domare, - si limitò a rispondere il
capitano. - Seguitemi.
Riaprì la porta e rientrò nel salotto dove si trovavano ancora
Tremal-Naik e Darma.
- Preparatevi a partire, - disse, guardando particolarmente la
fanciulla.
- Dove volete tradurci, capitano? - chiese Tremal-Naik.
- Ho ricevuto l'ordine di farvi condurre a Kohong.
- Qualcuno minaccia il fortino?
- Non posso rispondere a questa domanda.
Yanez finse di approvare con un gesto.
Sir Moreland fece cenno ai due prigionieri di andarsi ad
abbigliare, poi sturò una bottiglia e riempì due bicchieri offrendone uno al
portoghese.
- Voi mi assicurate che non vi lascerete catturare, è vero? -
chiese l'anglo-indiano, dopo d'aver vuotato il suo.
- Se vedo qualche pericolo mi getterò alla costa, capitano, -
rispose Yanez.
- Sono valorosi i vostri uomini?
- Sono i migliori della guarnigione di Kohong. Quando avrò l'onore
di rivedervi?
- Salperò all'alba e muoverò subito verso la cittadella, a meno
che i pirati della Malesia non mi arrestino. Tuttavia ho fiducia di vincerli.
Yanez sbozzò un sorrisetto ironico.
- Ve l'auguro, capitano, - disse poi. - È ora di finirla con quei
fieri e pericolosi scorridori del mare.
Tremal-Naik e Darma erano in quel momento rientrati. Il primo si
era coperto il capo d'un immenso turbante e la seconda si era gettata sulle
spalle una mantiglia di seta bianca che l'avvolgeva tutta.
- Vi scorterò fino alla spiaggia, - disse il capitano, -
quantunque nessun pericolo vi minacci.
Yanez, udendo quelle parole, aggrottò lievemente la fronte.
- Che prenda con sè degli uomini? - mormorò, assai contrariato da
quella proposta. - Bah? Li ridurremo a dovere appena saremo in vista del mare.
Uscirono tutti insieme nel cortile, dove si trovavano sempre
allineati i dieci pirati, appoggiati alle loro carabine. Vedendo apparire il
capitano, presentarono le armi con un insieme che fece stupire lo stesso Yanez.
- Sono uomini solidi, - disse sir Moreland, dopo d'averli
osservati uno ad uno. - Andiamo.
Quattro pirati formarono l'avanguardia, dietro si misero Yanez e
Tremal-Naik, poi Darma col capitano a qualche distanza, quindi gli altri sei. I
primi portavano il fanale e tre torce per illuminare la via, essendosi il cielo
coperto di un fitto velo di vapori che intercettava completamente quel vago
chiarore che proiettano gli astri, specialmente attraverso la limpida atmosfera
delle regioni equatoriali.
Un profondo silenzio regnava nelle pianure sottostanti alla
collinetta, rotto solo dal passo leggero del drappello. Anche la risacca pareva
che si fosse calmata in causa forse del riflusso.
Yanez taceva, ma scambiava di quando in quando uno sguardo con
Tremal-Naik e lo urtava col gomito, come per raccomandargli la massima
prudenza. Dietro di lui il capitano diceva qualche parola, sotto-voce, alla
fanciulla, che il portoghese non riusciva ad afferrare per quanto aguzzasse
l'udito.
I pirati, muti come pesci, col dito sul grilletto delle carabine,
li seguivano pronti al primo comando ad avventarsi contro il capitano.
Discesa la collinetta, il drappello s'avanzò in mezzo alle
piantagioni e, siccome il sentiero era stretto, Yanez ne approfittò per
distanziare il capitano.
- Sii pronto a tutto, - sussurrò a Tremal-Naik, quando credette
che il capitano non lo potesse più udire.
- E Sandokan? - chiese sotto-voce l'indiano.
- Ci aspetta al largo.
- A quale rischio ti sei esposto, Yanez.
- Bisognava ben tentare un colpo di testa. Senza di voi non
saremmo stati liberi di cominciare le ostilità.
- Del capitano che cosa ne farai? Ti chiedo la sua libertà, perchè
egli ci ha trattati più come ospiti che come prigionieri.
- Non ho alcuna intenzione di ucciderlo. Sarebbe una vigliaccheria
assassinarlo. Chi è quell'uomo?
- Un inglese ai servigi del rajah, e che prima faceva parte della
marina indiana.
- Lui, inglese, con quella pelle così abbronzata e quegli occhi!
No, io lo credo un anglo-indiano piuttosto.
- Anche a me è venuto il sospetto; comunque sia, si è comportato
verso di noi come un vero gentiluomo.
- Zitto: ecco il mare.
S'accostò ai quattro pirati che lo precedevano, fra i quali si
trovava Sambigliong e sussurrò loro qualche parola.
- Va bene, - rispose l'antico mastro della Marianna. - Me ne
occuperò io.
Pochi minuti dopo giungevano sulla spiaggia del mare, là dove la
scialuppa si trovava arenata. A tre o quattro gomene la barcaccia fumava. Il macchinista
americano non aveva perduto il suo tempo a quanto pareva.
- Spingete in acqua la scialuppa, - comandò Yanez.
Mentre quattro uomini eseguivano l'ordine, gli altri si erano
disposti intorno al gruppo formato da Tremai-Naik, da Darma e dal capitano.
Sambigliong anzi si era messo dietro a quest'ultimo.
Appena Yanez vide la scialuppa a galleggiare, s'accostò a sir
Moreland che stava presso Darma e gli stese la mano, dicendogli:
- Fidatevi di me, capitano: io condurrò i prigionieri in salvo.
Nel medesimo tempo strinse la mano dell'anglo-indiano con tale
forza da fargli scricchiolare le dita e da paralizzargli il braccio.
Mentre lo teneva, impedendogli in tal modo che sguainasse la
sciabola, Sambigliong afferrò a mezzo corpo il capitano e con un colpo solo
l'atterrò.
Sir Moreland aveva mandato un grido di furore:
- Ah! Miserabili!
I pirati si erano precipitati su di lui e in meno che lo si dica
gli avevano legato le mani dietro al dorso e l'avevano privato della sciabola e
delle pistole che portava alla cintura.
Appena potè rimettersi in piedi, avendogli lasciate le gambe
libere, fece atto di scagliarsi su Yanez che lo guardava, sorridendo
silenziosamente.
- Che cosa significa questa aggressione? - gridò, pallido d'ira. -
Chi siete voi?
Yanez si levò l'elmetto e salutandolo ironicamente, gli rispose:
- Ho l'onore di presentarvi i saluti del mio amico, la Tigre della
Malesia.
- Chi siete voi?
- Yanez de Gomera, sir Moreland.
La sorpresa fu tale, che il giovane capitano fu per qualche
istante incapace di pronunciare una parola.
- Yanez, - disse finalmente, guardandolo quasi con terrore. - Voi
il compagno della Tigre della Malesia!
- Ho quest'onore, - rispose il portoghese.
Il capitano girò lo sguardo verso Darma. La fanciulla non aveva
mandato un grido, nè aveva fatto un gesto durante quell'improvviso attacco. Era
rimasta immobile e silenziosa, a cinque passi dall'anglo-indiano, quantunque il
suo pallore tradisse una certa angoscia.
- Uccidetemi dunque, se l'osate, - disse rivolgendosi a Yanez.
- Ci chiamano pirati, ma sappiamo essere generosi forse più degli
altri, - rispose il portoghese. - Se io fossi caduto nelle mani del rajah, a
quest'ora mi avrebbe fatto fucilare; io, signore, vi dono invece la vita.
- Che io avrei chiesto, - disse Tremal-Naik.
- E che io non ti avrei rifiutata, - aggiunse Yanez.
- Che cosa volete fare di me, dunque? - chiese il capitano coi
denti stretti.
- Lasciarvi libero di tornarvene a Macrae, signore.
- Potreste pentirvi d'una simile generosità, perchè domani vi darò
la caccia colla mia nave.
- E troverete sul vostro cammino un avversario degno di voi, -
rispose Yanez. - Se volete attendere l'equipaggio della barcaccia, fra pochi
minuti sarà qui.
- Si sono arresi quei miserabili?
- Li abbiamo sorpresi e non potevano misurarsi con noi. Capitano,
buona notte e buona fortuna.
- Ci rivedremo più presto di quello che credete.
- Vi aspettiamo, sir Moreland. Su, imbarcate!
Tremal-Naik prese per mano Darma, che non aveva mai aperto bocca e
la trasse dolcemente verso la scialuppa facendola sedere a poppa, poi
s'imbarcarono tutti gli altri, mentre il capitano passeggiava nervosamente
sulla spiaggia, cercando di spezzare le corde che gli legavano le mani.
La scialuppa prese subito il largo dirigendosi verso la barcaccia
che fumava sempre e che aveva a prora il fanale acceso.
Darma, dopo d'aver stretta mestamente la mano al portoghese ed
averlo ringraziato con un sorriso, si era appoggiata con un gomito al banco di
poppa e teneva gli sguardi fissi sulla riva. Anche il capitano aveva cessato di
passeggiare. Ritto su una duna di sabbia guardava la scialuppa ad allontanarsi
e forse non era la scialuppa che guardava.
- Ebbene, Tremal-Naik, che cosa ne dici di questo colpo di testa?
- chiese Yanez, ridendo.
- Che voi siete dei demoni, - rispose l'indiano. Non dubitavo che
un giorno o l'altro sareste venuti a salvarci, non però così presto. Come
avevate saputo che ci avevano condotti a Macrae?
- A Labuan; più tardi ti narrerò tuttociò che è avvenuto dopo il
vostro rapimento. Sappi intanto che abbiamo una delle più potenti navi del
mondo e che ci prepariamo a fare la guerra al rajah di Sarawak e
all'Inghilterra, per vendicarci di averci scacciati da Mompracem.
- Tanto osate?
- E devo aggiungere un'altra cosa che ti farà stupire.
- Quale?
- Che quel pellegrino che ci diede tanto da fare era un emissario
del figlio di Suyodhana.
- Tu dici...
- Quando saremo a bordo del Re del Mare ti spiegheremo meglio.
Vorrei ora sapere se nessuno ti disse mai che Suyodhana avesse un figlio.
- Mai ne ho udito parlare e poi, come capo dei thugs, non poteva
ammogliarsi. Sicchè sarebbe stato lui a muoverci la guerra?
- Sembra, e appoggiato dagli inglesi e dal rajah di Sarawak.
- E come gli inglesi possono aver accordata protezione al figlio
d'un thug perchè venga a misurarsi con noi che abbiamo estirpata quella piaga
che disonorava l'India?
- È un mistero che noi non siamo riusciti a spiegare.
- E dove si trova quell'uomo?
- Ecco un altro mistero, mio caro Tremal-Naik. Speriamo in qualche
luogo d'incontrarlo e di fargli fare la fine di suo padre. Signor Horward!
La scialuppa era giunta presso la barcaccia e l'americano era
salito prontamente in coperta.
- Tutto bene, signor Yanez?
- Meglio non la poteva andare. Avete la massima pressione?
- Da un'ora.
- Ed i prigionieri?
- Sembrano conigli.
- A bordo, ragazzi.
Aiutò Darma a salire sulla barcaccia, poi tutti si issarono sulla
tolda.
- Sbrighiamoci, - disse Yanez.
Fece slegare uno ad uno gli indiani che formavano l'equipaggio della
barcaccia, fece scivolare nelle tasche del sergente un pugno di sterline e li
fece scendere nella scialuppa dicendo loro:
- Il capitano Moreland vi aspetta sulla spiaggia. Portate a lui i
miei saluti ed i miei ringraziamenti per la bella barca a vapore che mi ha
regalato. Signor Horward, a tutto vapore.
L'americano fece fischiare ripetutamente la macchina, come un
ironico saluto agli indiani della scialuppa, e la barcaccia, sbarazzata
dell'ancora, filò rapidamente verso l'uscita della baia.
Yanez, affidata la barra del timone a Sambigliong, si era
collocato a prora assieme a Tremal-Naik e scrutava attentamente le tenebre per
cercare di discernere la nave di Sandokan, che doveva incrociare a non molta
distanza dalla costa.
Dovendo però avere i fanali spenti non era cosa facile scoprirla.
- Si sarà portata più al largo a menochè non siano avvenute delle
novità durante la mia assenza, - disse Yanez a Tremal-Naik che lo interrogava.
- Da un praho che veniva da Labuan abbiamo saputo che una squadriglia d'incrociatori
inglesi ha lasciato Victoria per darci la caccia.
- Che Sandokan li abbia incontrati?
- Avremmo udito il cannone e poi Sandokan non è un uomo da
lasciarsi sorprendere, specialmente colla nave che possiede. Vedo laggiù delle
scorie accese alzarsi. È il Re del Mare! Signor Horward, caricate le valvole!
La barcaccia, che era davvero una buona camminatrice, s'avanzava
sempre più rapida sul tenebroso mare, lasciandosi a poppa una scia che talvolta
diventava luminosa per effetto d'un principio di fosforescenza.
Ad un tratto una massa enorme, che scivolava sulle acque con un
sordo fragore, comparve dinanzi alla scialuppa a vapore sbarrandole la via,
mentre una voce formidabile gridava:
- Puntate il pezzo di prua!
- Alt! - aveva comandato prontamente Yanez. - Ehi, Sandokan, cala
la scala. Sono le tigri di Mompracem che tornano!
La barcaccia, che aveva rallentato il cammino, abbordò l'enorme
nave presso l'anca di tribordo, sotto la scala che era stata abbassata d'un
colpo solo.
Sandokan attendeva Yanez ed i prigionieri sulla cima della
gradinata, a fianco d'una bellissima fanciulla dalla pelle leggermente
abbronzata, i lineamenti dolci e fini, gli occhi nerissimi ed i capelli assai
lunghi, intrecciati con nastrini di seta e che indossava il pittoresco costume
delle donne indiane.
Alcuni uomini dalla tinta olivastra, che indossavano le bianche
divise della marina da guerra, illuminavano la scala con delle grosse lanterne.
Yanez pel primo era giunto sulla tolda, tendendo una mano al
terribile pirata e l'altra alla giovane indiana.
- Nulla? - aveva chiesto la Tigre della Malesia con ansietà.
- Eccoli, - avea risposto Yanez.
Sandokan avea mandato un grido e si era slanciato verso
Tremal-Naik, mentre Darma si gettava fra le braccia della giovane indiana,
esclamando:
- Surama! Non credevo più mai di rivederti!
- Nel quadro, miei cari amici, - disse Sandokan, dopo d'essersi
stretto al petto l'indiano e di aver baciato sulle gote Darma. - Abbiamo mille
cose da dirci.
- Un momento, Sandokan, - disse Yanez, arrestandolo. - Fa' mettere
la prora al nord e risaliamo a piccolo vapore verso la seconda foce del
Redjang. Vi è un leopardo nero che ci aspetta lassù e che se non lo assaliamo
ci guasterà i nostri piani. Si dice che sia molto forte.
- Una nave?
- Sì e che a quest'ora si prepara per darci la caccia.
- Ah! - fece Sandokan, quasi con noncuranza. - Domani ci
sbarazzeremo di quell'importuno.
Chiamò Sambigliong e l'ingegnere di macchina e diede loro alcuni ordini,
poi scese nell'elegante salotto del quadro con Tremal-Naik, Darma e Surama che
s'appoggiava dolcemente a Yanez, il suo sahib bianco.
Quando ebbe appreso l'esito della spedizione e quand'ebbe spiegato
a Tremal-Naik tuttociò che era accaduto dopo il combattimento avvenuto sulle
coste del Borneo, dell'acquisto della potente nave americana e della
dichiarazione di guerra lanciata contemporaneamente all'Inghilterra ingenerosa
ed al nipote di James Brooke, disse:
- Non sono già le squadre inglesi, che non tarderanno a darci la
caccia, nè la flottiglia del rajah di Sarawak che m'inquietano: è sempre il
mistero che avvolge il figlio del tuo antico nemico, mio caro Tremal-Naik. Dove
si nasconde quell'uomo che ha dato una rara prova della sua potenza, distruggendo
per opera del pellegrino, le tue piantagioni e le tue possessioni? Quando ci
assalirà? Che cosa sta tramando costui? Io non temo nessuno, eppure quell'uomo
che non abbiamo mai veduto, che non sappiamo nè dove sia nè che cosa stia
preparando, mi preoccupa, più che la presenza d'una squadra inglese.
- Non avete raccolta nessuna notizia su di lui? - chiese
Tremal-Naik, che pareva non meno preoccupato del formidabile pirata.
- Abbiamo interrogato parecchie persone durante la nostra corsa
verso il sud avendo fermato parecchi velieri di Sarawak, e senza riuscire a
sapere dove sia quell'uomo.
- Non sarà già uno spirito.
- Si mostrerà una volta o l'altra, - disse Yanez. - Se vuole farci
la guerra e vendicare la morte di suo padre, non rimarrà già eternamente nascosto.
- Che cosa conti di fare intanto, Sandokan? - chiese Tremal-Naik.
- Di cominciare le ostilità col dare battaglia a quella nave che
si tiene ancorata alla foce del Redjang. Giacchè abbiamo dichiarata la guerra
diamo segno di farla davvero.
- Volete affondarla? - chiese Darma con un tono di voce che fece
trasalire Yanez.
- La distruggerò, Darma, - rispose freddamente Sandokan.
Il portoghese, che la guardava attentamente, la vide leggermente
impallidire e gli parve che un lieve sospiro le fosse uscito dalle labbra, ma
fu tutto, poichè la fanciulla non ribattè parola alla terribile sentenza di
morte pronunciata dal formidabile pirata contro la nave di sir Moreland.
Tutti si erano alzati per risalire in coperta. Surama aveva presa
per una mano Darma, dicendole:
- Lasciamo fare agli uomini e tu vieni a riposarti nella mia
cabina. Ho fatto preparare un bel lettino per te, perchè ero sicura di
rivederti presto.
La figlia di Tremal-Naik sorrise senza rispondere e la seguì
nell'interno del quadro.
Quando Sandokan, Tremal-Naik e Yanez furono in coperta, tutti gli
uomini erano ai loro posti di combattimento, avendo Sambigliong avvertito le
tigri di Mompracem che l'incrociatore si preparava ad assalire una grande nave
nemica. I fanali di posizione erano stati accesi e le batterie illuminate e
raddoppiato il personale del timone. I quattro enormi pezzi da caccia, disposti
in barbetta, a prora e a poppa entro torri giranti difese da piastre di ferro
di spessore considerevole, erano già stati caricati.
Un colpo di vento avendo dispersi nuovamente i vapori che
ingombravano il cielo, cacciandoli verso il sud, le stelle erano riapparse,
sicchè un vago chiarore si era diffuso nelle nere acque del vasto golfo di
Sarawak, chiarore che permetteva di poter facilmente distinguere una nave,
anche se navigasse coi fanali spenti.
Il Re del Mare s'avanzava a piccolo vapore, per non consumare
troppo combustibile, anzi Sandokan, per maggior economia, aveva fatto spiegare
le vele basse sul trinchetto e sull'albero maestro, essendo il vento abbastanza
fresco e non del tutto sfavorevole. Dopo i consigli del capitano americano, il
formidabile pirata era diventato eccessivamente economico nel consumo del
combustibile, non potendo provvedersi in alcun porto dopo l'audace
dichiarazione di guerra, e durante la traversata fra Labuan e il golfo di
Sarawak non aveva fatto uso che delle vele, manovra d'altronde più familiare ai
suoi uomini, quantunque non pochi di loro fossero stati già istruiti nel
servizio delle macchine dagli americani rimasti a bordo.
Yanez e Tremal-Naik, appoggiati alla murata di prora, il cui capo
di banda era stato imbottito da amache arrotolate per riparo dei fucilieri,
scrutavano attentamente l'orizzonte, mentre Sandokan visitava le batterie e i
pezzi per vedere se tutto era in ordine.
A levante le coste apparivano confusamente, diventando sempre più
elevate di miglio in miglio che s'avvicinavano al dirupato e altissimo
promontorio di Sirik, che chiude verso occidente la vasta baia o golfo di
Sarawak. Nessun lume però brillava, quantunque in quei luoghi si trovasse la
cittadella di Redjang.
La notte trascorse così in una continua esplorazione, senza
risultato alcuno, ma appena cominciò a diffondersi un po' di luce, si udì
subito la voce della vedetta installata sulle crocette del trinchetto a gridare
a squarciagola:
- Fumo a levante!
Yanez, Tremal-Naik e Sandokan si erano subito issati sulle
griselle di babordo del trinchetto, innalzandosi fino alla coffa e videro
subito, là dove il mare pareva confondersi col cielo, un pennacchio di fumo
alzarsi nettamente nella limpida atmosfera mattutina.
- Viene dalla foce del Redjang, - disse Yanez. - Scommetterei
cento sterline contro una sigaretta che quella è la nave di sir Moreland.
- L'hai veduta tu quella nave? - chiese Sandokan a Tremal-Naik.
- No, - rispose l'indiano. - Mi hanno detto però che stava
completando le sue provviste di carbone alla foce del secondo braccio del
Redjang.
- Vi è un deposito di combustibili colà?
- Udii a parlare d'un praho carico di carbone mandato da Sarawak.
Non deve esservi nemmeno una misera borgata su quelle spiaggie.
- Peccato, - disse Sandokan.
- Ma io ho udito a raccontare che ve n'è uno alla foce del Sarawak
invece, su di un'isoletta e dove va a provvedersi la squadra del rajah.
- Chi te lo ha detto?
- sir Moreland.
- Se ci va la squadra del rajah, possiamo bene andarci anche noi,
è vero Yanez?
- E senza pagarlo, - rispose il portoghese, che non dubitava mai
di nulla. - Ecco la prora che comincia ad emergere. Muovono su di noi,
Sandokan, ed a tutto vapore. Devono aver scorto anche essi il nostro fumo.
Sandokan si levò da una tasca un cannocchiale, lo allungò più che
potè e lo puntò sulla nave il cui scafo si cominciava a distinguere anche a
occhio nudo.
- Una bella nave infatti, - disse. - Lo si direbbe un incrociatore
e di forte tonnellaggio. Vedo molti uomini a bordo.
- Corre su di noi? - chiese Yanez.
- A tiraggio forzato, credo. Teme che noi scappiamo. No, mio caro,
non ne abbiamo alcun desiderio. È qui che noi cominceremo le ostilità.
- Lo caleremo a fondo?
- Mi rincresce pel capitano, - disse Tremal-Naik. -
Contraccambiamo molto male la sua ospitalità.
- Dorata, ma senza libertà, - disse Yanez.
- Prepariamoci, - disse Sandokan.
Scesero in coperta, dove s'incontrarono con Darma e con Surama che
erano allora salite.
- Ci attaccano, mio sahib6?- chiese l'indiana a Yanez.
- E farà molto caldo qui fra poco, Surama, - rispose il
portoghese.
- Noi vinceremo, è vero?
- Come abbiamo vinti i thugs di Suyodhana.
- È la nave di sir Moreland? - chiese Darma, con una certa
ansietà, che non isfuggì all'astuto portoghese.
- Almeno lo supponiamo.
Poi, prendendola per un braccio e traendola verso la torre di
prora, le chiese, sorridendo:
- Che cos'hai Darma? È già la terza volta che, udendo parlare del
capitano, mi sembri commossa.
- Io! - esclamò la fanciulla, arrossendo leggermente. - Vi siete
ingannato, signor Yanez.
- Per Giove! Che la vecchiaia mi abbia indebolita la vista?
- Oh no, ci vedete ancora troppo bene.
- Allora?
Darma volse il capo verso il mare, fissando i suoi sguardi sulla
nave nemica, che forzava la sue macchine e dicendo:
- È una grossa nave anche quella.
- Che non varrà la nostra - rispose Yanez.
- Costringetela ad arrendersi piuttosto che affondarla. Potrebbe
esservi utile.
- Se è comandata da sir Moreland non abbasserà la bandiera.
Quell'uomo, quantunque giovane, deve essere un valoroso e si batterà finchè
tutto il suo equipaggio non sarà distrutto.
- E non accorderete quartiere a nessuno?
- Quando la nave calerà a picco vedremo di salvare i superstiti,
te lo prometto, Darma. Ritirati nella cabina con Surama. Qui stanno per piovere
le granate.
La voce formidabile, sonora come lo squillo d'una tromba, della
Tigre della Malesia, echeggiò in quel momento sul ponte:
- A tutto vapore, ingegnere di macchina! Pronti pei fuochi di
bordata! Dietro le brande i fucilieri!
La nave avversaria che doveva essere fornita di macchine poderose,
non era più che a duemila metri e muoveva diritta sul Re del Mare delle tigri
di Mompracem, come se avesse avuto intenzione di speronarlo o per lo meno di
abbordarlo.
Era un bell'incrociatore e fornito di sperone, con tre alberi e
due ciminiere. Pareva che fosse potentemente armato a giudicarlo dal numero dei
suoi sabordi e anche in coperta si scorgevano parecchi pezzi, ma non protetti
da torri blindate come quelli delle tigri di Mompracem.
Dietro le murate e perfino sulle coffe si vedevano numerosi
fucilieri e sul ponte di comando parecchi ufficiali.
- Ah! - disse Sandokan, che lo contemplava con occhio tranquillo.
- Vuoi misurarti pel primo colle tigri di Mompracem? Siamo pronti a riceverti.
Mentre le due fanciulle sgombravano rapidamente la coperta
rifugiandosi nel quadro di poppa, Sandokan, Yanez e Tremal-Naik si ritrassero
nella torretta di comando dove potevano mettersi in comunicazione col personale
di macchina.
Gli artiglieri americani, assieme ai migliori puntatori malesi,
attendevano dietro ai loro pezzi col cordone tira-fuoco in mano.
Ad un tratto una detonazione scoppiò al largo, mentre un getto di
fuoco sfuggiva da uno dei due pezzi di prora dell'incrociatore. Si udì un rauco
sibilo, che s'avvicinava rapidissimo attraverso gli strati d'aria, poi una
vampa s'alzò sull'orlo della prima torretta di babordo del Re del Mare, mentre
delle schegge passavano sibilando sopra i fucilieri appiattati dietro le
murate.
- Granata da dodici pollici! - aveva esclamato Yanez. - Buon tiro!
La voce di Sandokan si fece udire subito.
- Artiglieri, non vi trattengo più!
I due pezzi da caccia di prora avvamparono nell'istesso tempo,
mentre quelli della batteria di tribordo, trovandosi a buon tiro, tuonavano a
loro volta con rimbombo tale da far tremare tutta la nave.
L'incrociatore, che aveva già guadagnato altri cinquecento metri e
che manovrava in modo da presentare all'avversario il suo fianco di babordo, fu
sollecito a rispondere.
Palle e granate cominciavano a cadere in gran numero su entrambi i
vascelli, scrosciando lungo i fianchi di ferro e scheggiando i ponti, smussando
i pennoni e massacrando le manovre.
Le granate, scoppiando, lanciavano in alto getti di fuoco,
minacciando ad ogni istante di incendiare le alberature.
I fucilieri, coricati dietro le murate, a loro volta avevano
aperto il fuoco, facendo delle scariche nutrite.
Una fitta nuvola di fumo avvolgeva le due navi, rotta da lampi,
mentre il fracasso era diventato così formidabile da soffocare la voce dei
comandanti.
La nave americana, meglio protetta, meglio armata e anche più rapida,
e montata da un equipaggio ormai incanutito fra il fumo delle battaglie, aveva
buon gioco contro l'avversario.
Le sue poderose artiglierie battevano terribilmente
l'incrociatore, coprendolo di fuoco e di ferro, demolendogli le murate,
massacrando le sue manovre e aprendogli fori considerevoli nello scafo.
Invano la povera nave, che aveva creduto di annientare facilmente
i pirati di Mompracem, cercava di tener testa a quell'uragano di ferro che
cadeva sui suoi ponti con un orrendo frastuono, facendo strage degli artiglieri
della coperta e dei fucilieri. Le sue palle rimbalzavano sulle piastre
metalliche del Re del Mare e le sue granate non riuscivano a demolire le torri
blindate, dietro le quali gli artiglieri di Mompracem, sotto la direzione dei
quartiermastri americani, sparavano al sicuro.
Sandokan aveva fatto ritirare sotto coperta i suoi fucilieri,
avendo compresa l'inutilità di quegli uomini, necessari sui prahos, ma non su
simili navi, e aveva dato il comando di muovere addosso all'incrociatore per
dargli l'ultimo colpo.
Il Re del Mare, quasi ancora incolume, nonostante il furioso e
ininterrotto cannoneggiamento dell'avversario, si era slanciato innanzi
descrivendo una immensa curva attorno all'incrociatore che si era fermato.
A quattrocento metri gli scaricò addosso una terribile bordata coi
pezzi del ponte e quelli di babordo, demattandolo e rasandolo come un pontone.
Perfino le due ciminiere erano rovinate in coperta, divelte da due
granate scoppiate alla loro base.
- È finito, - disse Yanez. - Intimiamogli la resa.
- Se si arrenderanno, - rispose Sandokan.
Lasciò che il vento diradasse il fumo e fece innalzare sulla cima
dell'alberetto maestro la bandiera bianca. La risposta fu una bordata che
fulminò metà dei timonieri del Re del Mare.
- Non ne avete abbastanza? - gridò Sandokan. - Calatelo a fondo!
Fuoco! Fuoco senza tregua!
Il cannoneggiamento ricominciò con un crescendo spaventevole. Il
Re del Mare continuava la sua rapida corsa circolare opprimendo il disgraziato
incrociatore sotto un fuoco spaventevole.
La nave americana faceva meraviglie. Pareva un vulcano avvampante,
pronto a tutto distruggere.
L'incrociatore nondimeno opponeva una resistenza eroica,
quantunque ormai fosse ridotto ad un ammasso di rovine. I due pezzi della
coperta, smontati da quella grandine di granate, non rispondevano più.
Il ponte era pieno di morti e di feriti mescolati a pezzi di
murate, a pennoni spaccati, a lembi di manovre cadute dalle alberature sotto
gli ultimi uragani di mitraglia ordinati da Sandokan.
Getti di fuoco correvano da prora a poppa, illuminando
sinistramente il mare, mentre dagli ombrinali di babordo e di tribordo
sfuggivano getti di sangue.
La nave si sfasciava sotto i colpi furiosi, mortali del Re del
Mare.
- Basta! - gridò ad un tratto Yanez, che dalla torre di comando
assisteva a quella strage. - Cessate il fuoco! Le scialuppe in mare!
Sandokan che guardava freddamente, terribilmente impassibile, si
volse verso il portoghese, dicendogli:
- Che cosa comandi, fratello?
- Che il massacro cessi.
La Tigre della Malesia ebbe un momento di esitazione, poi rispose:
- Hai ragione: salviamo i superstiti. Quegli uomini o meglio il
loro comandante è un eroe! Mettete in acqua le scialuppe!
L'agonia dell'incrociatore, agonia terribile e spaventevole era
cominciata.
Il mostro fumante esauriva vanamente le sue ultime forze tentando
ancora, con gli ultimi tiri delle sue artiglierie, di colpire a morte il suo
formidabile avversario che lo aveva vinto.
Quella splendida nave che rappresentava forse l'unità più forte
della squadra del rajah di Sarawak, non era più che un ammasso di rovine, che
le fiamme ormai a poco poco divoravano, mentre l'acqua lo invadeva per
trascinarlo nei profondi abissi del mare.
I suoi fianchi, squarciati dalle granate e dagli obici perforanti
della poderosa nave americana, parevano un crivello; le sue murate ed i suoi
alberi non vi erano più; le sue batterie non offrivano più alcun rifugio agli
ultimi superstiti.
Vampe gigantesche irrompevano furiosamente attraverso i boccaporti
spalancati e gli squarci della coperta, con cupi fragori, allungandosi
smisuratamente e lanciando in aria nembi di scintille e nuvoloni di fumo, i
quali formavano al di sopra della nave come un immenso ombrello.
L'incrociatore affondava lentamente, cappeggiando, nondimeno i
suoi artiglieri non cessavano di sparare cogli ultimi pezzi rimasti ancora in
batteria, mentre i suoi fucilieri mantenevano ancora, quantunque ridotti a meno
della metà, un fuoco vivissimo colle carabine, balzando come tigri attraverso
la coperta fiammeggiante ed incoraggiandosi con degli urrà selvaggi.
Nonostante il fuoco della nave affondante, fuoco d'altronde male
diretto per l'agitazione dei tiratori, la scialuppa a vapore e le tre baleniere
del Re del Mare erano state subito calate in acqua, per raccogliere gli ultimi
superstiti nel momento in cui la nave sarebbe mancata sotto i loro piedi.
Yanez aveva assunto il comando della barcaccia che era stata
equipaggiata con quattordici rematori, mancando il tempo di accendere il forno;
Sambigliong comandava invece le altre.
Darma e Surama che erano salite in coperta, vedendo le vampe
avvolgere la disgraziata nave, gridavano:
- Salvateli! Salvateli, signor Yanez! Affondano!
Le quattro scialuppe avevano preso rapidamente il largo, muovendo
verso l'incrociatore. I pochi uomini che ancora montavano la nave, vedendo che
i loro avversarii muovevano in loro soccorso, avevano cessato il fuoco e
cominciavano a gettarsi in acqua per sfuggire alle fiamme e per evitare il
pericolo di saltare in aria.
La barcaccia fu la prima ad approdare l'incrociatore. Yanez, non
curante del fumo e della pioggia di scintille, salì rapidamente la scala che
era abbassata e si slanciò verso il ponte di comando insieme ad una mezza dozzina
di malesi.
Cercava di salvare sir Moreland, innanzi a tutto, se le granate
del Re del Mare lo avevano risparmiato.
Stavano aprendosi il passo fra i rottami e i cadaveri che
ingombravano la coperta, quando avvenne una esplosione a prora che li scaraventò
tutti in mare.
Il colpo fu così forte che Yanez, che era stato proiettato presso
una della baleniere, svenne. Fortunamente i malesi l'avevano veduto piombare in
acqua ed ebbero il tempo di ripescarlo quasi subito e di trarlo sulla barcaccia
che si era accostata.
L'incrociatore, sventrato a prora, calava rapidamente, Sambigliong
e gli uomini delle scialuppe che erano subito saliti a bordo, ridiscendevano
precipitosamente, portando dei feriti che avevano sottratti con grandi pericoli
ai turbini di fuoco.
La nave calava. Le sue murate ben presto scomparvero e le onde
invasero bruscamente la coperta spazzandola dal cassero alla ruota di prora e
soffocando d'un sol colpo le fiamme.
La barcaccia e le baleniere fuggivano a tutta forza di remi mentre
intorno alla nave s'allargava un gorgo gigantesco.
La bandiera di Sarawak mostrò ancora per un momento, ai raggi del
sole, i suoi colori, poi s'inabissò.
Tutto era finito! L'incrociatore scendeva, fra i muggiti del
vortice gigante, negli abissi del golfo.
Le quattro scialuppe, sfuggite a tempo all'attrazione del gorgo
scavato dalla nave, superata una gigantesca muraglia liquida che si estendeva
con mille fragori sul mare, tornavano frettolosamente verso il Re del Mare che
fumava a cinquecento metri dal luogo del disastro.
La superficie del golfo era ingombra di rottami e di cadaveri.
Casse, barili, pezzi di fasciame e di tramezzate ondeggiavano in
tutte le direzioni.
Sambigliong si era subito occupato del portoghese, mentre altri
s'affaccendavano intorno ad un giovane ufficiale che era stato salvato nel
momento in cui la nave stava per scomparire e che sembrava fosse stato
gravemente ferito, avendo la giubba inzuppata di sangue.
Yanez fortunatamente non aveva riportata alcuna lesione nello
scoppio. Più che altro era rimasto stordito dall'improvvisa volata e dal
frastuono prodotto dall'esplosione.
Ed infatti alla prima sorsata di ginepro fattagli inghiottire dal
dayako, tornò subito in sè e aprì gli occhi.
- Come vi sentite, signor Yanez? - gli chiese Sambigliong con apprensione.
- Sono tutto scombussolato e pesto, ma mi pare che nulla vi sia di
rotto, - rispose il portoghese, sforzandosi a sorridere. - E la nave?
- Affondata.
- E sir Moreland?
- È qui, nella baleniera. L'abbiamo salvato per miracolo.
Yanez si alzò senza aver bisogno dell'aiuto del dayako.
Il giovane comandante dell'incrociatore giaceva sul fondo della
barcaccia, col petto denudato, il volto pallidissimo e chiazzato di sangue e
gli occhi chiusi.
- Morto! - esclamò.
- No, rassicuratevi, ma la ferita che ha riportato al fianco deve
essere grave.
- Chi l'ha colpito? - chiese Yanez con ansietà. - Tu, Sambigliong?
- Io! No, signor Yanez, è l'esplosione che lo ha ridotto in quello
stato. Qualche frammento di granata gli ha aperto il fianco.
- Presto! A bordo!
- Ci siamo già, signor Yanez.
Le quattro scialuppe avevano abbordato il Re del Mare presso la
scala, la quale era stata già abbassata.
Fu lasciato il posto alla barcaccia.
Due uomini presero delicatamente il comandante dell'incrociatore
sempre svenuto e colle dovute precauzioni salirono la scala, seguìti da Yanez e
da quattordici marinai dell'incrociatore, i soli superstiti strappati alle
onde.
Sandokan, che aveva assistito impassibile alla distruzione della
nave avversaria, li attendeva sulla cima della scala.
Vedendo il capitano ed i marinai del rajah, levò il turbante,
dicendo con voce grave:
- Onore ai valorosi.
Poi strinse silenziosamente la mano a Yanez.
Darma che si trovava a qualche passo insieme a Surama,
pallidissima, profondamente commossa dall'orribile scena svoltasi sotto i suoi
occhi, si era avanzata verso i marinai che trasportavano il disgraziato
comandante.
- Egli è morto, è vero? - chiese con voce rotta.
- No, - rispose Yanez. - Pare però che la ferita sia grave.
- Oh, mio Dio! - esclamò la giovane.
- Silenzio, - disse Sandokan. - Fate largo al valore sfortunato.
Si porti il comandante nella mia cabina.
Con un gesto che non ammetteva replica, arrestò Darma e Surama,
poi seguì i marinai nel quadro, insieme a Yanez e a Tremal-Naik.
Il medico di bordo, un americano che, come i macchinisti e i
quartiermastri cannonieri, aveva accettato l'offerta fattagli da Sandokan di
rimanere a bordo fino alla fine della campagna, era subito accorso.
- Venite, signor Held, - gli aveva detto Sandokan. - Il comandante
dell'incrociatore pare assai aggravato.
- Farò il possibile per salvarlo, signore, - aveva risposto
l'americano.
- Conto su di voi.
Entrarono nella cabina, dove sir Moreland era già stato deposto
sul ricco letto del pirata.
- Aspettate i miei ordini nel corridoio, - disse Sandokan ai due
marinai, - e che gli infermieri si tengano pronti.
Il medico aveva denudato interamente sir Moreland. Non aveva che
una sola ferita, quella al fianco, ma era orribile.
Il proiettile che lo aveva colpito, qualche frammento di granata
di certo, aveva lacerate le carni per una lunghezza di venti centimetri,
scavando una specie di solco. Il sangue scorreva a fiotti dalla laceratura,
minacciando di dissanguare rapidamente il ferito.
- Che cosa ne dite, signor Held? - chiese Yanez, fissandolo come
se avesse voluto indovinargli il pensiero.
- La ferita è più dolorosa che grave, - rispose il medico. - Ha
perduto molto sangue, però questo inglese è robusto.
- Non potreste garantirmi la sua guarigione?
- La vita di quest'uomo non corre alcun pericolo, ve l'assicuro.
Sandokan stette un momento silenzioso, guardando lo smorto viso
dell'inglese, poi disse come parlando fra sè:
- Meglio così: quest'uomo potrebbe un giorno esserci utile.
Stava per uscire, quando un profondo sospiro, seguìto da un rauco
gemito, sfuggì dalle labbra scolorite dell'inglese.
Il dottore aveva messe le mani sulla ferita per riunire le due
labbra ed a quel contatto il comandante dell'incrociatore aveva trasalito, poi
aperto gli occhi.
Girò all'intorno uno sguardo semi-spento, arrestandolo prima sul
dottore, poi su Yanez, che stavagli dall'altra parte del letto.
Le sue labbra si schiusero, poi mormorò con un filo di voce:
- Voi!...
- Non parlate, sir Moreland, - disse il portoghese. - Il dottore
ve lo proibisce.
Il comandante fece col capo un gesto negativo, poi raccogliendo
tutte le sue forze, disse ancora e con voce più chiara quantunque spezzata:
- La... mia... spada... è rimasta... sulla... mia... nave...
- Non l'avrei accettata, signore, - disse Sandokan. - Mi rincresce
solo che sia affondata colla nave, perchè non posso restituirvela. Voi siete un
valoroso ed io vi stimo.
Il giovane con uno sforzo supremo alzò la destra porgendola al suo
avversario, il quale gliela strinse delicatamente.
- I miei... uomini? - chiese ancora sir Moreland, mentre una
rapida commozione gli alterava il viso.
- Ne abbiamo salvati... basta, non affaticatevi.
- Grazie... - mormorò il ferito.
Poi s'abbandonò richiudendo gli occhi: era nuovamente svenuto.
- A voi, dottore, - disse Sandokan.
- Non dubitate, signore, lo curerò come fosse vostro figlio. A me
gli infermieri!
Mentre gli uomini richiesti entravano con disinfettanti, rotoli di
cotone fenicato e numerose bottigliette, Sandokan rifece lentamente le scale,
con Yanez e Tremal-Naik, rimontando in coperta.
Darma che li aspettava sulla porta del quadro, s'appressò al
portoghese.
- Signor Yanez, - gli sussurrò, sforzandosi di rendere la sua voce
ferma.
Il portoghese la guardò per qualche istante senza rispondere, poi
sorrise e le strinse silenziosamente la mano.
- Lo salveranno? - chiese Darma con angoscia.
- Lo spero, - rispose Yanez. - T'interessa molto quel giovane,
Darma?
- È un valoroso...
- Sì e qualche cosa di più anche.
- Se guarirà, lo terrete prigioniero?
- Vedremo che cosa deciderà Sandokan; ma è probabile.
Darma raggiunse Surama che si era un po' scostata, mentre Yanez
s'accostava a Sandokan che stava parlando animatamente con Tremal-Naik.
- Che cosa ti pare di quel giovane? - gli chiese.
- È quello che comandava il forte di Macrae?
- Sì, - risposero ad una voce Tremal-Naik e Yanez.
- Quell'uomo ha del fegato, - disse Sandokan. - È stata una vera
fortuna per noi a catturarlo. Se il rajah avesse una mezza dozzina di quei
comandanti ci darebbero troppo da fare. Quello non deve essere un inglese puro
sangue. È troppo bruno.
- Mi ha detto che sua madre sola era inglese, - disse Tremal-Naik.
- Faceva parte della flotta anglo-indiana prima?
- Sì, come luogotenente, così mi disse una sera.
- Che cosa ne faremo di lui? - chiese Yanez.
- Lo terremo come ostaggio, - rispose Sandokan. - Un giorno
potrebbe esserci utile. In quanto agli altri prigionieri li farai imbarcare su
una scialuppa e li lascerei liberi di raggiungere la costa.
- Ed ora, dove volgerai le tue imprese? - chiese Tremal-Naik.
- Io e Yanez abbiamo già formato il nostro piano di guerra, -
rispose Sandokan. - Nostro primo, anzi principale disegno, è quello di non
lasciarci sorprendere dalle squadre di Sarawak e da quelle inglesi. È certo che
cercheranno di riunirsi per schiacciarci d'un colpo solo; se troviamo il modo
di aver sempre carbone a nostra disposizione, colla velocità di cui è dotato il
Re del Mare potremo riderci del rajah e anche del governatore di Labuan.
- È appunto perciò che vi consiglierei, innanzi a tutto e prima
che abbia luogo la riunione delle due squadre, di tentare un colpo contro i
depositi di carbone che si trovano alla foce del Sarawak, - disse Tremal-Naik.
- È quel che tenteremo, - rispose Sandokan. - Andremo poi a
distruggere quelli che gli inglesi hanno sull'isoletta di Mangalum. Privi dei
loro rifornimenti, noi avremo buon gioco sugli uni e sugli altri e potremo
gettarci sulle linee di navigazione e dare un colpo mortale ai commerci inglesi
colla Cina e col Giappone. Approvate questa mia idea?
- Sì, - risposero ad una voce Yanez e Tremal-Naik.
- Ho però un altro progetto, - continuò Sandokan dopo un breve
silenzio. - Di fare insorgere i dayaki di Sarawak. Tra di loro abbiamo dei
vecchi amici, quelli che ci aiutarono a rovesciare James Brooke. Io vorrei
mandare a loro un buon carico d'armi onde possano mettersi in campagna. Con noi
in mare e quei terribili tagliatori di teste alle spalle, il rajah ed il suo
alleato, il figlio di Suyodhana, non si troverebbero certo su un letto di rose.
- Supponi che il figlio del capo dei thugs si trovi col rajah? -
chiese Tremal-Naik.
- Ne sono sicuro, - rispose Sandokan.
- E anch'io, - aggiunse Yanez.
- Avete dato un appuntamento alla Marianna? - chiese l'indiano.
- Ci aspetta al capo Tanjong-Datu con carico di carbone, di
munizioni e di armi!
- Che vi sia di già?
- Lo suppongo.
- Allora andiamo a Sarawak, - concluse Tremal-Naik.
Un momento dopo, fatti imbarcare i superstiti dell'incrociatore in
una scialuppa provvista di viveri sufficienti per poter raggiungere Redjang,
senza che corressero il pericolo di provare le strette della fame, il Re del
Mare si slanciava attraverso il golfo di Sarawak colla prora al sud.
Regnava una calma quasi completa, soffiando molto di rado le
brezze in quelle regioni infuocate, regioni assai temute dai velieri, i quali
sovente si trovano immobilizzati per delle lunghe settimane. Solamente di
quando in quando un'ondata lunghissima, rumoreggiante, giungeva dall'est
gonfiandosi gradatamente e dopo essere passata sotto l'incrociatore,
scuotendolo bruscamente, si perdeva in direzione opposta. Passato però quel
cavallone, che proveniva forse dalle lontane coste delle isole della Sonda,
l'oceano riprendeva la sua immobilità.
Nessuna nave si scorgeva al largo, nè all'est, nè all'ovest, nè al
nord, nè al sud. Abbondavano invece gli uccelli dei tropici, instancabili volteggiatori
che s'incontrano perfino a parecchie centinaia di miglia dalle coste. Erano
nembi di sule e di prionfinus cinereus, specie di procellarie le quali, cosa
davvero strana, portano quasi sempre, attaccati alle penne dell'addome, dei
granchiolini di mare, dei piccolissimi cirripedi, costringendoli così a vivere,
loro malgrado, in aria. Sembra però che non si trovino troppo a disagio in quei
viaggi aerei, perchè non pare che ne soffrano.
Sul mare poi si vedevano apparire di quando in quando, sospese fra
due acque, ad un metro sotto la superficie, delle lunghe file di splendide
meduse, in forma d'ombrelli trasparenti, le quali si lasciavano mollemente
trasportare dal flusso. Oppure si vedevano guizzare dinanzi allo sperone della
nave, rapidi come frecce, dei prontoporia, i più piccoli delfini della specie,
armati d'un lunghissimo rostro e delle grosse dorate dalle splendide scaglie a
tinte azzurre e giallo oro, nemiche accanite dei pesci volanti, dotate d'una
voracità incredibile e che quando vengono prese, prima di morire perdono i loro
brillanti colori diventando grigiastre.
Il Re del Mare filava rapido, sorpassando i dieci nodi, muovendo
direttamente verso la costa di Sarawak per andare a distruggere i depositi di
carbone della squadra del rajah.
Era davvero una splendida nave, dotata di straordinarie qualità
marinaresche, nonostante le sue corazze, le sue torri e le sue artiglierie; una
vera nave corsara assolutamente moderna, l'unica forse che avesse potuto
intraprendere quella terribile crociera contro la potente flotta inglese, senza
un porto entro cui trovare rifugio.
- Ebbene, Tremal-Naik? - chiese Sandokan, il quale era allora
risalito in coperta dopo d'aver fatta una breve visita a sir Moreland. - Che
cosa ne dici del nostro Re del Mare?
- Che è il migliore ed il più potente incrociatore che io abbia
veduto: una vera meraviglia, - rispose l'indiano con entusiasmo.
- Sì, sono dei bravi costruttori gli americani. Vent'anni or sono
ricorrevano all'estero per formare le loro flotte ed ora nelle loro costruzioni
vincono tutti. Solide e potenti, ecco come sono le loro navi d'oggidì. Con
questa noi daremo ben da fare ai nostri avversari.
- E se l'Inghilterra ci lanciasse addosso le migliori navi della
sua flotta? Hai pensato a questo, Sandokan?
- Le faremo correre, mio caro, - rispose la Tigre della Malesia. -
L'oceano è vasto, la nostra nave è la più rapida, e dei trasporti inglesi da
assalire per privarli del loro carbone ne troveremo sempre. Non ho la pretesa
di poter continuare indefinitamente questa guerra, ma prima di quel giorno in
cui noi avremo recati enormi danni ai nostri avversari, tali da fare loro
rimpiangere il giorno in cui ci hanno cacciati dalla nostra isola.
Accese il suo splendido narghilè, prese sotto il braccio l'indiano
e dopo d'aver passeggiato per qualche minuto fra la ruota del timone e le torri
poppiere, disse:
- Sai che il capitano va migliorando?
- sir
Moreland? - chiese Tremal-Naik.
- Sì, malgrado l'orribile ferita, non ha che una leggera febbre.
Il signor Held è stupefatto e credo che abbia ragione. Che fibra meravigliosa
ha quell'uomo!
- Ti ha riconosciuto?
- Sì, anche or ora.
- Deve esser rimasto stupefatto di vedersi in nostra mano. Non
credeva certo di dover trovarsi così presto coi suoi antichi prigionieri.
Dorme?
- Sì e anche tranquillamente.
- Non ci darà dei fastidi quell'uomo?
- Può darsi, ho dei progetti su di lui.
- Quali?
- Non so ancora nulla per ora, - disse Sandokan. - Ci penserò a
che cosa potrà giovarci. Cerchiamo innanzi a tutto di farcelo amico. Ci deve
bene un po' di riconoscenza per averlo strappato alla morte.
- Indovino il tuo pensiero, - disse Tremal-Naik. - Tu speri di
aver da lui qualche notizia sul figlio di Suyodhana.
- È vero, - rispose Sandokan. - Combattere un nemico sconosciuto,
che non si sa dove si trovi, nè che cosa stia tramando, inquieta assai. Bah! Un
giorno o l'altro si svelerà, si mostrerà, suppongo, e quel giorno la Tigre
divorerà anche il tigrotto dell'India.
Il dottor Held era in quel momento comparso sulla porta del
quadro. Quell'americano, che come abbiamo detto, aveva accettato le proposte
fattegli da Sandokan, proposte che potevano costargli però la vita, era un bel
giovane di ventisei o vent'otto anni, alto, piuttosto magro, dallo sguardo
intelligentissimo e vivo, colla fronte spaziosa ed il viso roseo come quello
d'una fanciulla, adorno d'una barbetta bionda tagliata a punta.
- E dunque, signor Held? - gli chiese Sandokan muovendogli
sollecitamente incontro.
- Ormai rispondo della sua guarigione, - rispose il medico. - Fra
quindici giorni quell'uomo starà perfettamente bene. Quegli anglo-indiani hanno
la pelle ben dura.
La campana che annunciava il pranzo interruppe la loro
conversazione.
- A tavola o Yanez s'impazienterà, - disse Sandokan.
Mentre scendevano nel salone del quadro, il Re del Mare continuava
la sua corsa verso il sud-sud-ovest.
L'oceano era sempre deserto, percorrendo la nave una zona
pochissimo frequentata dai velieri e dai piroscafi, i quali ordinariamente si tengono
più al nord o più al sud, gli uni per evitare le calme e gli altri per evitare
i banchi sottomarini che sono numerosissimi intorno alle coste di Borneo.
Di quando in quando una banda di volatili calavano sulle coffe
degli alberi, prendendone possesso e lasciandosi avvicinare dai marinai senza
dimostrare di spaventarsi.
Erano dei grossi uccellacci, specie di procellarie giganti, colle
penne brune, chiamati dai marinai rompitori d'ossa e dagli scienziati quebranta
huesos, formidabili pescatori, armati d'un rostro così acuto e così robusto che
permette loro di affrontare i più grossi pesci, colpendoli mortalmente nel
cranio.
Anche qualche splendido albatro veniva a volteggiare intorno alla
nave, salutando i marinai con dei grugniti da porco e attraversando senza paura
la tolda, nonostante le fucilate che sparavano i malesi.
Magra selvaggina però, perchè se sembravano immensi, misurando le
loro ali unite perfino tre metri e mezzo, è molto se i loro corpi pesano otto o
dieci chilogrammi, senza contare poi che le loro carni sono coriacee e
impregnate d'un pessimo odore di pesce.
Comunque erano ammirabili nei loro voli, essendo dei volteggiatori
straordinari. Certi momenti rimanevano quasi immobili al di sopra
dell'incrociatore, vibrando appena le loro gigantesche ali, poi partivano come
fulmini e calavano in mare a pescare i piccoli cefalopodi, i loligo, dei quali
si nutrono di preferenza.
Le prede d'altronde non mancavano a quegli avidissimi volatili,
perchè le acque dell'oceano si mostravano straordinariamente ricche di pesci,
con molto piacere anche dei marinai, i quali o con reticelle o con fiocine,
nonostante la rapidità dell'incrociatore, s'ingegnavano di prenderli onde
variare la minuta di bordo.
Oltre a grosse bande di dorate, di piccoli delfini e di serpenti
di mare, lunghi un metro, di forma cilindrica, colla pelle bruna nera e la coda
gialla, si vedevano a galleggiare un numero sterminato di diodon, pesci assai
strani, che abitano quasi esclusivamente le zone torride e che hanno
l'abitudine di navigare col ventre in aria e di gonfiarsi fino a diventare
completamente rotondi.
Salivano dagli abissi dell'oceano a centinaia e centinaia,
mostrando le loro spine acute che coprono i loro corpi, facendoli rassomigliare
ai ricci terrestri, a tinte però svariate, bianche, violacee o macchiate in
nero, mentre in mezzo a loro sfilavano, coi tentacoli al vento onde
approfittare del menomo soffio d'aria, lunghe file di nautilus.
Di quando in quando un improvviso terrore si manifestava fra tutti
quegli abitanti dell'oceano tropicale. Le dorate scomparivano precipitosamente,
i diodon si sgonfiavano rapidamente, lasciandosi colare a picco; i nautilus
ripiegavano i loro tentacoli, rovesciavano la loro conchiglia navigante fino
allora come una leggera barchetta, e si sommergevano.
Un nemico terribile e avidissimo, si era bruscamente scagliato in
mezzo alle bande colla formidabile bocca spalancata, irta di denti acuti come
quelli delle tigri. Era un vorace charcharias, un pescecane di cinque o sei
metri di lunghezza, che aveva sparso quell'improvviso terrore, un nemico
pericoloso anche per gli uomini.
Con rapidità fulminea ingoiava i ritardatari, poi scompariva,
sempre preceduto dal suo pilota, un grazioso pesciolino colla pelle azzurra
porporina, a striscie nere, non più lungo di venticinque centimetri e che serve
di guida al suo formidabile padrone e protettore.
Cessato però il pericolo, le dorate ricomparivano giuocherellando
e i diodon si rigonfiavano ballonzolando sulle onde e le splendide conchiglie
dei nautilus dai margini di madreperla raddrizzavano gli otto tentacoli
leggermente arrotondati all'estremità.
Verso il tramonto, quando Sandokan e Yanez scesero nella cabina
dove trovavasi l'anglo-indiano, constatarono con piacere che il ferito si
trovava in condizioni migliori che al mattino. La febbre era quasi cessata e la
ferita, sapientemente cucita dall'abile americano, non dava più sangue.
Quando entrarono, sir Moreland stava parlando, con voce abbastanza
chiara, col signor Held, chiedendo informazioni sulla potenza della nave
corsara.
Vedendoli, l'anglo-indiano fece uno sforzo per alzarsi a sedere;
Sandokan con un gesto glielo impedì.
- No, sir Moreland, - disse. - Siete troppo debole e per ora
dovete evitare qualsiasi sforzo. È vero, mio caro Held?
- La ferita potrebbe riaprirsi, - rispose il dottore. - Vi ho
proibito, Sir, di fare qualsiasi movimento.
L'anglo-indiano porse la mano all'americano, a Yanez e a Sandokan,
dicendo loro:
- Grazie di avermi salvato, signori, quantunque avessi desiderato
di affondare assieme alla mia nave ed ai miei disgraziati marinai.
- Vi è sempre tempo a morire per un marinaio, - rispose Yanez,
sorridendo. - La guerra non è ancora finita, anzi per noi è appena cominciata.
Una nube oscurò la fronte dell'anglo-indiano.
- Credevo che la vostra missione terminasse colla liberazione di
quella fanciulla e di suo padre, - disse.
- Non avrei acquistata una nave di tale potenza per una simile
impresa, - disse Sandokan. - I miei prahos sarebbero stati sufficienti.
- Sicchè voi continuerete a corseggiare?
- Sì e finchè avrò un solo uomo ed un pezzo d'artiglieria
servibile.
- Io vi ammiro, signori, ma credo che le vostre corse finiranno
presto. L'Inghilterra ed il rajah non tarderanno a farvi inseguire dalle loro
squadre. Come resisterete voi a simili attacchi? Il carbone vi verrà meno e
sarete costretti ad arrendervi o a farvi colare a picco dopo una inutile
resistenza.
- Lo vedremo...
Poi Sandokan, cambiando bruscamente tono, chiese:
- Come
state, sir Moreland?
- Relativamente bene; il dottore mi assicura che io potrò alzarmi
fra una diecina di giorni.
- Avrò molto piacere di vedervi passeggiare sul ponte della mia
nave.
- Sicchè contate di tenermi prigioniero, - disse l'anglo-indiano,
sorridendo.
- Anche se volessi rendervi la libertà in questo momento non
potrei farlo, perchè siamo ben lontani dalle coste.
- Risalite verso il nord?
- No, sir Moreland, andiamo invece verso il sud; desidero vedere
la foce del Sarawak.
- Vi comprendo, signore. Tenterete un colpo di mano sui depositi
di carbone del rajah.
- Non lo so ancora.
- Signor Sandokan, desidererei una spiegazione, se lo permettete.
- Parlate, sir Moreland, - rispose la Tigre della Malesia. - Poi,
se me lo permettete, vi farò anch'io qualche interrogazione.
- Desidererei sapere perchè avete coinvolto nella guerra anche il
rajah di Sarawak.
- Perchè noi siamo convinti che egli sia il protettore dell'uomo
misterioso che ha scatenato contro di noi gli inglesi di Labuan e che in un
solo mese ci ha recato tanti danni.
- Chi è costui?
Sandokan fissò sull'anglo-indiano uno sguardo acutissimo, come se
avesse voluto leggergli fino in fondo al cuore, poi disse:
- È impossibile che voi, che appartenete alla marina del rajah,
non lo abbiate conosciuto.
Qualche cosa, come un fremito, passò sul viso di sir Moreland, il
quale rimase per qualche istante muto.
- No, - disse poi, - non ho mai veduto l'uomo a cui voi alludete.
Ho udito però a narrare che un individuo misterioso, che pare possegga delle
ricchezze favolose, ha visitato il rajah, mettendogli a sua disposizione navi e
uomini per vendicare James Brooke.
- Un indiano, è vero?
- Non lo so, - rispose sir Moreland. - Io non l'ho mai veduto.
- È quell'uomo che ha spinto gli inglesi ed il rajah contro di
noi?
- Così mi hanno narrato.
- Il figlio d'un famoso capo di thugs indiani.
- Non ve lo saprei dire.
- E vuole misurarsi colle tigri di Mompracem?
- Ed è anche certo di vincervi.
- Cadrà come è caduto suo padre e come è caduta tutta la sua
setta, - disse Sandokan.
Un secondo fremito passò sul viso dell'anglo-indiano, mentre negli
occhi nerissimi balenava come una fiamma. Stette un'altra volta qualche istante
muto, come se qualche improvviso pensiero lo turbasse, poi disse:
- L'avvenire ve lo dirà.
Poi, cambiando bruscamente discorso, chiese:
- Sono sempre a bordo quell'indiano e sua figlia?
- Non ci lasceranno, perchè la loro sorte è unita alla nostra, -
rispose Sandokan.
Sir Moreland si lasciò sfuggire un sospiro e s'abbandonò sul
guanciale.
- Riposate tranquillo, - gli disse Sandokan. - Non accadrà nulla
questa notte.
- Uscì insieme a Yanez e salì sul cassero. Surama e Darma stavano
prendendo il fresco, chiacchierando con Tremal-Naik.
Vedendo Yanez, Darma gli si appressò, interrogandolo collo sguardo.
- Tutto va bene, - le sussurrò il portoghese col suo solito
sorriso.
- Potrò visitarlo?
- Domani nessuno te lo impedirà, se...
La frase gli fu spezzata dal grido della vedetta istallata sulla
coffa dell'albero di trinchetto:
- Fumo all'orizzonte! Guarda all'ovest!
Quel grido aveva fatto balzare in piedi Sandokan, che si era
appena allora seduto presso Tremal-Naik e fatto accorrere in coperta tutto
l'equipaggio.
Sul cielo ancora fiammeggiante, non essendosi il sole ancora
completamente immerso, si vedeva una sottile colonna di fumo alzarsi nella
limpida e tranquilla atmosfera.
- Che sia qualche nave da guerra in cerca di noi? - chiese Yanez,
- o un pacifico piroscafo in rotta per Sarawak?
- Sospetto più che sia una nave da guerra, - disse Sandokan, che
aveva puntato un cannocchiale recatogli da Sambigliong. - Ah! Toh! Sembra che
si allontani verso l'ovest; il pennacchio di fumo si è piegato verso la nostra
parte.
- Che ci abbia scorti? - chiese Tramal-Naik, che li aveva
raggiunti.
- Come noi ci siamo accorti della sua presenza, è probabile che il
suo comandante abbia veduto anche il nostro fumo.
- Mi viene un sospetto, - disse Yanez.
- Quale?
- Che sia qualche esploratore.
- È possibile, Yanez, - rispose Sandokan.
- Che cosa risolvi di fare?
- Seguirlo a distanza. Domani, ai primi albori, ci metteremo in
caccia e tanto peggio per lui se appartiene alle squadre del rajah o di Labuan.
Passeremo la notte in coperta.
Le tenebre che calavano rapidissime non permettevano più di poter
scorgere quel pennacchio di fumo, ma il Re del Mare aveva messa la rotta a
ponente per seguirlo nella sua rotta.
Colle sue poderose macchine era certo di raggiungerlo prima
dell'alba e di catturarlo o di affondarlo colle sue formidabili artiglierie.
La guardia franca, per precauzione, era stata tenuta in coperta,
potendo darsi che durante la notte gravi avvenimenti accadessero.
- A dodici nodi! - aveva comandato Sandokan. - Lo seguiremo da
presso.
Il comando era stato appena dato che il Re del Mare ripartiva
colla prora a ponente.
La notte era splendida, una vera notte tropicale piena di fascino
e d'incanto, come solo si possono vedere in quelle regioni delle calme quasi
eterne.
Quantunque il sole fosse scomparso da parecchie ore, pareva che
avesse lasciato dietro di sè una porzione della sua luce, perchè nel firmamento
non regnava oscurità completa. Un vago chiarore, scialbo, d'una trasparenza
incredibile, regnava lassù e si proiettava sulle acque dell'oceano, permettendo
agli uomini di quarto di spingere i loro sguardi a distanze infinite.
Le acque, tratto tratto, parevano incendiarsi. Dai profondi abissi
del mare salivano a battaglioni le meduse, mentre gli splendidi anemoni
schiudevano le loro brillanti corolle rosee, bianche azzurre, gialle e
violette, ondeggiando mollemente le loro frange sfolgoranti.
In mezzo a quelle ondate di luce sottomarina, di quando in quando
si vedevano scivolare dei mostri, i quali spargevano il terrore e la confusione
fra quei molluschi.
Ora erano dei charcharias, pericolosi e sempre affamati squali; ora
dei calamari giganti dal becco da pappagallo, gli occhi glauchi e fissi e i
tentacoli coperti da ventose. Ora invece, una massa enorme appariva bruscamente
a galla, lanciando in alto spruzzi fiammeggianti e ricadendo poi con un tonfo
cupo.
Era una balenottera dal dorso nero-verdastro, lunga una quindicina
di metri, cetaceo ancora abbastanza comune nei mari intertropicali, nonostante
la caccia accanita delle navi baleniere.
Sandokan e Yanez, quantunque la giornata fosse stata assai
faticosa e nessun pericolo, almeno apparentemente, minacciasse la loro nave,
non si erano coricati. Non era già per godersi quella splendida notte, nè per
ammirare i fulgori variopinti degli anemoni, spettacoli oramai troppo noti a
loro, vecchi naviganti dei mari della Malesia.
Un segreto timore li tratteneva sul ponte. Camminavano con una
certa agitazione, fermandosi sovente per fissare i loro sguardi verso ponente.
Quel fumo li preoccupava vivamente, temendo che quel legno fosse
l'avanguardia di qualche flottiglia.
- Hai scorto qualche cosa? - chiese Yanez, verso la mezzanotte,
vedendo Sandokan arrestarsi per la decima volta e puntare il cannocchiale verso
ovest.
- Io giurerei d'aver veduto, alcuni minuti or sono, un punto
bianco, splendidissimo, brillare nella direzione ove è scomparso quel
pennacchio di fumo, - rispose la Tigre.
- Il fanale del trinchetto di quella nave oppure una stella?
- No, Yanez: nè l'uno nè l'altra.
Poi, dopo una breve pausa, riprese:
- Credi tu che la squadra di Labuan non ci cerchi? Non sarà certo
rimasta inoperosa a Victoria, dopo la nostra dichiarazione di guerra.
- Colla velocità che possediamo, non ci sarà difficile lasciarla
indietro.
- Ed il carbone ci mancherà presto, - rispose Sandokan. - Le
nostre carboniere sono ormai semi-vuote.
- Ci riforniremo a spese del rajah.
- Se potremo giungere alla foce del Sarawak.
- Che cosa temi?
Sandokan non rispose. Guardava attentamente sempre verso ponente,
percorrendo tutta la linea dell'orizzonte. Ad un tratto abbassò il
cannocchiale.
- Un lampo, - disse.
- Dove, Sandokan?
- È brillato nella direzione presa da quella nave. Mi parve un
lampo di luce elettrica.
- Sì, signore, - confermò l'americano Horward, che per un momento
aveva lasciato la sala delle macchine. - L'ho scorto anch'io.
- Che quella nave corrisponda con qualche altra? - chiese Yanez.
- È quello che temo. - rispose Sandokan. - Fortunatamente
l'orizzonte è chiaro e vedremo subito il nemico. Signor Horward, date ordine in
macchina che si preparino a portare la nostra velocità a quattordici nodi. Sono
curioso di sapere chi potrà gareggiare con noi.
- L'americano aveva appena trasmesso il comando, quando un nuovo
lampo balenò nella direzione di prima. Pareva che una lampada elettrica di
grande potenza, avesse proiettato un ampio fascio di luce sull'oceano.
Un momento dopo una sottilissima striscia di fumo s'alzò
sull'orizzonte.
- Un razzo, - disse Yanez. - Sono due navi che corrispondono e una
deve essere quella che è fuggita al nostro avvicinarsi. Segnala di certo la
nostra rotta.
- Signor Sandokan, - disse l'americano. - Se non m'inganno vedo un
punto nero scorrere sull'oceano. Sta attraversando un tratto d'acqua
fosforescente.
- Un punto! Allora non può essere una nave.
- E che si muove con rapidità straordinaria, a quanto pare.
- Che sia qualche scialuppa a vapore?
Allungò nuovamente il cannocchiale, mantenendolo orizzontale per
qualche minuto. Il punto nero, che ingrandiva rapidamente, aveva attraversato
la zona fosforescente confondendosi colla tinta cupa delle acque, ma più oltre
ve n'era una seconda formata da migliaia di nottiluche, di anemoni e di meduse.
- Sì, sembra una grossa scialuppa a vapore, - disse Sandokan. -
Non è che a duemila metri. La manderemo a far compagnia alle meduse. Mastro
Steher!
Un vecchio mastro cannoniere, dalla lunga barba brizzolata, colle
spalle quadre, s'avanzò con quel dondolìo particolare ai vecchi lupi di mare.
- Il capitano che ci ha venduto questa nave mi ha detto che tu sei
un famoso artigliere, - disse Sandokan, mentre il mastro si levava di bocca il
pezzo di sigaro che stava masticando e salutava con gravità.
- Gli occhi sono ancora buoni, comandante, - rispose il vecchio.
- Saresti capace di mandare una palla a quel curioso che cerca di
accostarci? Se lo tocchi o lo affondi avrai cento dollari di premio.
- Non vi chiedo, comandante, che di far fermare il Re del Mare per
cinque minuti.
- Ti domando un colpo da maestro.
- Mi ci proverò, comandante.
Il punto nero, diventato ormai una striscia visibilissima, entrava
allora nella seconda zona fosforescente.
- Lo vedi? - gli chiese Sandokan.
- Deve essere una di quelle brutte bestie inventate dai miei
compatriotti, che portavano una torpedine fissa su un'asta, - disse il vecchio.
- Sono pericolose se si accostano.
- Al tuo posto!
Yanez aveva già dato il comando di macchina indietro.
Il Re del Mare, trasportato dal proprio slancio, aveva continuato
la sua corsa per duecento metri, nonostante che le eliche funzionassero
furiosamente in senso contrario, poi si era arrestato, conservando una
immobilità assoluta, essendo l'oceano perfettamente tranquillo.
Il mastro cannoniere si era collocato già dietro uno dei grossi
pezzi da caccia.
Un silenzio profondo regnava sulla tolda della nave. Tutti
aspettavano ansiosamente il colpo, tenendo gli sguardi fissi sulla scialuppa,
la quale filava a tutto vapore in mezzo alla fosforescenza, cercando
d'accostarsi nascostamente all'incrociatore.
Ad un tratto, il profondo silenzio fu rotto da un grido che usciva
dalla torre.
- Pronto!
La scialuppa a vapore doveva trovarsi allora a circa
millecinquecento metri dal Re del Mare. Il suo scafo nero spiccava nettamente
sulla luminosa superficie delle acque.
Una detonazione echeggiò, mentre un lampo rompeva le tenebre. Per alcuni
istanti si udì in aria un rauco sibilo che rapidamente si affievoliva. Il
proiettile, di buon calibro, s'allontanava radendo le onde.
D'improvviso risuonò in distanza una detonazione. Una fiamma
s'alzò sulla scialuppa torpediniera, seguìta da un nembo di scintille.
Quasi nello stesso momento la fosforescenza cessava bruscamente.
Le nottiluche, le meduse e gli anemoni, spaventati forse da quel rombo, si
erano prontamente inabissati nelle profondità misteriose del mare.
- Toccata! - gridò Sandokan.
Un grido di trionfo si era alzato a bordo dell'incrociatore. Il
vecchio mastro artigliere si era avanzato verso Sandokan con volto ilare.
- Comandante, - gli disse. - Ho guadagnato i miei cento dollari.
- No, duecento, - corresse la Tigre della Malesia.
Ad un tratto fece alcuni passi innanzi, esclamando: - Saccaroa! Lo
sospettavo! Sia: vi farò correre!
Alcuni punti luminosi, appena distinguibili, erano comparsi
sull'orizzonte un momento dopo l'immersione dei molluschi fosforescenti.
Non dovevano esser già stelle, per gli occhi di quei marinai
invecchiati sugli oceani; dovevano essere fanali di navi, probabilmente di navi
da guerra lanciate sulle tracce del Re del Mare.
- Che sia la squadra del rajah, o quella di Labuan? - aveva
chiesto Yanez.
- Mi pare che quelle navi vengano dal settentrione, - rispose
Sandokan. - Scommetterei che quella inglese cerca di unirsi con quella di
Sarawak. Qualcuno li avrà informati che noi battiamo questo mare e si sono
messi in caccia.
- Ciò guasta i nostri progetti.
- È vero, Yanez perchè saremo costretti a fuggire verso il nord.
Il Re del Mare è potente, ma non tale da affrontare una squadra.
- Che cosa intendi di fare?
- Rimandare a tempi migliori la distruzione dei depositi di
carbone di Sarawak e rimontare fino al capo Tanjong-Datu, per incontrare la
Marianna, poi gettarci sulle linee di navigazione, dopo esserci provvisti di
combustibile a Mangalum. Quando la squadra verrà a cercarci nei paraggi di
Labuan, torneremo a fare i conti col rajah o col figlio di Suyodhana.
- Sei nato grande ammiraglio, - disse Yanez, ridendo.
- Mi approvi?
- Pienamente. E la Marianna?
- La manderemo ad attenderci alla foce del Sedang ed incaricheremo
il suo equipaggio di armare i nostri vecchi amici, i dayaki.
- Filiamo allora presto, fratellino. Le navi si accostano.
- Signor Horward! - gridò Sandokan. - A tutto vapore!
- Andremo a tiraggio forzato, comandante, - rispose l'americano.
Il Re del Mare aveva ripreso lo slancio. Tonnellate di carbone
erano state rovesciate nei forni e le macchine funzionavano rabbiosamente,
imprimendo allo scafo un tremito sonoro.
Tutti erano saliti in coperta, perfino Darma e Surama. Poteva
darsi che da un momento all'altro, qualche nave distaccata dal grosso e mandata
in esplorazione verso levante, si trovasse improvvisamente dinanzi
all'incrociatore e tutti volevano essere pronti ad impegnare la lotta.
In quella direzione però non si vedeva brillare alcun fanale.
Sandokan, Yanez e Tremal-Naik, ritti sul ponte di comando,
guardavano attentamente i punti luminosi, i quali pareva che avessero cambiata
posizione. Certo i comandanti inglesi, vedendo il corsaro fuggire verso il
nord-ovest avevano cambiato la rotta colla speranza di catturarlo.
La distanza però, invece di diminuire, aumentava di minuto in
minuto non potendo quelle navi, anche forzando i fuochi, gareggiare col
velocissimo corsaro.
Dopo un'ora di corsa furiosa, i punti luminosi erano diventati
quasi invisibili.
- Credo che sia tempo di riprendere la nostra rotta verso il nordovest,
- disse Sandokan a Yanez. - Gli inglesi continueranno ad inseguirci verso il
nord.
Fece spegnere tutti i fanali, poi il Re del Mare, dopo d'aver
descritta una gran curva, si diresse nuovamente al nord-ovest.
La manovra doveva essere completamente riuscita, poichè per alcuni
minuti si videro i fanali brillare nell'oscura linea dell'orizzonte, poi
scomparire.
- Orsù, - disse Yanez con tono soddisfatto. - Tutto va bene e
possiamo andare a dormire qualche ora. Il riposo è stato ben guadagnato.
Quando l'alba sorse, il mare era completamente deserto. Non si
vedevano che degli uccelli marini volteggiare fra i cavalloni, alzatisi colla
brezza mattutina. Il Re del Mare aveva ridotta la sua marcia a otto nodi,
essendo il combustibile troppo prezioso per sprecarlo.
Sandokan, ai primi raggi del sole, era tornato in coperta un po'
ansioso, quantunque non avesse alcun dubbio sulla buona riuscita della sua
manovra notturna.
- Li abbiamo bene ingannati, - disse a Yanez, che lo aveva
raggiunto insieme a Darma. - Noi raggiungeremo il capo Tanjong senza fare
cattivi incontri. A proposito, cosa avrà pensato sir Moreland della cannonata
che abbiamo sparato?
- Il dottor Held mi ha detto che si era molto inquietato, temendo
che qualche nave fosse stata colata a fondo, - rispose Yanez.
- Andiamo a trovarlo.
- Mi permettete di venire con voi? - chiese Darma.
- Non trovo alcun inconveniente, - rispose Sandokan. - Sarà anzi
lieto di rivedere la sua graziosa prigioniera. Vieni, fanciulla.
- Ciò farà piacere a lui e... anche a te, - aggiunse Yanez,
sottovoce accostandosi alla giovane.
Quando scesero nel quadro, sir Moreland era già sveglio e
chiacchierava col medico.
Vedendo apparire Darma dietro a Sandokan ed a Yanez, una viva
fiamma animò gli sguardi dell'anglo-indiano e per qualche istante non le staccò
di dosso gli occhi.
- Voi, miss! - esclamò. - Quanto sono lieto di rivedervi!
- Come state, sir Moreland? - chiese la giovane, arrossendo.
- Oh! La ferita si va cicatrizzando rapidamente, è vero dottore?
- Fra otto o dieci giorni sarà interamente chiusa, - rispose
l'americano. - Una guarigione veramente miracolosa.
- Avrei preferito non vedervi ferito, sir Moreland, - disse Darma.
- Allora non mi avreste di certo trovato qui, - rispose
l'anglo-indiano. - Mi sarei lasciato affondare assieme alla mia nave, a fianco
della bandiera della mia patria.
- Sono più lieta che vi abbiano strappato alla morte.
Il giovane capitano la guardò sorridendo, poi disse:
- Grazie miss, ma...
- Che cosa volete dire, sir Moreland?
- Che sarei stato più contento anch'io se avessero salvata anche
la mia nave ed i miei marinai. Ah! Miss, non m'aspettavo di dover subire una
così disastrosa sconfitta e da parte dei vostri protettori. Tuttavia,
credetelo, non rimpiango la mia prigionia.
- sir Moreland, - disse Sandokan, - sapete che questa notte le
navi inglesi ci hanno quasi sorpresi?
- La squadriglia di Labuan? - esclamò il ferito con emozione.
- Suppongo che fosse quella, ma siamo riusciti ad ingannarla ed a
sottrarci facilmente al pericolo.
- Non illudetevi tuttavia di poter aver sempre una tale fortuna, -
disse l'anglo-indiano. - Un giorno, quando meno lo supporrete, vi troverete
dinanzi ad un uomo che forse non vi accorderà quartiere.
- Volete alludere al figlio di Suyodhana? - chiese Sandokan.
- Non posso spiegarmi di più. È un segreto che io non posso
tradire, - rispose l'anglo-indiano.
- Non può essere che lui, - disse Yanez, - quantunque voi abbiate
affermato di non saper nulla su quel nostro ostinato e misterioso avversario.
Sir Moreland pareva che non lo avesse nemmeno udito. Guardava
Darma con un senso di profonda angoscia.
Sandokan, Yanez e la giovane s'intrattennero alcuni minuti ancora
nella cabina, scambiando qualche parola col dottore, poi si accommiatarono.
Prima però che la giovane uscisse, sir Moreland le disse,
guardandola con una certa tristezza:
- Spero, miss, di rivedervi presto e che non vorrete considerarmi
sempre come un nemico.
Quando la giovane fu uscita, l'anglo-indiano rimase a lungo
alzato, tenendo gli occhi fissi sulla porta della cabina e le braccia
incrociate sul petto, in attitudine pensierosa, poi si riadagiò, dicendo al
dottore, con un lungo sospiro:
- Che triste cosa è la guerra. Getta l'odio perfino fra due cuori
che potevano battere insieme col medesimo affetto.
- Ed il vostro avrebbe battuto assai, è vero, sir Moreland? -
disse l'americano sorridendo.
- Sì, dottore, ve lo confesso.
- Per miss Darma?
- Perchè dovrei nascondetelo?
- Una bella e coraggiosa giovane, degna di suo padre e di voi.
- E che non sarà giammai mia, - disse sir Moreland, con accento
strano. - Il destino ha scavato fra noi, senza nostra colpa, un abisso che
nessuno potrà mai colmare.
- Per quale motivo? - chiese Held, stupito dal tono che pareva
avesse in sè dell'angoscia e dell'odio profondo. - Questi uomini sono nemici
del rajah, e degli inglesi e non già vostri.
Sir Moreland guardò l'americano senza rispondere. Il suo viso però
in quel momento aveva assunto una espressione così terribile da colpire
vivamente l'americano.
- Si direbbe che vi è un segreto nella vostra vita, - disse il
dottore.
- Maledico il destino, ecco tutto, - rispose il giovane con voce
sorda.
Poi, cambiando bruscamente tono, chiese:
- Dottore, dove ci conduce il comandante?
- Va al nord-ovest, per ora.
- A Sarawak forse?
- Può darsi, Sir.
- Che voglia sbarcarmi?
- Vi rincrescerebbe?
- Forse sì.
- Per lasciare miss Darma?
- Per altri motivi più gravi, - rispose l'anglo-indiano.
- Quali, se è lecito saperlo?
- Perchè il rajah mi lancerà nuovamente contro di voi e forse spetterà
a me compiere il doloroso dovere di darvi il colpo mortale e di sommergere la
donna che amo, - disse Moreland.
- Quel giorno può essere molto lontano.
- Io credo il contrario, perchè la vostra nave non potrà tenere
eternamente il mare, nè rifornirsi sempre di viveri, di munizioni e di
combustibile, senza avere un porto amico.
- L'oceano è immenso, Sir.
- Sì, è vero, ma quando dieci o venti navi solcheranno da tutte le
parti quest'oceano e chiuderanno, come in un cerchio di ferro, il vostro
incrociatore, quale speranza vi rimarrà? Ammiro l'audacia di questi pirati
della Malesia, come ammiro la loro nave, un capolavoro dell'ingegneria navale,
tuttavia permettetemi di dubitare sul buon esito della vostra crociera.
Che gravi danni possiate recare alla marineria inglese e creare
molti fastidi al rajah, non lo nego, essendo il vostro Re del Mare il vascello
più rapido che ora esista e forse il meglio armato, nondimeno non la durerete a
lungo.
- Questi formidabili corsari non hanno la pretesa di tenere in iscacco,
per molti anni, le squadre inglesi, sir Moreland. Sanno perfettamente la sorte
che li attende e non ignorano che un giorno i loro cadaveri andranno a dormire
il sonno eterno nelle tenebrose vallate del mar della Sonda o in fondo a
qualche spaventevole baratro.
- E anche miss Darma lo sa? - chiese l'anglo-indiano con un
brivido.
- Lo suppongo, sir Moreland.
- Ah! Sbarcatela! Salvatela!
- Qui combattono suo padre ed i suoi protettori, ai quali deve la
vita, a quanto mi si disse, e non li lascerà, - rispose l'americano.
Sir Moreland si passò una mano sulla fronte, poi disse come
parlando fra sè:
- Sarebbe meglio che domani le squadre riunite affondassero tutte,
me compreso. Almeno sarebbe finita e non udrei più mai il grido del sangue che
reclama vendetta!
Sei giorni dopo, il Re del Mare, che aveva navigato sempre a
velocità ridotta, per economizzare il prezioso combustibile, giungeva al capo
Tanjong-Datu, quel vasto promontorio che chiude verso ponente il golfo, o
meglio, il mare di Sarawak.
La Marianna v'era di già, nascosta entro una piccola rada,
riparata da altissime scogliere che la rendevano invisibile alle navi passanti
al largo.
La comandava uno dei più vecchi pirati di Mompracem, che aveva
preso parte a tutte le imprese della Tigre della Malesia e di Yanez, un uomo
fidatissimo e di un valore straordinario, sia come guerriero, sia come
marinaio.
Secondo gli ordini ricevuti, aveva buon carico d'armi e di
munizioni, per rifornire il Re del Mare in caso che ne avesse avuto bisogno, ma
in quanto a carbone, a malapena aveva potuto racimolare una trentina di
tonnellate, avendo gli inglesi di Labuan, dopo la dichiarazione di guerra di
Sandokan, accaparrato tutto quello che si trovava a Bruni, la capitale del
sultanato del Borneo.
Quella partita di combustibile poteva a malapena servire per un
paio di giorni alla nave e, mantenendo una velocità ridottissima, nondimeno fu
subito imbarcata e stivata nelle carboniere.
Temendo di essere sempre inseguito, Sandokan si affrettò a dare
gli ultimi ordini al comandante della Marianna. Doveva recarsi senza indugio a
Sedang, risalire il fiume fino alla città omonima, fingendosi una tranquilla
nave mercantile battente bandiera olandese, abboccarsi coi capi dayaki che
avevano preso parte alla deposizione di James Brooke, zio dell'attuale rajah,
dispensare loro le armi e le munizioni e mettere a ferro ed a fuoco le
frontiere dello stato, quindi attendere alla foce del fiume il ritorno del Re
del Mare.
Qualche ora dopo, mentre la Marianna si preparava a mettersi alla
vela, l'incrociatore lasciava Tanjong-Datu, risalendo a velocità moderata verso
il nord-est, onde raggiungere Mangalum e provvedersi abbondantemente a quel
deposito carbonifero destinato alle navi dirette nei mari della Cina.
Sette giorni dopo, avendo sempre tenuta una velocità
moderatissima, per non trovarsi a corto di combustibile nel caso d'un incontro
con qualche squadra nemica, il Re del Mare, che si era tenuto sempre assai
lontano dalle coste, passava attraverso il banco di Vernon. Lo stesso giorno
sir Moreland faceva la sua prima comparsa sul ponte, sorretto dal dottore.
Era ancora molto pallido e molto debole, però la sua ferita si era
quasi interamente cicatrizzata, mercè la sua robustissima costituzione e le
cure assidue del bravo americano.
Era una mattinata splendida e non troppo calda, avendo il Re del
Mare abbandonate le ardenti calme del tropico da qualche giorno. Una fresca
brezzolina soffiava dal sud, increspando l'immensa superficie del mar della
Sonda e mormorando dolcemente fra le sartie metalliche dell'incrociatore.
Numerosi volatili, per lo più dei petrelli, agilissimi uccelli marini, dal volo
leggero, turbinavano sopra la nave, assieme a delle phoebetrie fuliginose, le
più piccole delle diomedee, dalle penne nerissime, inseguendo i pesci volanti
che le voraci dorate scacciavano dal loro elemento, costringendoli, per
salvarsi, a spiccare delle lunghe volate sopra le onde.
Vedendo apparire l'anglo-indiano, appoggiato al braccio
dell'americano, Yanez che passeggiava sul ponte assieme a Surama, si era
affrettato a muovergli incontro.
- Finalmente eccovi ristabilito, - gli disse. - Ne sono ben lieto,
sir Moreland. Agli uomini di mare fa molto meglio l'aria libera del ponte che
quella delle cabine.
- Sì, sto bene, signor Yanez, grazie le cure e le attenzioni di
questo bravo dottore, - rispose il capitano.
- Da questo momento consideratevi come nostro ospite e non più
come prigioniero. Voi siete libero di fare quello che meglio vi piace e di
andare dove vorrete. La nostra nave non avrà segreti per voi.
- E non temete che io possa abusare di questa vostra generosità?
- No, perchè vi credo un gentiluomo.
- Pensate che un giorno noi ci troveremo ancora di fronte l'uno
all'altro e terribili nemici.
- Ci combatteremo lealmente.
- Ah! Questo sì, signor Yanez, - disse sir Moreland, con una certa
asprezza.
Poi, dopo aver gettato un lungo sguardo sul mare e d'aver aspirato
fragorosamente l'aria marina, disse:
- Voi avete lasciata la regione ardente. Questa è brezza del nord.
Dove andiamo, se non vi spiace dirmelo?
- Molto lontano da Sarawak.
- Fuggite dunque i paraggi frequentati dalle navi del rajah?
- Per ora sì, perchè dobbiamo rinnovare le nostre provviste.
- Allora voi avete dei porti amici.
- No, a noi bastano quelli dei nemici per approvvigionarci, -
rispose il portoghese, sorridendo. - sir Moreland, accomodatevi dove meglio
credete e respirate un po' di questa brezza.
L'anglo-indiano s'inchinò ringraziando e salì sul cassero dove
aveva veduto Darma seduta su una sedia a dondolo posta sotto la tenda tesa
all'altezza delle grue.
La giovane fingeva di leggere un libro, ma invece sotto le lunghe
palpebre, non aveva cessato di guardare il capitano.
- Miss Darma, - disse sir Moreland, accostandosi alla giovane. -
Mi permettete di sedermi presso di voi?
- Vi aspettavo, - rispose la figlia di Tremal-Naik, arrossendo
leggermente. - Starete meglio qui che nella vostra cabina, dove si soffoca.
Il dottor Held offrì al convalescente una sedia, poi accesa una
sigaretta andò a raggiungere Yanez il quale si divertiva ad osservare, insieme
a Surama, i salti dei poveri pesci volanti perseguitati dalle dorate ed in aria
dagli uccelli marini.
L'anglo-indiano rimase alcuni istanti silenzioso, guardando la
giovane, più bella che mai, nel suo lungo accappatoio di percallino azzurro
guernito con pizzi, poi disse con un tono di voce nel quale si sentiva una
strana vibrazione:
- Quale felicità trovarmi qui, dopo tanti giorni di prigionia e
ancora presso di voi, mentre avevo avuto il timore di non più rivedervi dopo la
vostra fuga da Redjang. Mi avete giuocato per bene, miss.
- Non avete serbato alcun ràncore verso di me, sir Moreland, di
avervi ingannato?
- Nessuno, miss: eravate nel vostro diritto di ricorrere a
qualunque astuzia per ricuperare la libertà. Avrei però preferito tenervi mia
prigioniera.
- Perchè?
- Non lo so: mi sentivo felice presso di voi.
Il capitano sospirò a lungo, poi con voce triste disse:
- Eppure il destino m'imporrà di dimenticarvi.
Darma, udendo quelle parole, era diventata pallidissima, pure
disse:
- Sì, sir Moreland, bisognerà piegarsi dinanzi alle avversità del
destino.
- E tuttavia, - riprese il capitano, - non so che cosa farei per
infrangere i decreti della sorte.
- Non dimenticate, Sir, che fra noi sta la guerra e che questa ci
dividerà per sempre. Che cosa direbbero mio padre, Yanez e Sandokan se
sapessero che io ho accettato la mano di uno dei loro nemici? E che cosa
direbbero i vostri, il cui odio verso di noi è ancor più profondo, più
accanito, più spietato? Avete pensato a ciò, sir Moreland? Voi, uno dei più
brillanti e dei più valorosi ufficiali della marina del rajah a cui la vostra
patria ha armato il braccio per sopprimerci senza misericordia, sposare la protetta
dei pirati di Mompracem? Vedete bene che la cosa sarebbe impossibile: un sogno
che non potrà mai diventare realtà, perchè l'abisso che ci separa è troppo
profondo.
- Il nostro amore lo colmerebbe, perchè l'amore non ha patria,
se...
- Vorrei che così fosse, - disse Darma con voce triste. - sir
Moreland, dimenticatemi. Un giorno voi sarete libero, scordatevi di me,
riprendete il mare e obbedite alla voce del dovere che vi chiede il nostro
sterminio. Dimenticate che su questa nave si trova una fanciulla che voi avete
amata e che pur vi ha amato e fate tuonare, senza misericordia, le vostre
artiglierie su di noi, colateci a fondo o fateci saltare in aria. La nostra
sorte ormai è scritta a lettere di sangue sul gran libro del destino e tutti
noi siamo pronti a subirla.
- Io uccidere voi! - esclamò l'anglo-indiano. - Tutti gli altri
sì, ma non voi.
Aveva pronunciato quelle parole "gli altri" con un tale
accento d'odio, che Darma lo guardò con ispavento.
- Si direbbe che voi avete dei segreti rancori contro Yanez e
Sandokan e anche contro mio padre.
Sir Moreland si era morso le labbra, come se fosse pentito di
essersi lasciato sfuggire quelle parole, poi riprese prontamente:
- Un capitano non può perdonare a coloro che lo hanno vinto e che
gli hanno affondata la nave. Io sono disonorato ed è necessario che mi prenda
una rivincita un giorno o l'altro.
- E li annegherete tutti? - chiese Darma con ispavento.
- Sarebbe stato meglio che io fossi colato a fondo colla mia nave,
- disse il capitano, sfuggendo la domanda rivoltagli dalla giovane. -
Quell'urlo terribile che mi perseguita non lo avrei più udito.
- Che cosa dite, sir Moreland?
- Nulla, - rispose l'anglo-indiano con voce sorda. - Nulla, miss
Darma. Fantasticavo.
Si era alzato, mettendosi a passeggiare con agitazione, come se
più non si sentisse i dolori che doveva produrgli la ferita non ancora
interamente rimarginata.
Il dottor Held, che era poco lontano, vedendolo così agitato, gli
si era avvicinato.
- No, sir Moreland, - gli disse. - Simili sforzi possono produrre
gravi conseguenze ed io, per ora, ve li proibisco. La mia vigilanza su di voi
non è ancora cessata.
- Che importa se la mia ferita si riaprisse? - disse
l'anglo-indiano. - Se la mia vita dovesse fuggire da quello strappo, sarei più
lieto. Almeno tutto sarebbe finito.
- Non rimpiangete di essere stato salvato, Sir, - disse il
dottore, prendendolo sotto il braccio e riconducendolo verso il quadro. - Chi
può dire che cosa vi riserba l'avvenire?
- Delle amarezze e null'altro, - rispose il capitano.
- Eppure ieri sembravate lieto di essere ancora vivo.
L'anglo-indiano non rispose e si lasciò ricondurre nella cabina,
essendosi levato un vento freschissimo.
Il Re del Mare intanto continuava la sua corsa verso il nord-est,
mantenendo una velocità di sette nodi.
A mezzodì Yanez e Sandokan avevano fatto il punto ed avevano
constatato che una distanza di centocinquanta miglia separava la loro nave da
Mangalum, distanza che potevano superare in poco più di ventiquattro ore senza
forzare le macchine.
Entrambi avevano fretta di giungervi, perchè il tempo accennava a
guastarsi rapidamente, quantunque al mattino fosse apparso splendido.
Alcuni cirri biancastri, che salivano dal sud, erano già apparsi e
s'avanzavano lentamente; era certo l'avanguardia di vapori ben più densi ed ai
due pirati non piaceva di farsi sorprendere da qualche burrasca in quei paraggi
cosparsi di banchi e di scogliere isolate.
Ed infatti il mar della Sonda, così aperto ai venti freddi del sud
e dell'ovest, è uno dei peggiori, perchè si formano in quei luoghi delle ondate
così gigantesche, che non s'incontrano in altri, nemmeno nel Pacifico. E poi
Mangalum non poteva offrire un sicuro asilo per una nave così grossa, non
avendo che un minuscolo porto, accessibile solamente ai prahos.
Le apprensioni dei due vecchi lupi di mare dovevano avere una
conferma molto presto.
Infatti, alla sera il sole era tramontato fra un fitto velo di
vapori dalla tinta molto oscura e la brezza si era tramutata in un vento
piuttosto forte e assai fresco.
La calma che regnava sul mare si era spezzata. Delle onde salivano
di quando in quando dal sud e correvano, muggendo sordamente, contro
l'incrociatore, sollevandolo bruscamente.
- Avremo mare forte domani, - disse Yanez al dottor Held, che era
risalito in coperta. - Il Re del Mare ballerà terribilmente se si scatena un
uragano. Ho fatto già una crociera in questi paraggi e so quanto diventano
terribili allorquando soffiano i venti del sud o dell'ovest.
- S'alzano delle onde mostruose, è vero, signor Yanez?
- Di quindici metri e talvolta perfino di diciotto e che lunghezze
che hanno!
- Ma Mangalum non deve essere lontana.
- Sarebbe meglio evitarla, piuttosto che trovarsi presso di essa,
mio caro signor Held. Mangalum non è che un grosso scoglio e le altre due
isolette che lo fiancheggiano, due punte rocciose.
- Un soggiorno poco invidiabile pei loro abitanti.
- Eppure non sembrano scontenti della loro terra, quantunque
siano, si può dire, completamente isolati dal resto del mondo, non vedendo che
molto di rado qualche nave. Ed infatti quel deposito di carbone non viene
rinnovato che ogni due o tre anni.
- Si dice che sia la colonia più minuscola che esista nel nostro
globo.
- È vero dottore, perchè la sua popolazione non ammonta nemmeno a
cento persone. L'anno scorso non erano che in novantanove. È bensì vero che
anni sono aveva raggiunto i centoventi abitanti.
- E perchè sono scemati?
- In causa d'una tremenda bufera la quale spinse le onde
attraverso l'isola, atterrando molte case e spazzando via numerosi abitanti.
- E perchè i superstiti non hanno abbandonata l'isola?
- Pare che amino assai il loro suolo ingrato e malsicuro e poi
credo che in nessun altro luogo potrebbero godere tanta libertà. Quantunque
appartengano a razze diverse, essendovi inglesi, americani, malesi, bughisi,
macassaresi e cinesi, vivono in perfetta armonia e sul piede d'una completa
eguaglianza. Si può anzi dire che quegli isolani hanno risolto il famoso
problema sociale e con soddisfazione generale, perchè sono retti da una specie
di comunismo.
Il loro capo è il più vecchio abitante dell'isola, con poteri
limitati. Lavorano in comune, si istruiscono a vicenda, e non conoscono il
valore del denaro che per loro rappresenta una mera curiosità. Perfino le
donne, che sono molto più numerose degli uomini, si sono adattate ai lavori
mascolini, onde ovviare il pericolo che vi possano essere persone più bisognose
di venire nutrite che non lavoratori costretti a nutrirle.
- Un'isola meravigliosa! - esclamò il dottore.
- Sotto un certo aspetto è veramente ammirabile, - disse Yanez.
- Sono molti anni che è popolata?
- Dal 1810, perchè prima non vi erano che bande di uccelli marini.
Un disertore inglese, certo Granvill, fu il primo ad approdare insieme ad un
suo compatriotta e ad un americano. Più prepotente degli altri due, con un
editto si proclamava re dell'isola e dei due isolotti vicini. Pare però che ciò
non gli portasse fortuna, perchè quando nel 1818 il governo inglese inviava una
nave a prenderne possesso, non viveva che l'americano. Era possessore di molto
oro, moneta affatto inutile fra quelle rocce e che avrebbero potuto godere in
patria. Pure invitato a tornarsene in America, oppose un rifiuto categorico. A
poco a poco sbarcarono dei malesi e anche dei bughisi e degli inglesi. Nel 1865
la popolazione aumentò d'un colpo avendo, in quell'epoca, un corsaro americano,
sbarcato quaranta prigionieri, presi durante la guerra di secessione.
Quell'aumento di popolazione rese ben dura la vita agli isolani, essendosi
dimenticato il corsaro di sbarcare dei viveri, nondimeno a poco a poco la
colonia prosperò e continuò ad aumentare. Forse a quest'ora, il signor Griell,
che è l'attuale governatore dell'isola, ha più d'un centinaio di sudditi.
- Un piccolo re.
- Che ci tiene al suo regno, specialmente dopo la visita ricevuta
da un ammiraglio inglese della squadra della Cina che lo ha investito del
supremo potere, d'incarico della Regina d'Inghilterra.
- Figurarsi che onori avrà avuto quell'ammiraglio!
- No, signor Held, gli onori ha dovuto farli lui, offrendo alla
colonia un banchetto pantagruelico, di cui i buongustai dell'isola serbano
immortale ricordo, seguìto da molti doni fra i quali una bandiera inglese che
Griell conserva gelosamente.
- Vedrò con piacere quel piccolo regno. Speriamo di avere una
buona accoglienza, - disse il dottore.
- Lo dubito, - rispose Yanez, - perchè quegli isolani ci terranno
a non sprovvedersi di carbone che consumano essi in gran parte.
Sapremo però calmarli avendo noi degli argomenti molto persuasivi.
Chiamino pure in loro soccorso gli inglesi e ci scaccino. Siamo in guerra e la
faremo a tutti i sudditi inglesi, senza eccezioni.
Tutta la notte il Re del Mare fu vivamente battuto dalle onde, che
salivano incessantemente dal sud, sconvolgendo tutto il mare della Sonda.
Il vento non aveva cessato di aumentare, però non era ancora così
violento da rendere difficoltosa la navigazione dell'incrociatore, dotato di
splendide qualità nautiche, nonostante il peso enorme delle sue grosse
artiglierie e delle sue torri corazzate.
All'indomani il tempo era diventato più minaccioso. I cavalloni si
seguivano con furia, colle creste spumeggiami, muggendo cupamente e frangendosi
con fracasso contro lo sperone della nave.
Il vento, sferzando le loro cime, sollevava vere cortine d'acqua,
le quali correvano attraverso l'oceano, danzando disordinatamente e
abbattendosi contro l'alberatura e le torri del Re del Mare.
Enormi masse di vapori, gravide di pioggia, volteggiavano pel
cielo, intercettando completamente la luce solare e proiettando sull'oceano
delle ombre tetre. Gli uccelli marini, da veri uccelli delle tempeste, si
sollazzavano in bande fitte nei cavi o sulle creste delle onde, lasciandosi
portare dal vento, salutando la tempesta con gridi assordanti.
Si vedevano i giganteschi albatri correre fra i cavalloni, poi
alzarsi bruscamente, descrivendo fulminei giri; i rompitori d'ossa calare a
stormi assieme alle sule fuligginose, mentre in aria volteggiavano le fregate.
Il Re del Mare teneva però splendidamente testa all'uragano,
sormontando facilmente le onde che lo assalivano da prora e che urlavano e
muggivano sui suoi fianchi. Sandokan e Yanez avevano dato ordine a Horward di
attivare i fuochi, onde cercare di giungere a Mangalum prima che l'uragano si
scatenasse, sapendo che l'approdo sarebbe diventato allora pericolosissimo.
Alla sera la burrasca si scatenava con furore estremo, mentre
l'incrociatore non era ancora in vista del picco dell'isola.
La prudenza consigliava di prendere il largo, onde non esporre la
nave al pericolo di venire sbattuta contro qualche roccia.
- Aspetteremo che si calmi prima d'avvicinarci a Mangalum, - aveva
detto Sandokan. - Abbiamo ancora combustibile per un paio di giorni.
Il Re del Mare aveva volta la prora a ponente, non essendovi in
quella direzione nè banchi, nè scogliere. L'uragano lo assaliva allora con
violenza inaudita, imprimendogli delle scosse spaventevoli.
Tutti erano in coperta, perfino Darma e sir Moreland.
Le onde, vere montagne mobili, si rovesciavano addosso
all'incrociatore con muggiti assordanti, ostacolandogli la marcia e minacciando
di trascinarlo ben lontano dalla sua rotta.
- Una burrasca terribile, - disse sir Moreland a Darma, la quale
si teneva riparata tra la torre poppiera e la murata del cofferdam. - La vostra
nave avrà molto da fare a cavarsela.
- Che vi sia pericolo di affondare? - chiese la giovane, senza
però manifestare alcuna apprensione nel tono della voce.
- No, almeno per ora, miss. Il Re del Mare è una nave a prova di
scoglio e nessuna ondata potrà demolirla.
- Che onde gigantesche però.
- Enormi, miss. Ed è qui, in questi paraggi che raggiungono delle
altezze spaventevoli. Ritiratevi, non è il vostro posto qui. Vi è del pericolo.
- Se l'affrontano gli altri, perchè dovrei sfuggirlo io?
- Sono uomini di mare. Ritiratevi, miss, perchè ora che
l'incrociatore si prepara a virare di bordo, le onde spazzeranno la poppa e un
cavallone potrebbe irrompere nella torre.
- Mi rincresce di non poter ammirare questa bufera in tutta la sua
terribile rabbia. Ah! Quale spettacolo! Guardate, sir Moreland, che ondate! Si
direbbe che stanno per chiudersi sopra di noi. Aspettate un minuto ancora.
- Badate, miss, le onde assalgono la poppa. Le vedete?
Il Re del Mare, che faticava immensamente a prendere il largo,
trovandosi di frequente le sue eliche fuori dalle acque, pareva che fosse
diventato un misero guscio di noce. Balzava sulle creste, sbandandosi in modo
da temere che da un momento all'altro si squilibrasse, poi strapiombava negli
abissi, dai quali pareva che non dovesse mai più uscire.
I colpi di mare si succedevano senza tregua, frangendosi contro le
torri con mille muggiti e spazzando la tolda con grave pericolo pei marinai,
che venivano sbattuti contro le murate e talvolta perfino sollevati.
Yanez e Sandokan pareva che se ne ridessero dei furori
dell'uragano. Aggrappati alla balaustrata del ponte di comando, calmi,
impassibili, impartivano gli ordini con voce tranquilla.
Avevano ormai troppa fiducia nella propria nave per dubitare della
vittoria finale.
D'altronde avevano prese tutte le misure per poter lottare
vantaggiosamente coll'uragano.
Avevano raddoppiato il personale di macchina ed i timonieri,
avevano fatto doppiare i cavi delle scialuppe, legare le artiglierie leggere,
assicurare le grosse e chiudere tutti gli sportelli ed i boccaporti, onde non
una goccia d'acqua potesse entrare nella nave. Tutta la notte il Re del Mare
fece valorosamente fronte all'uragano, senza troppo allontanarsi dai paraggi di
Mangalum ed essendosi verso il mezzodì dell'indomani calmata la furia del
vento, riprese la sua rotta primitiva.
Il cielo si manteneva ancora minaccioso e tutto faceva credere che
quella bufera dovesse avere più tardi un seguito.
- Affrettiamoci ad approfittare di questo momento di calma
relativa, - disse Sandokan a Yanez ed a Tremal-Naik. - Le carboniere sono quasi
vuote e sarebbe una grave imprudenza lasciarci cogliere da un altro uragano coi
fuochi semispenti.
L'isola non doveva essere lontana, poichè il Re del Mare, pur
tenendosi al largo per tema di venire spinto contro quella terra o verso le
scogliere che la circondano, non si era molto scostato verso l'ovest.
Ed infatti verso le dieci del mattino, essendosi spezzate le masse
di vapore che turbinavano in cielo, una montagna si delineò finalmente
all'orizzonte.
- Mangalum? - chiese Tremal-Naik a Yanez che l'osservava col
cannocchiale.
- Sì, - rispose il portoghese. - Affretteremo la marcia e faremo
arrabbiare quegl'isolani ed il loro minuscolo governatore.
Il Re del Mare aumentava la corsa, consumando le sue ultime
tonnellate di carbone.
La montagna ingrandiva a vista d'occhio. Era una vetta coperta da
una fitta vegetazione assai verdeggiante e alla sua base si scorgeva, in uno squarcio
considerevole, il suo porticino.
- Fra due ore vi giungeremo, - disse Yanez all'indiano.
Il portoghese non s'ingannava. Non era ancora mezzodì quando il Re
del Mare si trovò di fronte alla piccola rada sulla cui spiaggia si scorgevano
dei gruppetti di capanne e delle barche tirate a secco.
- Scandagliate! - aveva gridato Sandokan. - Forse avremo acqua
sufficiente per entrare.
Sambigliong con parecchi marinai muniti di scandagli si era recato
a prora per misurare la profondità delle acque, mentre il Re del Mare moderava
rapidamente la sua velocità.
Vedendo apparire quella grossa nave, gli abitanti, per la maggior
parte di razza bianca, si erano precipitati fuori delle loro capanne e,
credendo che fosse inglese, si erano affrettati ad inalberare sull'antenna dei
segnali la preziosa bandiera regalata loro dall'ammiraglio della squadra del
Mar Giallo.
Erano una cinquantina fra uomini, donne e ragazzi, che
sgambettavano allegramente fra i fuchi7 giganti, che coprivano le rive della
minuscola baia, sperando forse di vedersi regalare un secondo banchetto
gargantuesco, come l'aveva offerto l'ammiraglio britanno.
Sandokan, dopo aver raccomandato ai timonieri di tenere il Re del
Mare al largo dalle spiagge, aveva dato ordine di calare in mare la scialuppa a
vapore e le due baleniere più grosse, essendo i cavalloni sempre fortissimi.
- Vedo del carbone, - aveva detto a Yanez.
- Ed io dei buoi che pascolano nei recinti, - aveva risposto il
portoghese.
- Questa corsa non sarà stata quindi inutile, - aveva concluso la
Tigre della Malesia. - Almeno qui non avremo da temere alcuna resistenza.
Trenta malesi, armati di fucili e di kampilang, erano già scesi
nella scialuppa, dopo non poche fatiche, in causa delle frequenti ondate.
Essendosi il Re del Mare messo attraverso i cavalloni ed avendo
gettato una buona quantità d'olio sotto e sopravvento, una certa calma erasi
ottenuta. Fra la nave e l'isola, l'acqua si era spianata, in modo da rendere
facile l'approdo.
Ad un comando di Yanez, la scialuppa a vapore aveva preso a rimorchio
le due baleniere, dirigendosi rapidamente verso la spiaggia, ove s'apriva un
piccolo bacino ingombro di alghe che metteva in un secondo più ampio e
assolutamente sgombro.
La traversata si era compiuta in meno di cinque minuti.
Yanez che aveva assunto il comando della spedizione, sbarcò per
primo fra la minuscola popolazione, domandando del governatore.
- Sono io, signore, - rispose un vecchio che indossava un costume
da tamburo maggiore dell'esercito inglese, sfoderato per la circostanza. - Sono
ben felice di vedere un capitano di Sua Maestà la Regina d'Inghilterra.
- La Regina d'Inghilterra non ha nulla a che fare con noi, signor
governatore, - rispose Yanez, mentre i suoi uomini sbarcavano e caricavano i
fucili. - D'altronde io non sono un rappresentante dell'Impero Britannico.
- Che cosa dite, signore! - esclamò il vecchio scoprendosi il
capo.
- Pare che manchiate di notizie fresche dal resto del mondo.
- Non approdano che rare navi qui, e gli ammiragli inglesi non si
fanno più vedere.
- Allora ho il dispiacere d'informarvi che noi siamo in guerra
coll'Inghilterra e che perciò dovete considerarci come vostri nemici.
- E venite a conquistare l'isola! - esclamò il governatore,
impallidendo. - Chi siete? Degli olandesi forse?
- Noi siamo le tigri di Mompracem.
- Ne ho udito vagamente a parlare.
- Tanto meglio, d'altronde rassicuratevi. Noi non abbiamo
l'intenzione di destituirvi e tanto meno d'impossessarci della vostra isola,
signor Griell.
- E che cosa desiderate, dunque? - chiese il governatore con voce
tremante.
- Gli inglesi hanno qui un piccolo deposito di carbone, è vero?
- È vero, ma non appartiene a noi, bensì al governo della Gran
Bretagna. Comprenderete quindi che io non posso toccarlo senza aver ricevuto
l'ordine dell'Ammiragliato.
- Quell'ordine ve lo farò dare più tardi, - rispose Yanez. - Per
diritto di guerra quel carbone, che voi non potreste difendere, è nostro. Se
poi vorrete evitare dei malanni, fra un'ora dovrete far portare qui anche
dell'acqua dolce e dei viveri; passato il quale tempo i miei uomini
procederanno alla distruzione delle vostre abitazioni e delle vostre
piantagioni.
- Signore! - esclamò il povero governatore. - Io protesto contro
questa violenza.
- Protesterete presso l'Ammiragliato che non ha pensato a mandare
qui una squadra per difendervi, - disse Yanez, con voce secca. - Orsù, attendo
coll'orologio alla mano.
- È una pirateria!
- Chiamatela come volete, ciò non mi da alcun fastidio. Che tutti
si ritirino o i miei uomini faranno fuoco!
Quella minaccia, formulata in lingua inglese, ottenne un successo
immediato. La popolazione, che già guardava in cagnesco i corsari, temendo una
scarica, si era prontamente dispersa, rifugiandosi nelle case.
Solamente il governatore, per non perdere della sua dignità, si
era ritirato ultimo, dopo aver chiamato a consiglio tre o quattro vecchi
coloni, certamente i personaggi più influenti e più rispettati dell'isola.
Yanez, senza attendere le decisioni del governatore, si era
diretto verso il deposito di carbone, situato all'estremità della baia, sotto
una vasta tettoia.
Ve n'erano perlomeno seicento tonnellate, provvista ragguardevole,
ma il cui trasporto a bordo richiedeva molto tempo.
Furono rimandate a bordo le scialuppe per condurre a terra altri
ottanta uomini di rinforzo ed il carico cominciò nonostante il pessimo tempo ed
i furiosi acquazzoni che si succedevano di quarto in quarto d'ora.
Mentre i malesi ed i dayaki lavoravano febbrilmente, Yanez si era
seduto sotto la tettoia coll'orologio in mano e la sigaretta fra le labbra,
risoluto ad agire.
Aveva radunato presso di sè una dozzina di fucilieri, i quali
altro non aspettavano che un ordine per mettere a sacco le abitazioni degli
isolani e distruggere le poche piantagioni.
Non era però ancora trascorsa l'ora, quando si videro alcuni
coloni spingere verso la piccola baia una cinquantina di capre e altrettante
pecore, animali di bell'aspetto e di buona razza, che dovevano somministrare
all'equipaggio dell'incrociatore delle superbe bistecche.
Il governatore, accompagnato dai suoi consiglieri, li precedeva.
Il povero uomo pareva molto afflitto, ma anche molto incollerito.
- Signore, - disse, accostandosi a Yanez. - Cedo alla forza, però
farò le mie lagnanze all'Ammiragliato.
Il portoghese invece di rispondere trasse da un portafoglio una
carta e gliela rimise.
- Che cos'è questo? - chiese il governatore, con sorpresa.
- Una tratta di cinquecento sterline in oro che potrete far
incassare a Pontianak dove abbiamo i nostri banchieri. Questi animali
appartengono ai vostri amministrati e ve li paghiamo; il carbone appartiene al
governo inglese e ce lo prendiamo. Ora lasciateci tranquilli e non occupatevi
altro di noi.
- Avrei preferito tenermi i miei animali, assai più utili del
vostro denaro, - rispose il governatore stizzito.
Avrebbe forse voluto aggiungere qualche altra parola; ma vedendo i
marinai alzare i fucili, battè prudentemente in ritirata assieme ai suoi
consiglieri.
Intanto altri uomini erano sbarcati ed altre scialuppe erano
giunte, e mantenendosi il mare relativamente tranquillo fra la spiaggia ed il
Re del Mare, facendo questo argine all'irrompere delle onde colla sua massa, il
carico del combustibile cominciò con febbrile attività.
Tutti si affrettavano, perchè al largo il mare infuriava,
rompendosi con rabbia contro le scogliere e il tempo non accennava a
rischiararsi, e mentre l'imbarco di quella massa di combustibile doveva
richiedere molte ore.
Durante tutta la giornata e buona parte della notte, monti di combustibile
furono precipitati nelle carboniere.
L'indomani, Yanez, essendo stato surrogato da Tremal-Naik, ed
essendo il mare un po' calmato, sebbene il tempo fosse sempre minaccioso, fece
la proposta a sir Moreland di fare una gita a uno dei due isolotti
fiancheggianti Mangalum, per fare un massacro d'uccelli marini onde variare la
minuta di bordo. Trovandosi Surama indisposta, in causa del mal di mare che la
tormentava, fu offerto a Darma di accompagnarli, tanto più che la giovane era
una valente cacciatrice.
A mezzodì, dopo il pranzo, l'anglo-indiano, il portoghese e la
fanciulla, armati di fucili da caccia, s'imbarcavano sulla piccola baleniera,
dirigendosi verso l'isolotto di ponente, uno scoglio enorme che lanciava la sua
vetta a sette od ottocento piedi d'altezza e che da tre lati cadeva quasi a
piombo.
Sui cornicioni si vedevano stormi di uccelli a nidificare. Erano
per lo più albatri bianchi e neri, i quali, quantunque vivano insieme sugli
isolotti deserti, mantengono una linea di divisione che si vede a prima vista,
dato il colore delle loro penne. Non mancavano però molti altri uccelli marini,
ben migliori dal lato commestibile.
Yanez che dirigeva la scialuppa, in meno di mezz'ora sbarcò
l'anglo-indiano e Darma alla base dello scoglio dove si prolungava un tratto di
spiaggia di alcune centinaia di metri.
Legata l'imbarcazione dietro una linea di rocce che la difendevano
dagli assalti delle onde, i due cacciatori e Darma si arrampicarono sui fianchi
della rupe, fucilando vigorosamente i grossi volatili che turbinavano sopra le
loro teste in bande così fitte da oscurare talvolta i raggi del sole.
Albatri bianchi e neri, sule, rompitori d'ossa, gabbiani e rondini
di mare cadevano in gran numero sulla spiaggia sottostante, non prendendosi
nemmeno la briga di abbandonare i cornicioni sui quali nidificavano.
La caccia si protrasse fino verso il tramonto, con grande
divertimento di sir Moreland, che era pure un tiratore valentissimo, poi,
essendosi il mare fatto grosso ed essendosi il vento alzato violentissimo,
pensarono a far ritorno.
Stavano per imbarcarsi, quando udirono la sirena dell'incrociatore
a fischiare replicatamente.
- Ci chiamano, - disse Yanez. - Il carico è finito e il Re del
Mare si prepara a prendere il largo.
Ad un tratto corrugò la fronte, fissando le onde che si
rovesciavano con estrema violenza contro lo scoglio.
- Che abbiamo commesso una grossa imprudenza a tardare tanto? - si
chiese. - Che brutto mare!
- Affrettiamoci, signor Yanez, - disse sir Moreland, guardando con
inquietudine Darma. - Avremo da fare a tornare a bordo.
La sirena dell'incrociatore continuava a fischiare e si vedevano i
marinai a fare dei larghi cenni.
- Pare che ci invitino a non prendere il largo, - disse Yanez. -
Che al di là delle scogliere il mare sia più cattivo di quello che crediamo?
Bah! Tentiamo!
Afferrò i remi e spinse risolutamente la scialuppa fuori dal
piccolo seno, ma appena ebbe oltrepassata la linea degli scogli, un'onda
immensa, una vera montagna d'acqua si rovesciò su di loro e per poco non li
subissò.
Quasi nel medesimo istante videro l'incrociatore, assalito da una
seconda ondata, ancora più enorme, salita dal sud, e respinto bruscamente al
largo dall'imboccatura della rada di Mangalum. Quel terribile colpo di mare
doveva aver spezzate le catene delle àncore.
- Signor Yanez! - gridò Darma spaventata. - Il Re del Mare fugge!
Nuove montagne d'acqua si rovesciavano con estremo furore, fra le
isole e l'incrociatore, mentre la notte calava quasi di colpo, tutto avvolgendo
nel suo nero manto.
- Torniamo, signor Yanez, - disse sir Moreland. - L'incrociatore
viene respinto al largo e...
Non finì la frase. Un cavallone enorme si era precipitato sulla
scialuppa, capovolgendola e gettando tutti in acqua.
Yanez, pronto come un lampo, aveva avuto appena il tempo di
strappare il salvagente attaccato al banco di poppa e di afferrare per un
braccio Darma.
Appena tornato a galla, dopo passato il cavallone, si vide di
fronte l'anglo-indiano che s'appoggiava pure ad un salvagente, quello di prora.
- Aiutatemi, sir Moreland! - gridò.
Darma gli era sfuggita, ma la sottana di percalle azzurro che ella
indossava era ricomparsa a poche braccia da loro, poi la lunga capigliatura
disciolta dall'onda.
Il portoghese, valentissimo nuotatore, con due poderose bracciate
era giunto in tempo per afferrare la veste.
- Sir, aiutatemi! - ripetè con voce soffocata.
Il capitano giungeva, dibattendosi disperatamente. Pareva che in
quel supremo istante avesse recuperate d'un colpo tutte le sue forze.
Mentre colla sinistra stringeva il salvagente, passò il braccio
destro sotto il collo della giovane, alzandole la testa.
- Miss... aggrappatevi... siamo qui... col signor Yanez... vi
salveremo.
Darma sentendosi afferrare e rialzare, aveva aperti gli occhi. Era
pallida come un cencio lavato, e dai suoi sguardi traspariva un profondo
terrore.
Vedendo il salvagente che l'anglo-indiano le spingeva contro, vi
si era aggrappata con suprema energia.
- Voi... Sir... - balbettò.
- Ed anch'io, Darma, - disse Yanez. - Non lasciare! Ecco l'onda
che ci investe.
- Una corda! - gridò il capitano. - Legate il salvagente.
- La mia cintura, - rispose il portoghese. - A voi... prendete!
Badate... l'onda...
L'anglo-indiano, con una rapidità meravigliosa aveva unito i due
larghi anelli di sughero. Aveva fatto appena il nodo che un'onda gigantesca
s'abbatteva addosso a loro.
Istintivamente i due uomini avevano stretta fra di loro la
giovane, sorreggendola con un braccio.
Si sentirono travolgere, poi spingere in alto fra un turbine di spuma
che li accecava, quindi precipitare in un baratro spaventevole che pareva non
avesse più fondo.
- Signor Yanez... Sir Moreland! - gridò la giovane. - Dove
scendiamo noi?
- Coraggio, miss, - rispose il capitano. - La terra non è lontana
e le onde ci spingono. Ecco che rimontiamo un'altra onda.
- L'isolotto sta di fronte a noi, a meno di cinquecento metri, -
disse Yanez. - sir Moreland, potrete resistere?
- Lo spero, - rispose il capitano.
- E la vostra ferita?
- Non occupatevene... è ben fasciata e quasi chiusa... Ancora
l'onda!
Un altro cavallone li prese per di sotto, li sollevò fino quasi a
toccare le nubi, poi tornò a precipitarli con vertiginosa rapidità.
- Dio... che colpi, - disse Darma.
- Non abbandonate il salvagente, - disse il capitano. - La nostra
salvezza sta in questi anelli di sughero.
- Ed il Re del Mare si vede ancora?
- Scomparso, trascinato via dall'uragano, - rispose Yanez. - Non
temere, Sandokan e Tremal-Naik non ci abbandoneranno. Ecco lo scoglio! Non
verremo frantumati fra le rocce? sir Moreland, non lasciatevi spingere.
Il capitano non rispose. Guardava verso l'enorme scoglio, la cui
vetta era coperta di nubi tempestose e sui cui fianchi strisciavano le folgori.
D'improvviso mandò un grido di gioia.
- La... la... calma... l'olio! - esclamò. - Brahma ci protegge!
Era impazzito l'anglo-indiano? No, sir Moreland aveva ben veduto.
Le onde, dinanzi a loro, si spianavano, come per opera magica, dissolvendosi di
colpo.
Durante l'imbarco del carbone, Sandokan aveva fatto spargere
intorno alla nave alcuni barili d'olio onde ottenere un po' di calma e
permettere alle scialuppe cariche di abbordarlo.
Quello strato oleoso, trascinato forse da qualche corrente, si era
accumulato dinanzi al terribile scoglio, formando una zona brillante, lunga
parecchi chilometri e larga alcune gomene.
Si conoscono già le miracolose proprietà che hanno le materie
grasse di calmare le onde. Non avendo il vento alcuna presa su di esse, e non
essendo penetrabili nè all'aria, nè all'acqua, dove esse vengono sparse, i marosi
si dissolvono e tutt'al più formano delle lunghe ondate senza frangersi,
affatto innocue.
Qualche barile, e anche meno, basta sovente a ottenere una specie
di calma attorno alle navi, avendo l'olio la proprietà di espandersi a grandi
distanze. Quello sparso dall'equipaggio del Re del Mare, in quelle quattordici
o quindici ore, era stato tanto da far regnare una certa tranquillità fra le
tre isole.
- Sì, l'olio, - aveva risposto Yanez. - Un'altra onda e noi
giungeremo nella zona tranquilla.
Il nuovo cavallone sopraggiungeva mungendo e urlando. Era alto
almeno quindici metri, tutto creste spumeggianti e lungo parecchie miglia.
Afferrò i tre naufraghi, li scosse sulle sue cime, poi li
scaraventò innanzi, ma appena toccata la zona oleosa perdette improvvisamente
il suo impeto e scivolò sotto lo strato, trasformandosi come per incanto in
un'ondata lunga, priva d'ogni violenza.
- Siamo salvi! - gridò il portoghese. - sir Moreland, uno sforzo
ancora e giungeremo sull'isolotto.
L'anglo-indiano lo guardò senza aprire bocca. Era pallidissimo e
un rauco respiro gli usciva dalle labbra contratte.
Forse la ferita, appena rimarginata, si era riaperta in causa
degli incessanti sforzi e della prolungata immersione e la sua energia si
esauriva rapidamente.
- Sir, - disse Darma, la quale se n'era accorta. - Voi state male.
- È nulla... la ferita... - rispose il capitano con voce rotta. -
Bah! Resisterò... presso... di voi... miss... La terra è... lì...
Le onde che si seguivano, li spingevano dolcemente verso lo scoglio,
la cui massa imponente giganteggiava a meno di una gomena.
Se l'oceano era tranquillo o quasi in quel luogo, sui margini
dello strato oleoso, infuriava sempre tremendamente.
Onde mostruose si seguivano con scrosci orrendi, mentre sopra di
loro il vento ruggiva tremendamente, gareggiando coi tuoni che rombavano fra le
nubi.
I naufraghi, ormai quasi al sicuro dai furori della burrasca,
s'inoltravano sempre fra lo strato oleoso, aprendosi il passo fra enormi cumuli
di alghe.
Le onde le avevano strappate in gran numero, spingendole poscia
verso la scogliera ed accumulandole intorno alle sue ripide spiagge.
- Sbrighiamoci, sir Moreland, - disse Yanez, il quale nuotava con
vigore, rimorchiando i due gavitelli. - Queste acque sature d'olio ridurranno
le nostre vesti in pessime condizioni. Altro che i balenieri e i cacciatori di
foche!
- Sì, affrettiamoci, - rispose Darma. - sir Moreland è stremato.
- Non lo nego, - rispose l'anglo-indiano, il quale si reggeva con
immense fatiche.
- Un altro meno robusto e meno energico di voi, a quest'ora
sarebbe colato a picco, - disse Yanez. - Ah! Sento delle alghe sotto i miei
piedi! Lasciamoci portare dall'onda.
La fortuna li aveva spinti verso la spiaggia dove avevano cacciato
gli uccelli marini.
Pochi gruppi di erbe marine, di quelle chiamate dagli isolani
beccalunga, si vedevano spuntare fra le fessure delle rupi; più sopra invece
nulla, solamente la nuda roccia di colore nerastro, come se dei torrenti di
pece fossero calati dalle altissime cime dello scoglio.
Spinti da un'ultima ondata, i tre naufraghi furono deposti, quasi
dolcemente, sul greto. Era tempo perchè sir Moreland stava per abbandonarsi.
Yanez aiutò Darma a superare la spiaggia, poi l'anglo-indiano che
era incapace di reggersi.
- I salvagente! - balbettò sir Moreland.
- Ah, sì! E vero, - rispose Yanez. - Sono troppo preziosi per
perderli.
Ridiscese la spiaggia e li tirò a secco, assicurandoli alla punta
di una roccia.
- Come vi sentite, sir Moreland? - chiese premurosamente Darma.
- Un po' debole miss, ma tutto passerà. La ferita fortunatamente
non è riaperta.
- Cerchiamo qualche riparo, - disse Yanez. - Il Re del Mare,
coll'uragano che ingrossa al largo, non potrà tornare molto presto
- Che corra qualche
pericolo, signor Yanez?
- Non credo, Darma. Resisterà meravigliosamente anche a questa
seconda prova. Fortunatamente ha completato a tempo le sue provviste di
combustibile.
- Sicchè saremo costretti a passare la notte qui, - disse Darma.
- Nessuno verrà a disturbarci: non vi saranno delle pantere nere su
questa roccia. Rifugiamoci sotto questa sporgenza e aspettiamo l'alba.
Il portoghese prese una bracciata d'alghe e si diresse verso una
rupe, la cui cima si sporgeva molto innanzi formando un riparo abbastanza
sufficiente per tenere al coperto i tre naufraghi.
Sir Moreland e Darma l'avevano seguìto, portando altre alghe per
formarsi un giaciglio.
Durante tutta la notte l'uragano imperversò con furia
straordinaria, accompagnato da acquazzoni diluviali, i quali scorrendo lungo i
fianchi del gigantesco scoglio, precipitavano sulla spiaggia in forma di
cascatelle, spruzzando abbondantemente i tre naufraghi.
Tuoni assordanti rombavano fra le tempestose nubi ed in alto si
sentiva il vento ruggire tremendamente sulla vetta dell'isolotto.
Il mare era spaventoso fra le tre isole. Montagne d'acqua si
rovesciavano senza posa sulle spiagge, mugghiando intorno alle scogliere,
rimbalzando, accavallandosi. La spuma, sollevata dalle raffiche, giungeva fino
sotto la rupe dove si erano rifugiati i tre naufraghi, spingendovela dentro con
poco piacere di Darma.
- Che notte d'orrore, - diceva la fanciulla, stringendosi addosso
a Yanez. - Cosa sarà accaduto della nostra nave? Potrà il signor Sandokan tener
testa all'uragano? Che cosa dite voi, sir Moreland, che siete pure un marinaio?
- La vostra nave non correrà pericoli, - rispose l'anglo-indiano,
- sarà stata trascinata certo lontano. La Tigre della Malesia si sarà messo
forzatamente alla cappa per fuggire dinanzi all'uragano. Questa è la regione
delle tempeste.
- Sicchè, chissà quando potrò rivedere mio padre.
- Gli uragani sono violentissimi in queste regioni, tuttavia non
durano molto, - disse Yanez. - Gli è che la loro furia è tale che anche le navi
a vapore sovente non possono resistere. D'altronde qui non si sta troppo male
ed ho passato delle notti ben peggiori. Peccato che le mie sigarette siano
diventate inservibili. Bah! Mi rifarò più tardi.
- Signor Yanez, - disse l'anglo-indiano. - Che gli isolani ci
abbiano veduti ad approdare?
- È probabile.
- Non avete pensato che potrebbero venire a farvi prigioniero per
vendicarsi del carbone che avete loro preso?
- Per Giove! - esclamò il portoghese. - Mi mettete addosso delle
inquietudini, sir Moreland. Dovreste anzi chiamarli nella vostra qualità di
suddito inglese e farmi arrestare. Sareste nel vostro diritto, essendo noi
vostri nemici.
L'anglo-indiano lo guardò senza rispondere, poi dopo qualche po'
disse, quasi seccamente:
- Non lo farò, signor Yanez. Oggi devo a voi della riconoscenza,
che mi pesa assai forse, ma che io non debbo per ora dimenticare.
- Un altro al vostro posto non si lascerebbe forse sfuggire una
simile occasione.
- Che avrebbe uno scarso successo, perchè il Re del Mare non
tarderebbe a liberarvi o a vendicarvi.
- Su ciò non dubito, - rispose il portoghese, ridendo. - Orsù,
lasciamo questo discorso e cercate di riposarvi. Siete molto più stanchi di me
e la notte sarà lunga.
Darma e l'anglo-indiano ne avevano proprio bisogno, ed infatti
nonostante i muggiti del mare e gli scrosci formidabili dei tuoni, non
tardarono ad abbandonarsi sullo strato d'alghe.
Yanez, più robusto e più abituato alle lunghe veglie, rimase di
guardia.
Di quando in quando anzi si alzava e, noncurante dei rovesci
d'acqua e dei nembi di spuma che le onde avventavano contro la roccia, si
spingeva fino sulla spiaggia per guardare il mare.
Sperava certo di veder scintillare fra le tenebre i fanali del Re
del Mare, speranza vana, però, poichè nessun punto luminoso appariva fra quel
caos di flutti muggenti.
L'orizzonte, quando i lampi non lo illuminavano, era sempre
tenebroso, come se masse di catrame liquido calassero dalle nubi.
Verso l'alba parve che la bufera accennasse ad allontanarsi verso l'est,
ossia nella direzione presa dall'incrociatore. Il vento era scemato, quantunque
lo si udisse a ruggire sempre sulla vetta del gigantesco scoglio.
Anche le onde cominciavano un po' a spianarsi e non battevano più
lo scoglio colla furia di prima.
Yanez, credendo che Darma e l'anglo-indiano dormissero ancora,
lasciò il rifugio per cercare la colazione.
- Ci accontenteremo delle uova degli uccelli marini, - si era
detto. - Dopo tutto non sono così cattive come si crede.
Avendo scorto su una specie di piattaforma che si protendeva a
quaranta metri d'altezza, numerosi uccellacci a nidificare, il portoghese
cominciò a superare gli scaglioni e le piattaforme che da quella parte
rendevano accessibile, almeno fino ad una certa altezza, il colossale scoglio.
Si era già innalzato di una quindicina di metri, quando giunsero
improvvisamente ai suoi orecchi delle grida.
Yanez, assai inquieto, si era vivamente voltato tenendosi stretto
alla punta d'una roccia.
Una scialuppa dai fianchi larghissimi, entrava in quel momento
nella minuscola rada, manovrata da una mezza dozzina di isolani.
- Per Giove! - esclamò, lasciandosi scivolare rapidamente giù
dalla roccia. - Ecco i nostri affari guastati! Che mi facciano pagare il
carbone con qualche oncia di piombo nella testa?
Giunto al piano si precipitò verso il rifugio, gridando:
- In piedi, sir Moreland!
- È giunto il Re del Mare? - chiesero ad una voce il capitano e
Darma.
- È giunto ben altro! - rispose Yanez. - Sono gli isolani che
stanno per approdare.
- Vi hanno veduto? - chiese sir Moreland.
- Lo temo, trovandomi poco fa sulle roccie.
- Dove sono? - chiese Darma.
- Stanno girando le scogliere e fra poco saranno qui.
- Che ci facciano prigionieri?
- È probabile, - rispose l'anglo-indiano, mentre nei suoi sguardi
brillava un lampo strano.
- Vado a spiarli, - disse Yanez, gettandosi fra le dune di sabbia.
- sir Moreland, - disse Darma, quando furon soli, vedendolo
pensieroso. - Che quegli isolani si vendichino contro il signor Yanez?
- Non ho alcun dubbio. Gli faranno pagare caro il carbone.
- Voi che indossate la divisa britannica, potete salvarlo.
- Io! - fece l'anglo-indiano, come stupito da quelle parole.
- Non vi opporrete al suo arresto?
Sir Moreland guardò Darma incrociando le braccia. La sua fronte si
era annuvolata ed il suo viso aveva assunto una espressione dura, quasi
selvaggia, mentre nei suoi occhi balenava una cupa fiamma.
- Non lo farete, sir Moreland? - ripetè la fanciulla. - Non
dimenticate che quell'uomo vi ha strappato alla morte e che vi ha trattato non
come un nemico, bensì come ospite.
Il capitano continuava a tacere. Pareva che nel suo cuore si
combattesse un'aspra battaglia, dalle diverse espressioni del suo volto.
- È un mio avversario, - disse poi con voce sorda.
- sir Moreland! Non fatemi perdere la stima che nutro per voi.
Anch'io al signor Yanez devo la vita mia e quella di mio padre.
L'anglo-indiano aveva fatto un gesto come di collera, che subito
represse.
- Sia, - disse poi, - così non gli dovrò più nessuna riconoscenza.
Poi uscì dal rifugio, in preda ad una viva agitazione, mormorando
con accento tetro:
- Saprò un giorno ritrovarlo.
Gli uomini della scialuppa erano in quel momento sbarcati, dopo
essersi armati di fucili. Erano tutti bianchi e fra di loro vi era uno dei
consiglieri del governatore.
Un uomo che doveva già aver scorto Yanez, aveva superata la duna,
dietro la quale cercava di nascondersi il portoghese, gridando con voce
minacciosa:
- È inutile che ti nascondi, ladrone di mare! Mostrati!
Il portoghese non si era fatto ripetere l'invito e si era alzato,
dicendo con voce beffarda:
- Buon giorno, signore, e grazie della vostra visita mattutina.
- Avete un bel fegato, ladrone, - disse l'isolano. - Non siete voi
uno di quelli che ci hanno portato via il carbone?
- Un ladrone! Del carbone! - esclamò il portoghese. - Che cosa
volete dire? Io non vi capisco.
- Non facevate parte dell'equipaggio di quella nave di pirati?
- Quali pirati! Io sono un naufrago, che non ho mai derubato
nessuno. Sono un galantuomo io.
- No, devi essere uno di quei ladroni!
Una voce che pareva piena d'indignazione, si levò in quel momento
dietro le dune. Era sir Moreland che giungeva a passo di corsa.
- È a noi che date dei ladroni? - gridò. - Chi siete voi che osate
offendere un capitano della flotta anglo-indiana e del rajah di Sarawak?
L'isolano vedendo comparire quel nuovo personaggio che indossava
la divisa di comandante, quantunque fosse ridotta in pessimo stato dopo il
bagno fra le onde oleose, era rimasto muto.
- Che cosa volete voi? Perchè minacciate? - chiese l'anglo-indiano
affettando una superba collera.
- Un capitano inglese! - aveva esclamato finalmente l'isolano. -
Come va questa faccenda?
Fece portavoce colle mani e volgendosi verso la spiaggia, si mise
a gridare:
- Ohe! Camerati! Venite!
Altri cinque uomini, egualmente armati di vecchi fucili ad
avancarica, avevano raggiunte le dune, prendendo un'attitudine minacciosa.
Vedendo però sir Moreland, avevano subito abbassato le armi, levandosi i
cappellacci di tela cerata.
- Capitano, - riprese il capo. - Quando siete approdato?
- Ieri sera assieme a mia sorella e a questo mio compagno. Siamo
sfuggiti ad un tremendo naufragio, - disse sir Moreland.
- Vi condurremo a Mangalum e vi offriremo larga ospitalità.
D'altronde non rimarrete a lungo fra noi.
- Deve approdare qualche nave?
- Un piccolo legno da guerra che ci parve inglese, è stato
segnalato sulle coste settentrionali dell'isola. L'uragano, però scoppiato
subito dopo la partenza dei pirati, deve averlo respinto al largo.
- Quando l'avete veduto?
- Ieri sera, un po' prima del tramonto. Sarebbe il vostro?
- No, perchè il mio è affondato a quaranta miglia da qui,
parecchie ore prima che giungesse l'altro.
- Davate la caccia al corsaro?
- Lo cercavo.
- Che disgrazia! Se foste giunto prima... Quei ladroni non
avrebbero osato importunarci.
- Li riprenderemo più tardi.
- Ma... scusate capitano, voi dite che quest'uomo è vostro amico?
- È vero, - disse sir Moreland. - Si è salvato insieme a me e a
mia sorella.
- Eppure somiglia ad uno di quei ladroni.
- Quest'uomo è un onesto negoziante di Labuan.
- Ah! - fece il capo della scialuppa.
Darma in quel frattempo era giunta. Gli isolani, vedendola, la
salutarono cortesemente e l'aiutarono ad imbarcarsi. Yanez che era rimasto
impassibile, si era accomodato a prora tentando di accendere, senza riuscirvi,
una delle sue sigarette.
Era però una tranquillità fittizia, anzi era molto preoccupato
dall'imminente arrivo di quella piccola nave da guerra annunciata dall'isolano.
- Gli affari s'imbrogliano, - mormorava. - Quest'anglo-indiano si
riprenderà senza dubbio la rivincita, conducendomi prigioniero su quella nave,
se non mi accade di peggio. Questi isolani mi guardano con certi occhi! Dubito
che abbiano bevuto la storiella di sir Moreland.
La scialuppa si era frattanto scostata dalla spiaggia. Quattro
uomini avevano presi i remi, il quinto si era messo a prora accanto a Yanez ed
il capo alla barra del timone.
Era quest'ultimo un bel vecchio molto barbuto e molto abbronzato,
che ricordava a Yanez uno dei quattro consiglieri del governatore.
Forse non s'ingannava, perchè l'isolano di quando in quando
fissava i suoi occhi azzurri sul portoghese e con vera ostinazione. Nondimeno
non aveva, almeno fino allora, manifestata apertamente alcuna diffidenza,
nemmeno verso Darma, anzi le aveva offerto il posto d'onore a poppa e le aveva
messa sulle spalle la sua casacca di tela cerata, onde difenderla dagli spruzzi
delle onde.
Fuori del bacino, il mare era ancora agitato. Frequenti cavalloni
sollevavano bruscamente la scialuppa, scrollandola brutalmente e precipitandola
improvvisamente in profondi avvallamenti.
I rematori, però, tutti robustissimi e abituati a quelle lotte che
durano quasi eterne intorno a quelle isole, sempre battute dai cavalloni e dai
venti impetuosi del sud, lottavano vigorosamente, senza sgomentarsi per
l'impeto dei marosi.
Giunti al largo, fuori dalle scogliere, issarono una piccola vela
triangolare e la scialuppa, meglio equilibrata, si mise a filare con velocità
notevole verso Mangalum già non troppo lontana.
Durante il viaggio, gli isolani non avevano pronunciata una sola
parola. Di frequente però il capo guardava di sottecchi i tre pretesi
naufraghi, fermando sempre lo sguardo su Yanez.
La traversata fu compiuta felicemente, quantunque verso Mangalum
le onde si mostrassero più violente che altrove, e dopo il mezzodì la scialuppa
approdava all'estremità della piccola baia.
- Scendete, - disse il capo, aiutando Darma. - Vi troverete meglio
qui che sulle roccie dell'isolotto.
Aveva pronunciato quelle parole con un accento quasi beffardo e
che non era sfuggito a Yanez.
- Questo vecchio volpone deve avermi riconosciuto, - mormorò il
portoghese. - Se non torna presto il Re del Mare l'avventura non finirà certo
bene per me. Sir Moreland si è messo in un bello imbarazzo.
Anche l'anglo-indiano doveva essersi accorto di aver giuocato una
pessima carta, poichè appariva molto preoccupato.
Gli isolani tirarono sulla spiaggia la scialuppa onde non venisse
guastata dalla risacca, la quale si faceva sentire violentissima anche dentro
il bacino, si gettarono sulle spalle i fucili e raggiunsero sollecitamente i
naufraghi, circondandoli.
- Dove ci conducete? - chiese sir Moreland, il quale diventava
sempre più inquieto.
- A casa mia, - rispose il capo.
Nessun isolano era uscito dalle abitazioni scaglionate lungo il
declivio. Probabilmente non si erano accorti del ritorno della scialuppa o
avevano preferito starsene nelle loro capanne, ricominciando a piovere.
Il capo attraversò il piazzale e condusse i naufraghi in una
casetta di bella apparenza, costruita parte in legno e parte in pietra, sul cui
tetto a punta sventolava uno straccio rosso, l'avanzo di qualche bandiera
inglese.
Aprì la porta ed invitò l'inglese, Yanez e Darma ad entrare, poi,
mentre i suoi uomini armavano precipitosamente i fucili, volgendosi verso un
vecchio che stava fumando in un angolo, presso la finestra, gli chiese,
indicandogli Yanez:
- Signor governatore, conoscete quest'uomo? Guardatelo bene e
ditemi se non è uno di quelli che ci rubarono la provvista di carbone
affidataci dal governo inglese.
- Ah! Briccone! - esclamò il portoghese, furioso.
Il vecchio si era prontamente alzato guardando Yanez, il quale già
colla sua invettiva si era tradito.
- Sì, è lui che ci ha imposto la consegna del carbone! - gridò il
governatore. - Ora non ci sfuggirai, mio caro, e ti faremo appiccare dai
marinai inglesi e sull'albero più alto della loro nave. Pirata!
- Io, pirata! - esclamò Yanez alzando il pugno.
Sir Moreland fu pronto ad intervenire.
- Nessuna violenza quando si trova qui un capitano di Sua Maestà
la Regina d'Inghilterra.
Il vecchio che pareva non si fosse nemmeno accorto, fino allora,
della presenza dell'anglo-indiano, lo guardò con stupore.
- Chi siete voi? - chiese.
- Guardate l'abito che indosso ed i gradi che brillano ancora
sulle mie maniche.
- È approdata la vostra nave?
- La mia è stata affondata dopo un terribile combattimento, al
largo di Mangalum, dalle artiglierie del corsaro.
- Non appartenete a quella che ci è stata segnalata ieri sera?
- No, perchè sono stato raccolto sulle scogliere dell'isolotto.
- Insieme a quest'uomo? - chiese il governatore, il cui stupore
aumentava.
- Sì, insieme a lui ed a questa miss, salvata da noi durante
l'uragano.
- E voi, capitano inglese, eravate insieme ai corsari! Là! là! Voi
siete un ben abile commediante, ma io non sono così sciocco da credere alle
vostre chiacchiere.
- Ci aveva prima narrato di essere naufragato, - disse uno degli
isolani.
- Vi affermo, sul mio onore, che io sono James Moreland, capitano
della marina anglo-indiana, ed ora ai servigi del rajah di Sarawak, - disse il
giovane comandante.
- Datemi le prove e allora vi crederò.
- Non posso darvene alcuna per ora essendo la mia nave andata a
picco.
- E quest'uomo? Come si trova con voi, mentre due giorni or sono
era con quei pirati?
- Si è salvato con me in una scialuppa, durante l'abbordaggio,
mentre la nave corsara veniva trascinata al largo dall'uragano e la mia
affondava.
- Sareste invece voi il capo di quei pirati nella pelle d'un
inglese?
- Vecchio! - urlò Yanez. - Finiscila di chiamarci pirati. Questo è
un capitano anglo-indiano.
- Siete dei pirati.
- Che cosa ti ho preso io?
- Il carbone.
- Era del governo e non tuo.
- E gli animali.
- Che vi sono stati pagati, - ribattè Yanez che perdeva la sua
solita flemma. - Avete ancora in tasca la tratta su Pontianak, ne sono sicuro,
mentre avremmo potuto portarveli via tutti, senza pagare una sola sterlina.
- E voi credete perciò che io vi lasci andare? - disse il
governatore con un sorriso ironico. - La nave inglese non tarderà ad approdare
e vedremo come ve la caverete con quel comandante. Io spero di vedervi ballare
con un buon canapo al collo, l'ultima danza della morte.
- Ed io vi dico che farete, per lo meno a me, le vostre scuse, -
disse sir Moreland, il quale cominciava egli pure ad irritarsi.
- Vi avverto intanto che se voi torcerete un capello a questa miss
o a quest'uomo, farò bombardare il vostro villaggio dai cannoni inglesi, parola
di James Moreland.
- Bene, bene, - disse il governatore, sempre ridendo. - Soltanto
rimarrete nostri prigionieri per diritto di guerra. Ah! Signori pirati,
pagherete il carbone che il governo inglese ha affidato a noi e nuovamente le
bestie. Non si prende a gabbo un uomo par mio.
- Sia, lo vedremo, - disse sir Moreland. - Intanto segnalate alla
nave da guerra, se è ancora in vista dell'isola, che avete delle comunicazioni
importanti da fare.
- Pare che abbiate molta fretta di farvi appiccare, - rispose il
governatore. - Farò il possibile per accontentarvi.
Si volse verso i suoi sudditi che avevano assistito al colloquio
appoggiati ai loro moschetti, dicendo loro:
- Ve li affido e badate che non vi fuggano. Ci sarà un premio da
guadagnare oltre la riconoscenza del governo inglese. Nel magazzino e chiudete
bene.
- Andiamo, - disse il capo, spingendo ruvidamente Yanez verso la
porta. - La commedia è finita per ora.
L'anglo-indiano, il portoghese e Darma si lasciarono condurre via,
senza tentare alcuna resistenza che sarebbe stata d'altronde inutile e
pericolosa con quegli uomini rudi e brutali, e attraversata nuovamente la
piazza, vennero introdotti in una massiccia costruzione di pietra che doveva
servire di magazzino alla piccola colonia.
Era uno stanzone lungo una cinquantina di metri quasi vuoto in
quel momento, perchè non si vedevano che dei mucchi di pesce secco e dei barili
contenenti forse dell'olio o della grassa, col tetto sostenuto da pilastri di
pietra tenera estratta dalle colline dell'isola.
- Avete fame? - chiese il capo.
- Non mi spiacerebbe mangiare un boccone prima di venire
appiccato, - disse Yanez, beffardemente.
- A più tardi. Vi avverto intanto che al primo tentativo di fuga
faremo fuoco contro di voi.
Ciò detto rinchiusero la porta, sprangandola al di fuori.
Sir Moreland, Yanez e Darma, meno spaventati di quanto si potrebbe
supporre, si guardarono l'un l'altro, quasi sorridendo.
- Che ne dite di quest'avventura, sir Moreland? - chiese
finalmente la giovane.
- Che se la nave inglese incrocia veramente nelle acque dell'isola
finirà presto, - rispose il capitano.
- Per voi, ma non per noi.
- E perchè miss?
- Quando i vostri apprenderanno che noi siamo corsari non ci
appiccheranno?
- O per lo meno ci condurranno a Labuan per essere giudicati, -
disse Yanez. - Ciò farebbe certo piacere a quel governatore che ha dei vecchi
rancori contro di me.
- Cercherò di evitare che ciò possa succedere, - rispose il
capitano. - Sarebbe pericoloso, specialmente pel signor de Gomera.
- Vi metteremo in un grave imbarazzo, sir Moreland, - disse Darma.
- Non lo credo, miss. E poi chi mi dice che il comandante di
quella nave non sia un mio amico? In tal caso c'intenderemo facilmente. Il signor
de Gomera si è comportato verso di me come un gentiluomo ed io non sarò da meno
verso di lui.
- Vi siete dimenticato l'avventura notturna a Redjang?
- Astuzie di guerra, miss, e non ho serbato ràncore nè a voi, nè
ai vostri protettori.
- Siete troppo buono, sir Moreland.
- Non sono nè migliore, nè peggiore degli altri. Ah!
Un colpo di cannone era improvvisamente rimbombato al di fuori,
facendo tremare le pareti del magazzino.
- Una nave da guerra! - esclamò l'anglo-indiano.
- È il Re del Mare o quella che attendono gli isolani? - si chiese
Yanez.
- Lo sapremo presto.
Entrambi si erano slanciati verso la porta, percuotendola a calci
e gridando:
- Aprite! Vogliamo vedere gli inglesi a sbarcare!
- Silenzio! - tuonò una voce minacciosa. - Se sforzate la porta
faccio fuoco!
10. Il ritorno del Re del Mare
Assordanti clamori e vari colpi di moschetto avevano risposto al
rimbombo del pezzo d'artiglieria. Non erano però grida di guerra, anzi di
gioia, segno evidente che non si trattava del Re del Mare, bensì della nave
inglese attesa.
Yanez e sir Moreland, tranquillizzati dalla minaccia della
sentinella, avevano cercato di arrampicarsi fino al tetto dove si vedeva uno
spiraglio; però avevano dovuto rinunciare in causa dell'altezza della parete.
- Bah! - disse l'anglo-indiano. - Sarà un'attesa di pochi minuti.
- Che sia una nave appartenente alla flottiglia di Labuan? -
chiese Yanez.
- Lo suppongo. Pare che i miei compatriotti siano sbarcati; non
udite questi urrah?
- Sì, la popolazione li saluta.
- Fra poco la commedia si tramuterà in farsa, con gran stupore di
quello stupido di governatore che si è ostinato a non credermi un capitano
autentico.
Le grida si avvicinano, i miei compatriotti vengono a liberarci.
- Gli isolani supporranno invece che vengano per appenderci, -
disse Darma.
- Sono capaci di aver preparate le corde, - disse Yanez,
scherzando.
Un rumore di voci si era udito verso la porta. Un momento dopo le
traverse cadevano al suolo e uno sprazzo di luce invadeva il magazzino. Il
governatore era comparso sulla soglia, assieme ad un uomo giovane ancora, con
lunga barba bionda e gli occhi azzurri e che indossava la divisa di tenente di
marina.
Dietro di loro si vedeva un drappello di marinai armati da guerra,
baionette innestate, circondati da numerosi isolani.
- Ecco i pirati! - aveva gridato il vecchio, indicando i
prigionieri. - Meritano dieci braccia di corda e bene insaponata. Arrestateli!
Con suo immenso stupore il tenente, invece di far avanzare i suoi marinai,
si era precipitato verso sir Moreland colle braccia aperte, gridando:
- Comandante! Possibile! Voi vivo ancora! Sogno io?
- No, mio caro Leyland! - esclamò sir Moreland. - Sono
precisamente io, in carne ed ossa. Abbracciatemi, amico mio!
Mentre il tenente e il capitano si precipitavano l'uno contro
l'altro, il governatore, completamente scombussolato da quell'inatteso colpo di
scena, si grattava furiosamente la testa, ripetendo:
- Ma se è un alleato dei pirati! Guardatelo, guardatelo bene,
signor tenente! Inganna anche voi!
Il tenente, senza badare alle proteste del vecchio, nè alle
imprecazioni e alle grida di stupore degli isolani, aveva chiesto:
- Come mai vi trovate qui, capitano, mentre vi si credeva
affondato assieme alla vostra nave? Qui, a così tanta distanza da Sarawak?
- Non ve lo avevano detto i marinai lasciati liberi dal corsaro?
- Sì, ma nessuno aveva prestato fede alle loro parole.
- Signor Leyland, che cosa siete venuto a cercare qui?
- Il corsaro.
- Siete giunto troppo tardi e poi non vi consiglierei di misurarvi
con quella nave! Ci vuole ben altro che un incrociatore! Volete un consiglio da
vero amico? Prendete subito il largo ed evitate d'incontrarvi col Re del Mare
delle tigri di Mompracem. Andiamo a bordo e vi racconterò poi tutto, ma
lasciate prima che vi presenti due amici: miss Darma Praat e suo fratello.
Il governatore, vedendo il tenente a porgere la mano al
portoghese, scoppiò come una bomba.
- Vi mistificano! - urlò. - Ecco il pirata che ci ha derubati!
Appiccatelo!
- Silenzio, vecchia cornacchia, - disse sir Moreland. - Sono
affari che non vi riguardano, giacchè il carbone non era di vostra proprietà.
- E le nostre bestie?
- Fate incassare la tratta a Pontianak, - disse Yanez,
ironicamente.
- Che istoria è questa, capitano? - chiese il tenente.
- A più tardi maggiori spiegazioni, - rispose sir Moreland. - Fate
proteggere questa miss e suo fratello dai vostri marinai.
- Appiccateli! - urlava il governatore, inferocito. - Sono tutti
pirati!
- Silenzio! - tuonò il tenente impazientito. - Se questi signori,
come voi affermate, sono dei pirati, il consiglio di guerra li giudicherà.
Marinai, formate il quadrato ed a bordo subito.
- Signor tenente! - gridò il vecchio.
- Basta, ho capito, saranno giudicati. Avanti, in linea serrata.
I marinai, una trentina in tutti, splendidamente equipaggiati,
chiusero le loro file attorno a sir Moreland, a Yanez ed alla giovane e scesero
verso la spiaggia, seguiti dal governatore e dalla popolazione la quale
commentava, poco favorevolmente, la condotta del tenente, credendo in buona
fede che volesse proteggere dei volgari pirati.
Nel piccolo bacino vi erano tre scialuppe e fuori, un bellissimo
incrociatore di piccole dimensioni, tutto dipinto in nero, che navigava fra i
due promontori, tenendosi sotto vapore.
Il capitano, il tenente, Yanez e Darma s'imbarcarono sulla più
grossa scialuppa assieme a dieci marinai, mentre gli altri prendevano posto
nelle altre due.
Con pochi colpi di remo le scialuppe attraversarono la distanza,
abbordando la scala di tribordo che era rimasta abbassata.
- Capitano, - disse il tenente, quando sir Moreland giunse in
coperta, salutato dagli hurrà strepitosi dell'equipaggio, - la mia nave è tutta
a vostra disposizione.
- Non chiedo che una cabina per me e una per ciascuno dei miei
compagni. Giudicherete voi, comandante della nave, se potrete trattarli come
prigionieri di guerra, dopo però che mi avrete ascoltato. Miss Darma, signor de
Gomera, attendetemi.
Mentre la nave riprendeva il largo, il capitano ed il tenente scesero
nel quadro dove ebbero un lungo colloquio.
Quando risalirono, sir Moreland era sorridente e pareva molto
lieto.
- Miss, signor de Gomera, - disse accostandosi a loro, - voi non
verrete ricondotti a Labuan, perchè la nave deve recarsi a Sarawak senza
indugio.
- Dove verremo consegnati al rajah, - disse Yanez.
- È tutto quello che noi possiamo fare, quantunque io avessi
desiderato ben altro, - disse il capitano con un sospiro.
- E che cosa, sir Moreland? - chiese Darma.
L'anglo-indiano scosse il capo senza rispondere, poi offrendo il
braccio alla giovane e conducendola verso la poppa, le disse con certa
agitazione.
- Vorrei strapparvi una promessa, miss.
- Quale, sir Moreland? - chiese Darma.
- Di non imbarcarvi più sul Re del Mare.
- Se sono prigioniera?
- Il rajah vi rimetterà subito in libertà.
- È impossibile, Sir: colà vi è mio padre ed egli non lascerà il
Re del Mare. La sua sorte è unita a quella degli ultimi pirati di Mompracem.
- Pensate che io un giorno mi troverò nuovamente dinanzi alla nave
di Sandokan e che forse toccherà a me colarla a fondo e dare anche a voi la
morte, io che darei invece tutto il mio sangue per voi. Che cosa rispondete,
miss Darma.
- Lasciate tutto al destino, sir Moreland, - rispose la giovane.
- Eppure mi amate.
Darma lo guardò, senza rispondere; i suoi occhi erano umidi.
- Ditemelo, Darma.
- Sì, - mormorò ella, con una voce così lieve che parve un soffio.
- Mi giurate di non dimenticarmi?
- Ve lo giuro.
- Ho fede nel nostro destino, Darma.
- Ed io temo invece che sarà fatale ad entrambi. Il nostro affetto
è nato sotto una cattiva stella, sir Moreland, lo sento, - disse la giovane con
voce triste.
- Non parlate così, miss Darma.
- Che volete, sir Moreland, vedo buio nel nostro avvenire. Mi pare
che una catastrofe non lontana minacci noi due. Questa guerra sarà fatale anche
a noi.
- Voi potrete evitare questo pericolo, Darma. Esso sta nascosto
negli abissi dell'Atlantico.
- Ed in quale modo?
- Abbandonando il Re del Mare al suo destino, ve lo dissi già.
- No, sir
Moreland. Finchè
sventolerà la bandiera delle tigri di Mompracem, Darma, la protetta di Sandokan
e Yanez, non lascerà la nave.
- E non sapete dunque che essi sono destinati a perire tutti? Le migliori
e le più possenti navi della marina inglese fra poco piomberanno su questi mari
e spazzeranno via il corsaro. Fuggirà, vincerà forse altre battaglie, eppure
presto o tardi dovrà soccombere sotto le nostre artiglierie.
- Ve lo dissi ancora: noi sapremo morire da valorosi, al grido di:
Viva Mompracem!
- Bella e coraggiosa, come una vera eroina! - esclamò sir
Moreland, guardandola con ammira rione. - Ed il fiotto di sangue sarà fatale a
tutti!...
Yanez si era in quel momento accostato con precipitazione.
- sir Moreland! - esclamò. - Una nave a vapore corre su di noi. È
stata già segnalata dal comandante.
- Che sia il Re del Mare! - esclamò Darma.
- Si sospetta che sia una nave da guerra. Guardate: i marinai si
preparano al combattimento.
La fronte di sir Moreland si era oscurata, mentre un rapido
pallore si era diffuso sul suo viso.
- Il Re del Mare, - mormorò con voce sorda. - Esso viene a
spezzare la mia felicità.
Il tenente lo aveva raggiunto, tenendo in mano un cannocchiale.
- Sir James, - disse. - Una nave e molto grossa, se non m'inganno,
punta su di noi.
- Che sia una delle nostre? - chiese il capitano.
- No, perchè viene dal nord-est, mentre la nostra squadriglia si è
diretta verso Sarawak colla speranza di trovare il corsaro in quella direzione.
Un punto nero, che ingrandiva rapidamente, sormontato da due nere
colonne di fumo, era apparso all'orizzonte e pareva che si dirigesse verso il
gruppo di Mangalum, muovendo a grande velocità.
Sir Moreland aveva puntato il cannocchiale e guardava con estrema
attenzione.
Ad un tratto l'istrumento gli sfuggì dalle mani:
- Il Re del Mare! - esclamò con voce rauca, mentre gettava su
Darma uno sguardo ripieno di tristezza.
- Sandokan! - esclamò Yanez. - Nemmeno questa volta mi
appiccheranno!
- È il corsaro? - chiese il tenente.
- Sì, - rispose sir Moreland.
- Daremo battaglia e l'affonderemo, - disse il tenente.
- Volete farvi colare a picco? Fra pochi minuti nave e uomini
saranno in fondo al mar della Sonda. Ci vuole ben altro, che un incrociatore di
terza classe per affrontare quella nave, la più moderna, la più rapida e la più
formidabile di quante ve ne siano.
- Eppure non mi lascerò catturare senza combattimento, - rispose
il tenente.
- Non lo vorrei nemmeno io, amico; credo però che noi lo
eviteremo. Le conseguenze sarebbero per noi disastrose.
- In quale modo?
- Fate calare in acqua una scialuppa e lasciate che io vada prima
a parlamentare colla Tigre della Malesia. Voi perderete i due prigionieri, io
perderò molto di più, ve lo giuro, ma voi salverete la vostra nave e il vostro
equipaggio.
- Vi obbedisco, Sir James.
Mentre i marinai calavano una baleniera, il Re del Mare che
avanzava con una velocità di dodici nodi all'ora, piombava sull'incrociatore.
Le sue possenti artiglierie delle torri di prora, erano già state
puntate e si preparavano a coprire di fuoco e d'acciaio il minuscolo nemico ed
a colarlo a fondo alla prima bordata.
Il lungo nastro rosso, segno di combattimento, era salito sventolando
sull'albero di prora, mentre la bandiera rossa di Mompracem, adorna d'una testa
di tigre veniva innalzata su quella di poppa.
Sandokan, vedendo l'incrociatore inglese arrestarsi, issare
bandiera bianca e calare in mare una scialuppa, aveva ordinato macchina
indietro, fermandosi a milleduecento metri dall'avversario.
- Pare che l'inglese non si senta abbastanza forte per misurarsi
con noi, - aveva detto a Tremal-Naik che lo aveva raggiunto nella torretta. -
Che voglia arrendersi? Non saprei cosa farne di quella nave.
- Le prenderemo le artiglierie e le munizioni, oltre il carbone, -
rispose l'indiano. - Potranno servire ai nostri amici dayaki di Sarawak.
- Sì, eppure mi spiacerebbe perdere altro tempo, - disse la Tigre
della Malesia. - Dobbiamo cercare Yanez e Darma.
- Speri di trovarli ancora sullo scoglio? - chiese Tremal-Naik con
angoscia.
- Non ne dubito. Io li ho veduti approdare, prima che le tenebre
coprissero quell'isolotto. Oh! Un capitano nella baleniera! Che venga a
offrirci la sua spada? Avrei preferito un combattimento, giacchè sento una
smania furiosa di tutto distruggere.
- Tigre della Malesia, - disse in quel momento Sambigliong, il
quale aveva puntato un cannocchiale sulla scialuppa. - È mai possibile! Che io
mi inganni o che sia realmente lui! Guardate! Guardate!
- Che cosa hai veduto?
- È lui, vi dico, è lui!
- Chi lui?
- sir Moreland.
- Moreland! - esclamò Sandokan, prima impallidendo e poi
arrossendo, mentre un lampo di speranza gli balenava negli sguardi. - Moreland
a bordo di quel legno! Allora Yanez... Darma... Come possono trovarsi su quella
nave? È impossibile, ti sei ingannato, Sambigliong.
- No, guardate, ci ha scorti e ci saluta agitando il berretto.
Sandokan si era slanciato fuori dalla torretta.
Un grido di gioia gli sfuggì.
- Sì, è lui, sir Moreland!...
La baleniera, sotto la spinta di dodici remi, s'avanzava
rapidissima.
L'anglo-indiano, in piedi a poppa, salutava ora col berretto,
senza abbandonare la barra del timone.
- Abbassate la scala! - gridò Sandokan.
L'ordine era stato appena eseguito che la baleniera abbordava. Sir
Moreland salì rapidamente a bordo, dicendogli con una certa freddezza:
- Sono lieto di rivedervi, signore, e di potervi dare una notizia
che gradirete assai.
- Yanez... Darma?... - gridarono ad una voce Sandokan e
Tremal-Naik.
- Sono a bordo di quella nave.
- Perchè non li avete condotti qui? - chiese Sandokan aggrottando
la fronte.
L'anglo-indiano che era diventato estremamente serio e che parlava
con voce quasi imperiosa, rispose:
- Vengo per intavolare delle trattative, signore.
- Che cosa volete dire?
- Che il comandante vi consegnerà il signor Yanez e miss Darma a
condizione che voi lasciate tranquilla quella nave, che come ben vedete non
sarebbe in grado di misurarsi con la vostra.
Sandokan ebbe un istante di esitazione, poi rispose:
- Sia pure, sir Moreland. Saprò ritrovarla più tardi.
- Fate abbassare la bandiera di combattimento. Il comandante
comprenderà che voi avete accettato la sua proposta e vi manderà subito i
prigionieri.
Sandokan fece un segno a Sambigliong e pochi istanti dopo il
nastro rosso veniva fatto scendere in coperta. Quasi nel medesimo istante una
seconda scialuppa si staccava dal fianco del piccolo incrociatore: vi erano
sopra Darma e Yanez.
- sir Moreland, - disse Sandokan, - dove vi ha raccolti quella
nave?
- A Mangalum, - rispose l'anglo-indiano, senza levare gli occhi
dalla scialuppa che s'accostava rapidissima.
- Vi eravate salvati sullo scoglio?
- Sì, - rispose il capitano, che pareva avesse perduta la sua abituale
cordialità e che fosse in preda a delle profonde preoccupazioni.
La seconda scialuppa era giunta. Yanez e Darma avevano salito
precipitosamente la scala, cadendo l'uno nelle braccia di Sandokan e la seconda
in quelle di suo padre.
Sir Moreland, pallidissimo, guardava con occhio triste quella
scena. Quando si furono separati, si volse verso Sandokan, chiedendogli:
- Ed ora mi tratterrete ancora prigioniero?
La Tigre della Malesia stava per rispondere, quando Yanez lo
prevenne.
- No, sir Moreland, voi siete libero. Tornate a bordo
dell'incrociatore.
Sandokan non aveva nascosto un gesto di stupore. Probabilmente non
era quella la risposta che intendeva dare all'anglo-indiano, nondimeno non
replicò.
- Signori, - disse allora l'anglo-indiano con voce grave, fissando
bene in viso Sandokan e Yanez, - spero di rivedervi presto, ma allora saremo
terribili nemici.
- Vi aspettiamo, - rispose freddamente Sandokan.
S'accostò a Darma e le tese la mano, dicendole con accento triste:
- Che Brahma, Siva e Visnù vi proteggano, miss.
La fanciulla che appariva profondamente commossa, strinse la mano
senza parlare. Pareva che avesse un nodo alla gola.
L'anglo-indiano finse di non vedere le mani che Yanez, Sandokan e
Tremal-Naik gli porgevano, salutò militarmente e scese rapidamente la scala
senza volgersi indietro.
Quando però la scialuppa che lo conduceva verso il piccolo
incrociatore passò dinanzi la prora del Re del Mare alzò la testa e vedendo
Darma e Surama sul castello, le salutò col fazzoletto.
- Yanez, - disse Sandokan, traendo da parte il portoghese. -
Perchè lo hai lasciato andare? Egli poteva diventare un ostaggio prezioso.
- Ed un pericolo per Darma, - rispose Yanez. - Essi si amano.
- Me n'ero accorto. È un bel giovane e valoroso, ha sangue
anglo-indiano nelle vene al pari di Darma... chissà? Dopo la campagna.
Stette un momento come immerso in un profondo pensiero, poi
riprese:
- Cominciamo le ostilità: gettiamoci sulle vie di navigazione e
cerchiamo, finchè le squadre ci cercano nelle acque di Sarawak, di fare il
maggior male possibile ai nostri avversari.
11. La crociera del Re del Mare
Quarant'otto ore dopo, il Re del Mare, che aveva presa la
direzione di ponente per aspettare al varco le navi provenienti dall'India e dalle
grandi isole di Giava e di Sumatra, dirette nei mari della Cina e del Giappone,
a centocinquanta miglia dal gruppo di Burguram avvistava un pennacchio di fumo.
- Nave a vapore! - aveva segnalato Kammamuri, che era di guardia
sulle coffe del trinchetto.
Sandokan che stava pranzando coi suoi amici e coll'ingegnere di
macchina, si era affrettato a salire sul ponte, dopo aver lanciato il comando:
- Ravvivate i fuochi! Ai pezzi gli artiglieri delle torrette!
L'intero equipaggio era pure salito in coperta, non esclusa la
guardia franca, nessuno potendo prevedere con quale nave il Re del Mare stava
per incontrarsi.
Trovandosi l'incrociatore ancora a così breve distanza dalle coste
del Borneo, poteva darsi il caso che si trovasse improvvisamente di fronte a qualche
nave da guerra in rotta per Labuan o per Sarawak.
La Tigre della Malesia, armato d'un potente cannocchiale, scrutava
attentamente il mare. Pel momento non si vedeva che una colonna di fumo
spiccare sul luminoso orizzonte, ma la nave non doveva tardare a comparire, ora
che il Re del Mare le muoveva incontro con una velocità di dodici nodi e sei
decimi.
- Ebbene, Sandokan? - chiese Tremal-Naik che lo aveva raggiunto.
- Un po' di pazienza, mio caro, - rispose il formidabile pirata.
- E se quella nave non fosse inglese?
- Si saluta e la si lascia andare non volendo noi metterci in
guerra col mondo intero.
- La vedi?
- Comincio a discernerla e mi pare che sia un piroscafo
mercantile, giacchè non vedo il lungo nastro rosso delle navi da guerra. La sua
alberatura già spunta sull'orizzonte. Basterà un colpo in bianco per fermarla.
Fa' preparare da Sambigliong quattro scialuppe con qualche mitragliera e armare
sessanta uomini.
- L'abborderemo? - chiese Kammamuri.
- Sì, se sarà inglese, come mi sembra. La nostra crociera comincia
bene, più di quanto speravo e non sono che pochi giorni che abbiamo cominciate
le ostilità.
La distanza spariva rapidamente, continuando il Re del Mare ad
aumentare la sua velocità, onde tenersi pronto ad impedire la fuga al piroscafo
che pareva essere un buon camminatore. Gli uomini in vedetta sulla piattaforma
avevano già riconosciuta la bandiera spiegata sull'asta di poppa ed un immenso
grido aveva salutata quella notizia.
- Non mi ero ingannato, - disse Sandokan. - Quella è inglese.
Ispezionò rapidamente le scialuppe, che erano già state calate
fino ai sabordi ed i sessanta uomini che dovevano occuparle, quasi tutti
malesi; poi fece dirigere l'incrociatore sul piroscafo, in modo da tagliargli
la via.
Quella nave che doveva provenire probabilmente dai porti
dell'India, era un grosso piroscafo di duemila o forse più tonnellate, a due
alberi e due ciminiere. Sulla sua tolda si vedevano numerose persone affollate
alle murate, attratte dalla presenza di quel legno da guerra che correva velocemente
incontro a loro. A mille metri, Sandokan fece spiegare all'albero di mezzana la
sua bandiera, poi sparare un colpo in bianco, che significava:
- Fermatevi!
Una subitanea confusione si era manifestata a bordo del piroscafo
a quella inaspettata intimazione. Si vedevano marinai e passeggeri precipitarsi
verso la prora, fra assordanti clamori che giungevano distintamente fino sul
legno corsaro.
Certo la vista di quella bandiera, già conosciuta nei mari della
Malesia, doveva aver prodotto una profonda impressione fra tutti, tanto più che
il Re del Mare aveva continuata la sua corsa come se avesse voluto speronare la
povera nave.
Per alcuni minuti fu visto il piroscafo virare ora a babordo ed
ora a tribordo, come se fosse irresoluto sulla via da prendere e sul da farsi,
ma una palla lanciata da uno dei pezzi da caccia e che passò sul suo ponte con
rombo minaccioso, lo decise a fermarsi.
- Macchina indietro! - aveva comandato Sandokan. - In acqua le
scialuppe e gli uomini da sbarco a posto. A te il comando, Yanez.
Il portoghese cinse la sciabola che Sambigliong gli aveva porta,
si sospese al fianco le pistole e scese nella scialuppa più grossa assieme a
Tremal-Naik.
Il piroscafo si era fermato a ottocento metri, reputando inutile
ogni resistenza contro quel formidabile incrociatore che avrebbe potuto colarlo
a fondo con poche scariche.
Clamori assordanti si alzavano fra i passeggeri affollati sulla
tolda, credendo forse che fosse suonata la loro ultima ora.
Le quattro scialuppe, montate da sessanta uomini armati di
carabine e di kampilang, avevano preso rapidamente il largo, dirigendosi verso
il piroscafo, mentre gli artiglieri del Re del Mare puntavano due pezzi delle
torri di babordo, pronti a scatenare un uragano di fuoco e di ferro al menomo
indizio di resistenza da parte degli inglesi.
Giunte le scialuppe a trenta passi, Yanez diede imperiosamente
l'ordine ai marinai inglesi di abbassare la scala, minacciando in caso
contrario di far fuoco.
A bordo vi fu un po' di esitazione e di confusione. Alcuni marinai
erano comparsi sulle murate armate di fucili, come se avessero avuto
l'intenzione di opporre resistenza, poi le grida furiose dei passeggeri, i
quali non volevano esporsi al pericolo di venire colati a fondo dalle
formidabili artiglierie del corsaro, li avevano subito costretti a ritirarsi e
la scala era stata calata d'un colpo solo.
Yanez, seguito da Tremal-Naik, da Kammamuri e da dodici uomini, si
slanciò sulla piattaforma sguainando la sciabola.
Il comandante del piroscafo lo aspettava, circondato dai suoi
ufficiali, mentre i passeggeri, una cinquantina di persone per lo meno, si
affollavano dietro, muti e terrorizzati.
Era un bell'uomo, di statura superiore alla media, dal volto
energico ed abbronzato dal sole dei tropici, con capelli bruni e barba arricciata,
un bel tipo di marinaio, insomma.
Vedendo comparire Yanez, colla sciabola sguainata, impallidì, poi
corrugò la fronte.
- A quale onore devo la vostra visita? - chiese con voce fremente.
- Avete veduto i colori della nostra bandiera? - chiese invece il
portoghese, salutando ironicamente.
- So che i pirati di Mompracem avevano un vessillo rosso con una
testa di tigre, un tempo.
- Allora permettetemi di avvisarvi che i pirati hanno dichiarata
la guerra alla vostra nazione ed al rajah di Sarawak.
- Mi avevano assicurato che non corseggiavano più.
- Ed era vero, signor mio. Il vostro governo ha provocato le tigri
di Mompracem e quelle hanno riprese le armi.
- In conclusione, che cosa volete voi?
- Accordarvi venti minuti per imbarcarvi sulle scialuppe e colare
a fondo la vostra nave.
- È una pirateria questa!
- Chiamatela come meglio vi piace, ciò non m'interessa, - rispose
Yanez. - O obbedire o affondare: scegliete!
- Accordatemi qualche minuto onde interroghi i miei ufficiali.
- Ve ne ho concessi venti, dopo noi ci ritireremo e l'incrociatore
aprirà il fuoco, ci siate o non ci siate a bordo. Sbrigatevi, perchè abbiamo
fretta.
Il capitano che si frenava a stento, chiamò a consiglio i suoi
ufficiali, poi dette l'ordine di mettere in mare le scialuppe e di farvi
scendere innanzi a tutto i passeggeri.
- Cedo alla forza, non potendo resistervi, - disse poi a Yanez. -
Appena però noi avremo approdato a Natuna o a Banguram informerò
telegraficamente il governatore di Singapore.
- Nessuno ve lo impedirà, - rispose Yanez. - Vi faccio intanto
osservare che sono trascorsi dieci minuti e che permetto ai passeggeri e al
vostro equipaggio di portare con loro ciò che posseggono.
- E la cassa di bordo?
- Non sappiamo che cosa farne: se vi dispiace di perderla,
prendetevela.
I marinai nel frattempo avevano messo in acqua tutte le lance,
dopo d'averle fornite di viveri per parecchi giorni, di remi e di vele.
Ad un ordine del loro capitano, l'imbarco cominciò, facendo prima
scendere le donne, poi i passeggeri. Ultimi furono gli ufficiali che portavano
le carte di bordo e la cassa.
- L'Inghilterra vendicherà questo atto di pirateria, - disse il
capitano del piroscafo che appariva vivamente commosso.
Yanez salutò senza rispondere.
Quando la nave fu sgombrata, i malesi delle scialuppe salirono a
bordo, mentre la scialuppa a vapore del Re del Mare s'accostava rapidamente.
Le carboniere furono aperte e lo scarico del combustibile, molto
scarso però, dovendo il piroscafo far scalo e rinnovare le provviste a Saigon,
cominciò alacremente.
Due ore dopo i malesi lasciavano la nave. Le scialuppe montate
dall'equipaggio inglese erano ancora in vista.
- Due cannonate alla linea d'acqua, - aveva comandato Sandokan.
Poco dopo due granate sfondavano le lamiere di babordo del piroscafo,
aprendo due squarci immensi, attraverso i quali si precipitò tosto il liquido
elemento.
Quattro minuti dopo il piroscafo scompariva negli abissi del mar
della Sonda, con un frastuono orrendo, essendo le sue macchine scoppiate, ed il
Re del Mare riprendeva la crociera, allontanandosi verso il sud-ovest.
L'indomani un veliero inglese, subiva l'egual sorte, dopo d'averlo
privato d'una parte del suo carico consistente in pesce secco destinato ai
porti d'Hainau, e parecchie altre navi, a vela ed a vapore, andarono a tenergli
compagnia nei profondi baratri.
L'incrociatore batteva indisturbato le linee di navigazione,
corseggiando dalle coste del Borneo fino in vista delle isole Anaba, tagliando
la via alle navi provenienti dallo stretto di Malacca e dirette nei mari della
Cina e del Giappone.
Già oltre trenta navi erano state colate a fondo a colpi di
cannone o incendiate causando danni enormi alle compagnie di navigazione,
quando un giorno un praho bornese che era stato accostato, informò quei
formidabili distruttori che una squadra composta di parecchie navi da guerra
era stata veduta nelle acque di Natuna.
Doveva certo essere quella di Singapore, inviata a cannoneggiare
la nave corsara. Lo stesso giorno Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e l'ingegnere
Horward tennero consiglio e deliberarono di interrompere la crociera e di
muovere senza indugio su Sarawak, a cercare la Marianna che doveva attenderli
alla foce del Sedang.
Forse i dayaki, i loro antichi alleati, avevano cominciato ad
invadere il sultanato; era quindi quello il momento buono di assalire il rajah
dal lato del mare e fargli pagare cara la sua cooperazione nella conquista di
Mompracem.
Il Re del Mare quindi, che aveva le carboniere piene e anche parte
della stiva ingombra di combustibile, fece rotta verso il sud-est, desiderando
Sandokan fare prima una punta verso la sua isola, per accertarsi se gli inglesi
la tenevano ancora.
Aveva dato ordine di procedere colla massima velocità, sicchè
l'incrociatore divorava miglia e miglia. Per quarant'otto ore navigò verso le
coste bornesi, senza far cattivi incontri, quantunque tutti fossero persuasi
che una grossa squadra battesse quei mari per sorprenderli.
Verso il tramonto del secondo giorno, il Re del Mare giungeva in
vista di Mompracem, l'antico rifugio delle tigri della Malesia.
Fu con una profonda commozione che Sandokan e Yanez rividero la
loro isola, da dove per tanti anni avevano fatto tremare, coi loro prahos, il
possente leopardo inglese.
Quando raggiunsero il capo orientale, entro cui aprivasi la piccola
rada, la notte era già scesa da qualche ora, ma una luna splendida permetteva
di discernere l'alta rupe su cui un giorno sventolava orgogliosa la temuta
bandiera della Tigre della Malesia.
La casa che aveva servito d'asilo ai due capi della pirateria, non
si vedeva più. In suo luogo era stato eretto un fortino, probabilmente
poderosamente armato per impedire alle ultime tigri erranti sul mare di
riconquistare il loro covo. Anche in fondo alla rada si scorgevano confusamente
delle opere di difesa, dei bastioni e delle cinte altissime.
Sandokan, appoggiato al coronamento di poppa, collo sguardo
torbido e la fronte abbuiata, guardava la sua rupe senza parlare;
dall'espressione del suo viso si capiva però facilmente che il suo cuore doveva
in quel momento sanguinare.
Yanez che gli stava presso, gli mise una mano sulla spalla,
dicendogli:
- Un giorno noi la riconquisteremo, è vero Sandokan?
- Sì, - rispose il pirata, tendendo minacciosamente il pugno verso
l'isola. - Sì, quel giorno li cacceremo tutti in mare senza misericordia.
Volse lo sguardo verso il mare che scintillava superbamente sotto
i raggi della luna.
- Mi riprende una voglia furiosa di tutto distruggere, - disse
poi. - Rivedo sangue dinanzi ai miei occhi.
Quasi nel medesimo istante, si udirono verso la prora delle grida:
- Là! Là! Guardate!
Sandokan e Yanez si erano precipitati verso la murata di babordo
vedendo gli uomini di guardia slanciarsi attraverso la tolda:
- Dei fanali! - aveva esclamato il portoghese.
- Il sangue che cercavo! - gridò Sandokan, nel cui cuore pareva
che d'un tratto si fossero risvegliati gli antichi istinti di ferocia.
Verso levante, in direzione delle isole Romades, le cui cime si
delineavano di già, sei punti luminosi, verdi e rossi, quasi a fior d'acqua e
due bianchi in alto, apparivano distintamente.
- Sono due navi a vapore, - disse Yanez, - e scommetterei che
vengono da Labuan.
- Tanto peggio per loro, - disse Sandokan, tendendo i pugni verso
quei punti luminosi. - Pagheranno per Mompracem! Da' ordine di alimentare i fuochi.
- Che cosa vuoi fare, Sandokan? - chiese il portoghese
impressionato dal lampo sinistro che brillava negli occhi del formidabile uomo.
- Colarli con tutti quelli che li montano.
- Sandokan, non dimenticare che noi siamo corsari e non più pirati.
E poi non sappiamo ancora se quelle sono navi da guerra o mercantili e se
battono bandiera inglese.
Invece di rispondere, la Tigre della Malesia comandò di spegnere i
fanali, di far suonare il "tutti in coperta" e dirigere
l'incrociatore verso le due navi. Alle undici di sera il Re del Mare virava di
bordo a soli cinquecento metri dai due piroscafi, i quali ignari del tremendo
pericolo che li minacciava, navigavano a breve distanza l'uno dall'altro, a
piccolo vapore.
- Sembrano due trasporti, - disse Yanez. - Ascolta, Sandokan.
Dai frapponti illuminati, s'alzavano rulli di tamburi, squilli di
trombe e dei canti. Pareva che dei soldati si divertissero, approfittando della
splendida serata e della tranquillità del mare. Il vento che soffiava da
settentrione portava quei clamori fino sul ponte del Re del Mare.
- Sono soldati inglesi di Labuan che tornano in patria, - disse
Yanez. - Odi, Sandokan? Noi abbiamo udito ancora queste canzoni negli
accampamenti inglesi dell'India, durante l'assedio di Delhi.
- Sì, sono soldati, - rispose la Tigre della Malesia con strano
accento. - Ridono e salutano la patria lontana e la morte invece sta per
piombare su di loro.
- Non parlare così, amico.
- E non pensi tu, Yanez, che quegli uomini m'hanno cacciato
dall'isola, dopo d'aver fatto strage dei miei prodi?
Si era rizzato in tutta la sua altezza, col viso animato da una
collera terribile, gli occhi fiammeggianti. L'antico pirata, la formidabile
Tigre della Malesia che per tanti anni aveva bagnato di sangue quei mari, si
risvegliava.
- Sì, ridete, cantate, intrecciate danze: sono danze funebri!
Domani, ai primi albori, le vostre risa vi si geleranno sulle labbra. Troppo
presto avete dimenticato il mio piccolo popolo, soppresso e sgozzato sulle
spiagge della mia isola. Il vendicatore è qui e vi spia!
Il Re del Mare, virato di bordo, si era messo a seguire
silenziosamente le due navi, tenendosi ad una distanza di un miglio.
Ormai non potevano più sfuggire, non potendo gareggiare con un
camminatore di quella forza. Avrebbero potuto bensì poggiare verso le Romades,
che erano allora vicinissime e tentare di gettarsi verso la costa, ma anche in
tale caso non sarebbero riuscite a salvarsi.
Sandokan, curvo sulla murata, non staccava gli sguardi da loro.
Pareva calmo, eppure terribili pensieri di vendetta, di stragi, di sangue,
dovevano tormentare ancora il suo cervello.
- Chi m'impedirebbe, - disse ad un tratto, - di piombare come un
avvoltoio su di esse e mandarle fracassate a fondo, a colpi di sperone? E non
sarei nel mio diritto? Il mare custodisce bene i segreti che gli si affidano e
più nessuno saprebbe nulla!
- Non lo farai, per umanità, Sandokan, - disse Yanez.
- Umanità! Parola vuota di senso in guerra. Forse che gli inglesi
se ne sono ricordati, quando decretavano a sangue freddo la conquista della
nostra isola e l'esterminio del nostro piccolo popolo?
Che cosa rimangono oggi delle Tigri di Mompracem? Di quelle Tigri
che resero a questi inglesi un così grande servigio, liberandoli dalla infame
setta dei thugs? Per riconoscenza quegli avidi cenciaiuoli degli oceani ci
hanno carpito a tradimento la nostra isola, assalendoci di notte, dieci volte
superiori, come se noi fossimo belve feroci, e tu Yanez, parli d'umanità! Credi
tu che se domani una squadra inglese piombasse su di noi o sui nostri prahos,
ci risparmierebbe? No, ci colerebbe a fondo e ci manderebbe a dormire il sonno
eterno negli abissi del mare della Malesia.
- Noi potremmo difenderci, Sandokan, disputare la vittoria, mentre
quelle due navi nulla potrebbero opporre alle nostre formidabili artiglierie ed
al nostro sperone.
- È vero, signor Yanez, - disse una voce dietro di loro.
Sandokan si era voltato impetuosamente e si trovò dinanzi a Darma.
- Tu l'approvi, perchè...
Non compì la frase, che doveva alludere all'amore della giovane
coll'anglo-indiano.
- Che provino a difendersi anche essi, Darma, - disse poi,
cambiando tono.
- Non lo potrebbero, signor Sandokan, - ribattè la giovane. -
Forse vi sono su quelle due navi cinque o seicento poveri giovani che sospirano
il momento di rivedere la loro patria e di abbracciare i loro vecchi genitori.
Non fate piangere tante madri, voi che siete sempre stato generoso.
- Anche i miei uomini, le vecchie Tigri di Mompracem hanno pianto
la notte che venivano cacciati dalla loro isola, - disse Sandokan, con ira
repressa. - Piangano dunque le loro donne dell'Inghilterra.
Sandokan si era staccato dalla murata volgendosi verso le due
torri di poppa dalle cui feritoie uscivano le estremità dei due grossi pezzi da
caccia, minacciami l'orizzonte. Stava per aprire la bocca e far scatenare quei
due mostri di bronzo, quando Darma posò la sua mano sulla bocca del formidabile
pirata:
- Che cosa state per comandare, mio generoso protettore? - chiese
l'anglo-indiana.
- Il segnale della strage. Io voglio mutare quei canti giocondi in
un immenso urlo d'angoscia e di morte. Il mare apra i suoi baratri e inghiotta
i conquistatori della mia isola.
- Non lo farete, signor Sandokan, - rispose Darma, con voce ferma.
- Pensate che un giorno potreste venire assalito da forze superiori e vinto.
Chi di noi risparmierebbero i vincitori?
- Mentre tu non devi dimenticarti, Sandokan, - aggiunse Yanez con
voce grave, - che noi a bordo abbiamo due fanciulle, Surama, la prima donna che
io abbia amata e questa fanciulla che per salvarla noi abbiamo intrapresa una
guerra contro ai thugs e compiuti mille prodigi. Nemmeno esse sfuggirebbero
alla rabbia dei vincitori. Vorresti tu, con questo atto inumano, renderle
nostre complici?
- La Tigre della Malesia aveva incrociate le braccia, guardando
ora Darma ed ora Surama, che s'avanzava lentamente in quel momento, scendendo
dal ponte di comando. Il lampo terribile che poco prima gli balenava negli
occhi, a poco a poco si spegneva.
Ad un tratto tese la mano a Yanez, senza parlare, scosse due o tre
volte il capo, poi si mise a passeggiare, fermandosi di quando in quando a
guardare le navi che continuavano la loro rotta, passando al largo delle
Romades.
Il Re del Mare le seguiva sempre, mantenendo la distanza.
La notte trascorse senza che Sandokan avesse preso un momento di
riposo. Aveva continuato a passeggiare in coperta, fra le torri, senza mai
aprire bocca.
Quando però i primi albori cominciarono a diffondersi pel cielo,
fece accelerare la marcia dell'incrociatore, comandando agli artiglieri di
prendere i loro posti di combattimento.
Con una rapida manovra si portò a poche gomene dalle due navi e
fece issare la sua bandiera, appoggiandola con un colpo in bianco.
Urla acutissime si erano alzate dai due trasporti, i cui ponti si
erano gremiti di soldati, pallidi di terrore.
- Mettetevi in panna e arrendetevi a discrezione o vi affondo, -
aveva fatto segnalare Sandokan. Nel medesimo tempo aveva fatto puntare le
artiglierie sulle due navi, pronto a far eseguire alla lettera la minaccia.
I due trasporti, che si vedevano nell'impossibilità di opporre
qualsiasi resistenza, non possedendo che delle artiglierie leggere, affatto
innocue pei poderosi fianchi del corsaro, avevano subito obbedito, abbassando
le bandiere.
Sulle loro coperte regnava una confusione indescrivibile. I
soldati, tre o quattrocento, credendo che l'incrociatore si preparasse ad
affondarli, correvano all'impazzata pei ponti, affollandosi intorno alle
scialuppe.
- Vi accordo due ore per sgombrare le navi, - aveva segnalato
ancora il Re del Mare. - Dopo questo tempo aprirò il fuoco. Obbedite!...
Le isole Romades non erano lontane che due chilometri, mostrando
le loro coste assolutamente deserte, con pochi alberi e fiancheggiate da
numerosi banchi di sabbia e da scogliere.
I comandanti delle due navi, dopo un breve consiglio, avevano
risposto:
- Cediamo alla forza, per risparmiare un inutile massacro.
Subito tutte le scialuppe disponibili erano state messe in acqua,
cariche di soldati fino quasi al punto di affondare, perchè tutti vi si
affollavano, per tema che il corsaro aprisse il fuoco.
Vedendo che alcuni portavano dei fucili, Sandokan, sempre
inesorabile, aveva segnalato di gettarli in acqua o di ritornarli a bordo,
minacciando, in caso contrario, di spazzar via le imbarcazioni.
Mentre si effettuava lo sbarco, fra grida, imprecazioni, minacce e
dispute, il Re del Mare girava lentamente intorno alle due navi, colle
artiglierie sempre puntate.
- Che cosa ne farai, dopo, di quei trasporti? - aveva chiesto
Yanez.
- Li affonderemo, - aveva risposto freddamente Sandokan. - Il mare
è pronto a ricevere anche questi.
- Che peccato non poterli rimorchiare in qualche porto!
- E dove? Non vi è alcun rifugio amico per le ultime tigri di
Mompracem. Si direbbe che tutti gli stati del Borneo, dopo d'averci ammirati,
hanno paura del leopardo inglese, - disse Sandokan con profonda amarezza.
- Non importa, ne faremo a meno e affideremo le prede al mare.
Questo almeno non le rende più.
- Quanti tesori perduti inutilmente! - disse Darma.
- Così è la guerra, - rispose Sandokan, asciuttamente. - Yanez,
ordina di mettere in acqua le scialuppe e di aprire i depositi del carbone. Il Re
del Mare avrà una buona provvista di combustibile.
I soldati, le cui imbarcazioni avevano fatti già parecchi viaggi,
si erano quasi tutti accampati sulla spiaggia più prossima, pronti a rifugiarsi
nei boschi in caso di pericolo. Yanez fece imbarcare cinquanta uomini, bene
armati e comandati da due quartiermastri, li mandò a occupare i due trasporti,
prima che anche gli equipaggi li abbandonassero, onde evitare un tradimento.
Polvere a bordo ve ne doveva essere ed i comandanti inglesi
potevano, prima di andarsene, collocare delle micce accese nella santabarbara e
mandare all'aria i due trasporti ed insieme a loro i depositi di carbone che
tanto premevano alle tigri di Mompracem.
Partito l'ultimo inglese, un altro drappello di malesi al comando
di Kammamuri si recò a bordo delle due navi, per procedere allo scarico del
combustibile e delle munizioni da guerra.
I soldati, dalla spiaggia, guardavano con ansietà le manovre dei
pirati, stupiti di non vederli prendere a rimorchio i due legni, come avevano
dapprima sospettato.
Tutto il giorno gli uomini di Sandokan lavorarono febbrilmente
vuotando i pozzi ben forniti di combustibile.
Verso sera novecento tonnellate di carbone giacevano nei depositi
del Re del Mare. I malesi ed i dayaki cadevano pel sonno e per la fatica
eccessiva, ma ormai i pozzi dei due trasporti erano quasi vuoti.
- Ed ora, - disse Sandokan, - prendi, mare, le prede che ti offro.
Quando anche noi coleremo a fondo, sii clemente.
Prima di abbandonare le due navi, i malesi avevano accese delle
miccie presso i barili di polvere lasciati nelle santebarbare.
Sandokan, Yanez e Tremal-Naik si erano appoggiati alla murata
poppiera, guardando tranquillamente i due trasporti. Dinanzi, sul bastingaggio,
avevano collocato un cronometro.
- Tre minuti, - disse ad un tratto Sandokan volgendosi verso i
suoi compagni. - Ecco la fine!
Un momento dopo una formidabile esplosione rimbombava sul mare,
seguìta a breve distanza da un'altra non meno assordante. Le due navi,
squarciate dallo scoppio, affondavano rapidamente fra le urla furiose dei
soldati e degli equipaggi, che si trovavano sulle coste dell'isola.
- Ecco la guerra, - disse Sandokan, con un sorriso sarcastico. -
L'hanno voluta? Paghino!... E questo non è che un principio del dramma!
Quindi, volgendosi verso Yanez, aggiunse:
- Andiamo a Sarawak ora: quel golfo sarà il campo delle nostre
future imprese e le prede laggiù saranno più abbondanti, che qui: lo vedrai.
Il Re del Mare abbandonava rapidamente i paraggi delle Romades,
prendendo la corsa verso il sud. Colle carboniere piene, ed un sopraccarico di
combustibile nella stiva, poteva sfidare alla corsa tutte le navi che gli
alleati dovevano aver radunate nelle acque di Sarawak.
Il poderoso incrociatore che divorava miglia su miglia, due giorni
dopo avvistava già il capo Tanjong-Datu, passando dinanzi alla medesima rada
dove erasi rifugiata la Marianna. Nulla avendo incontrato in quei paraggi,
riprese senza indugio la corsa verso il sudest, per raggiungere la foce del
Sedang.
Sandokan voleva innanzi a tutto accertarsi se l'equipaggio della
sua piccola nave era riuscito nella missione affidatagli, ossia di armare e di
sollevare i suoi vecchi alleati, i dayaki dell'interno, che lo avevano così
vigorosamente aiutato contro James Brooke, il famoso sterminatore dei pirati.
Quarant'otto ore dopo, il Re del Mare, che non aveva rallentata la
sua velocità, avvistava il monte Matang, un picco colossale che si erge presso
la costa di ponente dell'ampia baia di Sarawak e che lancia la sua vetta
verdeggiante a duemila novecento e settanta piedi, e l'indomani navigava
dinanzi alla foce del fiume che bagna la capitale del rajah.
Era il momento di aprire per bene gli occhi, poichè da un istante
all'altro delle navi inglesi o del rajah di Sarawak potevano mostrarsi.
Certo la comparsa del corsaro doveva essere stata segnalata alle
autorità di Sarawak ed i migliori incrociatori dovevano aver preso il largo,
onde proteggere da un improvviso assalto le navi che lasciavano il fiume,
dirette a Labuan o a Singapore, che potevano venire facilmente catturate o
affondate dagli audaci pirati di Mompracem.
Perciò una rigorosa sorveglianza era stata ordinata a bordo
dell'incrociatore. Giorno e notte dei gabbieri si tenevano costantemente sulle
piattaforme superiori, muniti di cannocchiali di lunga portata, pronti a dare
l'allarme nel caso che qualche colonna di fumo apparisse all'orizzonte.
Sandokan e Yanez, per maggiore precauzione, avevano anche
comandato che dopo il calar del sole più nessun lume si accendesse a bordo,
nemmeno nelle cabine che avevano le finestre sui bordi esterni, e nemmeno i
fanali regolamentari. Volevano passare dinanzi la foce del Sarawak inosservati,
per non farsi inseguire sulle coste orientali e compiere le loro operazioni
senza venire disturbati.
Sentivano per istinto che li cercavano e che navi inglesi e del
rajah dovevano scorazzare quei paraggi. Chissà, forse avevano indovinato le
loro intenzioni o peggio ancora, qualcuno poteva averli informati dei loro
progetti. Ed infatti, contrariamente alle loro abitudini, i due ex pirati
apparivano assai preoccupati. Si vedevano passeggiare per delle ore intere sul
ponte, colla fronte increspata, poi arrestarsi per interrogare, con una certa
ansietà, l'orizzonte. Specialmente di notte abbandonavano di rado la coperta,
accontentandosi di riposare solo poche ore dopo il levar del sole.
- Sandokan, - disse Tremal-Naik, quando già il Re del Mare aveva
oltrepassata la seconda bocca del Sarawak di qualche dozzina di miglia, - mi
sembri molto inquieto.
- Sì, - rispose la Tigre della Malesia, - non te lo nascondo, mio
caro amico.
- Temi qualche incontro?
- Io sono certo di essere seguìto o preceduto, e un marinaio
difficilmente s'inganna. Si direbbe che io senta odor di fumo e di fumo di
carbon fossile.
- E da chi? Da squadre inglesi o da quelle del rajah?
- Di quelle del rajah non mi occupo troppo, perchè l'unica nave
che poteva misurarsi colla mia, ora giace sventrata in fondo al mare.
- Quella di sir Moreland?
- Sì, Tremal-Naik. Le altre che possiede il rajah sono vecchi
incrociatori di ordine secondario, che non valgono assolutamente nulla come
navi da battaglia. È la squadra di Labuan che mi preoccupa.
- Sarà forte?
- Molto forte no, numerosa di certo. Potrebbe prenderci nel mezzo
e crearci molti fastidi, quantunque io ritenga il nostro incrociatore così
poderoso d'aver ragione di essa. I migliori, l'Inghilterra se li tiene in
Europa.
- Sono ben lontani da noi, - disse Tremal-Naik.
- E chi mi assicura che non ne mandi alcuni a darci la caccia? Mi
hanno detto che ve ne sono dei poderosi anche nell'India. Quando si apprenderà
quali danni noi abbiamo recato alle loro linee di navigazione, gli inglesi non
esiteranno a lanciare su questi mari il meglio della loro squadra indiana.
- E allora? - chiese Tremal-Naik.
- Faremo quello che potremo, - rispose Sandokan. - Se il carbone
non ci mancherà la faremo correre e molto.
- È sempre il carbone il nostro punto nero.
- Di' il nostro lato debole, Tremal-Naik, perchè a noi tutti i
porti sono chiusi. Fortunatamente la marina inglese è la più numerosa del mondo
e piroscafi ne troveremo sempre, dovessimo andarli a cercare perfino nei mari
della Cina. Ah! Cala la nebbia! È una fortuna per noi, che stiamo per passare
dinanzi alle coste del sultanato.
- Quanto distiamo dal Sedang?
- Forse duecento miglia. Queste sono le acque più pericolose. Se
questa notte non facciamo alcun incontro, domani troveremo la Marianna. Apriamo
gli occhi, Tremal-Naik ed aumentiamo la nostra velocità. Tanto peggio a chi
tocca se taglieremo qualche legno.
Pareva che la fortuna proteggesse le ultime tigri di Mompracem,
perchè poco dopo il tramonto del sole una folta nebbia era cominciata a
scendere sul golfo, in dense ondate.
Il Re del Mare aveva quindi maggiori possibilità di sfuggire alla
caccia delle navi alleate, ammesso che si fossero realmente messe in moto per
sorprenderlo.
Nondimeno Sandokan e Yanez avevano dati gli ordini per tenersi
tutti pronti. Qualche nemico poteva comparire, impegnare subito la lotta e
colle sue cannonate attirare l'attenzione della squadra.
L'incrociatore, che aveva aumentata la sua velocità portandola a
tredici miglia, muoveva rapido attraverso il nebbione che sempre più si
addensava.
Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e l'ingegnere americano erano tutti
sul cassero, presso i timonieri, cercando, ma invano, di distinguere qualche
cosa attraverso le ondate caliginose che il vento, di quando in quando,
scompaginava.
Gli artiglieri erano dietro i loro mostruosi pezzi o accanto alle
piccole artiglierie; i malesi ed i dayaki dietro le murate.
Tutti tacevano ed ascoltavano attentamente. Non si udivano che i
rauchi muggiti del vapore ed il gorgoglìo prodotto dalle eliche e dallo sperone
fendente le acque.
La seconda foce del Sarawak doveva essere stata oltrepassata di
una cinquantina di miglia, quando tutto d'un tratto si udì a echeggiare una
sirena.
- Una nave esplora il mare e segnala la sua presenza ad altre, -
disse Yanez a Sandokan. - Sarà mercantile o da guerra?
- Suppongo che sia qualche avviso del rajah, - rispose la Tigre
della Malesia. - Ci aspettavano?
- Fa' puntare verso levante.
- Vorrei però prima conoscere con quale avversario abbiamo da
fare.
- Con questa nebbia non sarà cosa facile, Sandokan, - disse
Tremal-Naik. - Quando potremo giungere alla foce del Sedang?
- Fra cinque o sei ore. Vedi nulla, Yanez?
- Null'altro che nebbia, - rispose il portoghese.
- Non devieremo: tanto peggio per chi si caccerà sotto il nostro
sperone.
Poi, accostandosi al tubo che comunicava colla sala della
macchina, gridò con voce poderosa:
- Signor Horward! Avanti a tutto vapore, a tiraggio forzato!
Il Re del Mare continuava la sua corsa, aumentandola rapidamente.
Da tredici nodi era salita a quattordici all'ora, e non bastava
ancora. L'ingegnere americano aveva comandato il tiraggio forzato per
raggiungere possibilmente i quindici.
Era ben vero che il carbone se ne andava rapidamente, però ne
avevano in quantità sufficiente per tenere il mare alcune settimane senza
bisogno di provvedersi.
Erano già trascorse due ore, quando tutto d'un tratto la nebbia
s'illuminò come se un gran fascio di luce l'attraversasse.
Luce lunare non doveva essere, perchè assai più intensa e
brillante e poi non ne aveva l'immobilità. Veniva dall'est e scorreva dal sud
al nord, facendo scintillare vivamente le acque.
- Un fanale elettrico! - esclamò Yanez, trasalendo. - Ci si cerca.
- Sì, ci cercano, - disse Tremal-Naik. - Che siano in molti?
Sandokan non aveva aperto bocca; la sua fronte però si era
bruscamente aggrottata.
Trascorsero alcuni minuti ancora.
- Macchina indietro! - tuonò ad un tratto la Tigre della Malesia.
Il Re del Mare trasportato dal proprio slancio, s'avanzò per due o
trecento metri, poi s'arrestò lasciandosi cullare dall'onda larga del golfo.
Una nave e forse non sola, si trovava dinanzi all'incrociatore ed
esplorava il mare, proiettando dovunque fasci di luce.
- Che la squadra di Sarawak si sia accorta della nostra presenza?
- chiese Tremal-Naik.
- Dobbiamo essere stati segnalati da qualche veliero, forse da
qualche praho che è sfuggito alla nostra sorveglianza, - disse Sandokan.
- Che cosa farai, Sandokan?
- Aspetteremo, per ora, poi passeremo, dovessi fracassare dieci
navi a colpi di sperone. Il Re del Mare ha la prora a prova di scoglio e le
macchine d'una solidità tale che non si sconquasseranno per l'urto.
Il fascio di luce continuava a scorrere lentamente dal nord al
sud, tentando di forare la nebbia, fortunatamente sempre foltissima.
D'improvviso, un secondo ne apparve dal lato opposto, ossia verso
la poppa dell'incrociatore, poi altri due al nord e uno al sud.
Una sorda imprecazione sfuggì dalle labbra del portoghese, il
quale stava a guardia dei timonieri.
- Ci hanno ben circondati! Alla malora quegli squali! Fra poco qui
farà caldo!
La Tigre della Malesia aveva seguìto attentamente la direzione di
quei diversi fasci di luce. La sua nave che occupava il centro, non poteva
essere stata ancora scorta, però non poteva slanciarsi innanzi nè retrocedere
senza farsi scoprire. Con un gesto chiamò Yanez e l'ingegnere americano.
- Si tratta di forzare il passo, - disse. - Dinanzi,
presumibilmente, non abbiamo che una sola nave. Il nostro carico è stato ben
stivato?
- Assaliremo collo sperone? - chiese l'americano.
- Ne ho l'intenzione, signor Horward. Fate raddoppiare il
personale delle macchine.
- Bene, comandante, - rispose lo yankee. - I miei compatriotti non
agirebbero diversamente in simile frangente.
- Sono tutti ai pezzi gli artiglieri?
- Sì, - rispose Yanez.
- Avanti a tutto vapore! Passeremo a qualunque costo.
I fasci di luce elettrica continuavano ad incrociarsi in tutti i
sensi e a poco a poco diventavano più luminosi.
Probabilmente i comandanti di quelle navi dovevano aver scorta
l'ombra immensa del Re del Mare e si preparavano ad assalire, dirigendosi verso
uno stesso punto.
Il momento stava per diventare terribile; tuttavia malesi, dayaki
ed americani conservavano anche in quel supremo momento, una calma ammirabile.
- Tutti nelle batterie! - gridò Sandokan, entrando nella torretta
di comando con Yanez e con Tremal-Naik.
Il Re del Mare balzò avanti. La sua velocità aumentava di momento
in momento ed il fumo usciva turbinando dalle due ciminiere abbattendosi sui
ponti in causa della nebbia.
Un fremito sonoro lo scuoteva tutto, mentre gli alberi delle
eliche raddoppiavano i giri ed il vapore muggiva nelle caldaie.
L'incrociatore attraversò come un gigantesco proiettile la zona
luminosa, ma appena rientrato nella nebbia oscura, altri fasci di luce lo
raggiunsero, diventando rapidamente più luminosi.
Le navi nemiche si erano messe in caccia e cercavano di
rinchiuderlo in un cerchio di ferro e fuoco.
Sandokan non si sgomentava e lasciava che la sua nave corresse
sempre verso l'est.
Alcune cannonate rimbombarono al largo e si udì in aria il rauco
sibilo dei proiettili.
- Pronti pel fuoco di bordata!... - gridò Yanez. - Per Giove!... E
le fanciulle?
- Sono al sicuro nel quadro, - rispose Tremal-Naik.
- Manda qualcuno ad avvertirle che non si spaventino se succede un
urto, - disse Sandokan.
Delle ombre gigantesche si muovevano fra la nebbia che i
riflettori elettrici rendevano sempre più luminosa.
La squadra nemica stava per piombare sull'incrociatore delle tigri
di Mompracem per tentare di sbarrargli il passo.
Ad un certo momento una massa nera comparve bruscamente dinanzi la
prora, sulla dritta del Re del Mare, a meno di quattro gomene di distanza. Era
impossibile arrestare lo slancio dell'incrociatore.
- Speronate! - gridò Sandokan con voce tuonante.
Il Re del Mare si precipitava sul legno nemico come un ariete.
Un rombo assordante, spaventevole, seguìto da urla d'angoscia
echeggiò fra la nebbia perdendosi lontan lontano sul mare.
Lo sperone dell'incrociatore era entrato tutto dentro la nave
avversaria, producendole uno squarcio immenso...
Il Re del Mare s'arrestò un momento inclinandosi a prora, mentre
degli scoppi accadevano sulla nave investita e colpita a morte da quella
terribile speronata. Le caldaie scoppiavano.
- Macchina indietro! - gridò l'ingegnere americano.
Si udirono a prora dei sordi scricchiolii, poi il Re del Mare con
una brusca scossa liberò il suo sperone indietreggiando e virando a babordo.
La nave sventrata calava a fondo a vista d'occhio, fra i clamori
assordanti del suo equipaggio.
Il Re del Mare aveva ripresa la corsa, passando a poppa della nave
sommergentesi, gettandosi nuovamente tra mezzo alla nebbia.
Altre ombre pure apparivano a babordo e a tribordo. Le navi della
squadra, approfittando di quel momento di sosta, avevano raggiunto il Re del
Mare e gli proiettavano sul ponte fasci di luce.
- Fuoco accelerato! - comandò Yanez.
L'incrociatore s'infiamma come un vulcano in eruzione, con un
rimbombo orrendo. I giganteschi pezzi delle torri hanno fatto fuoco quasi
simultaneamente, facendo tremare la nave dalla chiglia alla punta degli alberi,
scagliando sulle navi nemiche i loro grossi proiettili, poi i pezzi di medio
calibro delle batterie hanno seguìto l'esempio, tempestando i nemici.
Gli inseguitori non parvero spaventarsi, quantunque quella
tremenda scarica delle più grosse artiglierie moderne dovesse aver prodotto
danni gravi e forse, per qualche piccolo e maldifeso legno, irrimediabili.
Da tutte le parti i lampi spesseggiano. I proiettili delle granate
che si spaccano sulla solida blindatura della nave corsara, scoppiano sui ponti
lanciando dovunque schegge di metallo.
Colpiscono il tribordo ed il babordo, piombano a poppa ed a prora,
scivolando sui ponti e rimbalzano sulle cime delle torri.
Il Re del Mare nondimeno non s'arresta, anzi risponde con una
furia spaventevole, mandando palle a destra, a sinistra e dietro la poppa.
Una piccola nave, che fila con una velocità vertiginosa, emerge
bruscamente fra la nebbia e con una pazza temerità corre addosso
all'incrociatore.
È una grossa scialuppa a vapore che porta a prora una lunga asta,
l'antica torpediniera Horward. L'ingegnere americano, che conosce quell'arme
micidiale, manda un grido:
- Badate, cercano di torpedinarci!
Sandokan e Yanez erano balzati fuori della torretta di comando. La
scialuppa, che era illuminata dalle lampade elettriche delle altri navi,
muoveva veloce verso il Re del Mare, cercando di raggiungerlo. Un uomo, il
comandante, stava a prora, dietro l'asta.
- sir Moreland! - gridarono ad una voce.
Era infatti l'anglo-indiano che cercava, con una pazza temerità,
di torpedinare l'incrociatore.
- Arrestate quella scialuppa! - aveva gridato Sandokan.
- No, nessuno faccia fuoco! - urlò invece Yanez.
- Che cosa fai, fratello? - chiese la Tigre della Malesia,
stupita.
- Non uccidiamolo: Darma piangerebbe troppo. Lascia fare a me.
A tribordo vi erano parecchi pezzi di medio calibro. Yanez
s'appressò al più vicino che era stato già puntato sulla scialuppa, corresse
rapidamente la mira, poi diede uno strappo al cordone tirafuoco.
La scialuppa non si trovava allora che a trecento metri, non
riuscendo a guadagnare via sull'incrociatore.
Il proiettile la colpì con matematica precisione a poppa,
asportandole ad un tempo il timone e l'elica e fermandola, per modo di dire, in
piena volata.
- Buon viaggio, sir Moreland! - gli gridò il valente artigliere,
con voce ironica.
L'anglo-indiano aveva fatto un gesto di minaccia, poi il vento
portò fino agli orecchi delle tigri di Mompracem queste parole:
- Fra poco incontrerete il figlio di Suyodhana!... V'aspetta nel
golfo!...
L'incrociatore aveva allora oltrepassata la zona luminosa e si
rituffava nella nebbia. Scaricò un'ultima volta i suoi pezzi da caccia in
direzione delle navi nemiche, che non potevano gareggiare colle sue macchine e
sparve verso l'est, mentre i malesi ed i dayaki urlavano a squarciagola:
- Viva la Tigre della Malesia!...
13. Il disastro della Marianna
Ancora una volta, la formidabile nave delle tigri di Mompracem,
costruita da quegli impareggiabili ingegneri americani, aveva giustificato il
suo titolo d'invincibile ed a prova di scoglio.
Nonostante l'urto tremendo sopportato da quel terribile colpo di
sperone, le sue macchine e la sua prora avevano meravigliosamente resistito ed
il suo blindaggio aveva sopportato, senza sfasciarsi, quel grandinar furioso di
tante artiglierie.
Usciva dalla battaglia quasi incolume, poichè, salvo poche
ammaccature di nessuna importanza, i suoi robusti fianchi potevano subire ben
altre prove. Tutto il danno si era limitato a quattro morti, quattro artiglieri
mutilati dallo scoppio di una granata.
Il Re del Mare non aveva rallentata la sua marcia. Sandokan e
Yanez, sapendosi ormai inseguiti e supponendo, non a torto, che gli alleati
avessero indovinato lo scopo di quella crociera, volevano giungere alla foce del
Sedang con un vantaggio di almeno ventiquattro ore, per proteggere la Marianna
e possibilmente abboccarsi coi capi dayaki.
Essi erano certi di trovare la loro piccola nave nascosta fra le
scogliere, in attesa del loro arrivo.
- Se il diavolo non ci mette la coda, - disse Yanez a Tremal-Naik,
- quando la squadra degli alleati ci raggiungerà, tutto sarà finito.
- Che non cessi di darci la caccia? - chiese l'indiano.
- Cercheranno di chiuderci fra il Sedang ed il Redjang per
costringerci a gettarci verso la costa, - rispose il portoghese. - Spero
tuttavia che non giungeranno in tempo.
- Purchè laggiù non incontriamo il figlio di Suyodhana. Hai udito
quello che ci ha gridato sir Moreland?
- Sia pure, ma suppongo che quell'uomo non avrà certo una flotta
sotto i suoi ordini.
- E se l'avesse armata? I thugs dovevano possedere dei tesori
immensi che solo il figlio di Suyodhana avrà raccolti dopo la dispersione della
setta.
- Sì, immensi, padrone, - disse Kammamuri che si era in quel
momento accostato. - Durante la mia prigionia nel sotterraneo di Raimangal io
ho veduto una caverna piena di barili colmi d'oro.
- Purchè non siano rimasti sott'acqua, - disse Yanez.
- Mi fu poi detto che possedeva ricchezze incalcolabili depositate
presso le principali banche dell'India.
- Tu mi guasti la mia fumata, mio caro Kammamuri, - disse Yanez. -
Che il figlio della Tigre dell'India sia riuscito ad armare parecchie navi?
Bah! - esclamò poi, alzando le spalle, - la nostra nave può ben tenere testa a
parecchie e daremo una lezione anche a quel signore. Veramente sarebbe ora che
si mostrasse e si facesse vedere se somiglia a suo padre.
- Che peccato che sir Moreland non ci abbia fornito qualche
spiegazione sul nostro nemico, - disse Tremal-Naik.
- Uhm! - fece Yanez. - Io ho il sospetto che quell'anglo-indiano
sia più ai servigi del figlio di Suyodhana che a quelli del rajah di Sarawak.
- Ragione di più per non risparmiarlo, signor Yanez, - disse
Kammamuri. - Dovevate lasciar tuonare tutte le artiglierie contro la sua
scialuppa a vapore, invece di danneggiarla solamente.
- Che cosa vuoi, mi rincresceva lasciar massacrare quel giovane
valoroso, - rispose Yanez.
- Così piacevole e cortese, - aggiunse Tremal-Naik. - Con noi si è
mostrato un vero gentiluomo, quand'io e Darma eravamo suoi prigionieri,
specialmente verso la mia figlia.
- Fino dal primo istante?
- Veramente no, - rispose l'indiano.
- Nei primi giorni appariva estremamente freddo, anzi mi guardava
sovente con un brutto sguardo che mi dava non poche preoccupazioni, poi a poco
a poco cambiò.
- Ah! - fece Yanez, sorridendo.
Riaccese la sigaretta che gli si era spenta e s'avviò verso il
cassero dove si erano in quel momento mostrate Surama e Darma.
- Non avrete già avuto paura, mie buone fanciulle - disse
guardando specialmente la figlia dell'indiano con una certa malizia.
- Grazie signor Yanez, - gli sussurrò Darma, prendendogli la
destra e stringendogliela fortemente.
- Che cosa sai tu?...
- Ho sentito tutto.
- Ti sarebbe assai spiaciuto se fosse stato ucciso, è vero Darma?
- Sì, - sospirò la fanciulla. - Amor fatale!...
- Bah, finita la guerra vedremo di scovarlo quel coraggioso
giovane. Chissà!... Tutto potrebbe finire bene e fare di voi due felici, poichè
me ne sono accorto che anche sir Moreland ti ama ardentemente.
- Eppure, sahib bianco, - disse Surama, - mi hanno detto che aveva
tentato di far saltare la nostra nave.
- Danneggiarla gravemente forse e approfittare della confusione
per rapirci Darma, - disse Yanez. - Oh, non l'avrebbe certo lasciata annegare.
Toh!... La nebbia si alza e vedo laggiù a diffondersi un poco di luce. È l'alba
che sorge; vedremo se le navi degli alleati ci sono ancora alle spalle.
Infatti la nebbia, che aveva così opportunamente protette le tigri
di Mompracem, cominciava ad alzarsi, cacciata via dalla brezza mattutina.
Quando tutti quei vapori scomparvero verso il nord, il mare apparve deserto.
La squadra degli alleati, che non poteva competere colle poderose
macchine del Re del Mare, doveva essere rimasta molto indietro e fors'anche
ritornata verso la foce del Sarawak.
Anche verso il nord l'orizzonte appariva sgombro, essendosi tenuto
l'incrociatore molto lontano dalle coste bornesi, per non farsi scorgere da
qualche nave costiera.
Non si vedevano altro che degli uccelli marini, assai numerosi in
quei paraggi e che volteggiavano con una leggerezza ed una velocità veramente
ammirabili.
Il Re del Mare continuò la sua corsa velocissima tutto il giorno,
volendo Sandokan non solo conservare il suo vantaggio, ma aumentarlo, onde
avere il tempo necessario per trovare la Marianna.
Prima del tramonto l'incrociatore navigava già nelle acque che
bagnano la costa del Sedang.
- Possiamo considerarci, almeno per ora, fuori di pericolo, -
disse Yanez a Horward il quale, assieme a Darma, contemplava il tramonto del
sole.
- Sì, però fra giorni, anzi forse fra quarant'otto ore, saremo
costretti a ricominciare la musica, - rispose l'americano. - Le navi degli
alleati non ci lasceranno tranquilli.
- Ah!... che superbo tramonto!... - esclamò in quel momento Darma.
- Quelli che si ammirano in questi mari sono infatti i più
splendidi. - disse Yanez. - Hanno delle tinte che non si vedono in altri
luoghi. Se state attenti vedrete il famoso raggio verde.
- Un raggio verde! - esclamarono l'americano e Darma.
- È splendido, mia piccola Darma: è un fenomeno meraviglioso che
si può ammirare solamente nei mari della Malesia e nell'Oceano Indiano. Il
cielo è purissimo, quindi anche tu lo vedrai. Aspetta solamente che l'orlo
superiore del sole stia per scomparire.
- Possibile che da tutto quel fulgore infuocato possa sprigionarsi
un raggio d'un tal colore! - esclamò.
- Sono certo di non ingannarmi: state attenti.
Il sole tramontava in un oceano di luce, le cui tinte a poco a
poco variavano certo a causa dello stato più o meno igrometrico dell'atmosfera
e della distanza dell'astro dallo zenith. Mentre stava, per modo di dire, per
affondare nell'oceano, pel cielo si diffondeva una luce rosso-giallognola la
quale prendeva rapidamente una tinta quasi violacea che si perdeva insensibilmente
in un fondo azzurro-grigiastro. Il margine superiore del disco stava per
sparire, quando apparve improvvisamente un raggio assolutamente verde, d'una
bellezza tale da strappare all'americano ed a Darma un grido d'ammirazione.
Si proiettò per qualche istante sulle acque, poi scomparve di
colpo, mentre l'ultimo lembo dell'astro diurno si celava dietro l'orizzonte.
- Splendido! - aveva esclamato Horward.
- Superbo! - aveva detto Darma. - Non avevo mai veduto un raggio
d'un tal colore!...
- Perchè non hai percorso che di rado questi mari, - rispose
Yanez.
- E non si può vederlo in altri luoghi? - chiese Kammamuri che si
era unito a loro.
- È difficilissimo, perchè occorrono eccezionali condizioni di
limpidezza ed una grande purezza d'orizzonte e solamente in queste regioni si
possono avere con maggior frequenza tali condizioni. Ecco la campana che ci
chiama a cena. Approfittiamone finchè nessun pericolo ci minaccia, - disse
Yanez, offrendo il braccio alla giovane anglo-indiana.
Due ore dopo il tramonto, il Re del Mare, che non aveva diminuita
la sua velocità, si trovava di fronte alla foce del Sedang, ad una distanza di
qualche mezza dozzina di miglia.
- Che la Marianna sia nascosta entro il fiume? - chiese Kammamuri
a Yanez che esplorava la costa con un cannocchiale.
- Il suo comandante non sarà stato così sciocco. Deve essersi
celato in mezzo alle scogliere di levante, che formano parecchi canali.
Avanzeremo lentamente in quella direzione.
La nave, che aveva moderata la sua velocità, fece una punta fino a
breve distanza dalle foci del fiume, poi si diresse verso l'est, dove si
scorgevano lunghe file di scogliere.
Già si trovava a poca distanza dalle prime rocce che emergevano
come minuscoli isolotti, quando si udirono rombare in lontananza alcune deboli
detonazioni.
Sandokan, prontamente avvertito da Kammamuri, si era affrettato a
salire in coperta assieme a Tremal-Naik ed a Horward.
Esaminato attentamente l'orizzonte in tutte le direzioni, nessuna nave,
nè a vela, nè a vapore, apparve in vista. Eppure quegli spari, tre, se gli
uomini di guardia non si erano ingannati, erano stati uditi da tutti. Una viva
inquietudine si era dipinta sul viso di Sandokan.
- Che qualche nave abbia sorpresa la mia vecchia Marianna e
l'abbia cannoneggiata? - si chiese. - Da quale parte venivano quegli spari?
- Da occidente, - disse Yanez, che era di guardia.
- Non hai veduto prima, in quella direzione, alcuna colonna di
fumo?
- Niente; l'orizzonte era purissimo.
- Quelle detonazioni erano deboli?
- Debolissime.
- Quelle cannonate devono quindi essere state sparate ad una
grande distanza, - disse Horward.
- Sì, considerato che il vento soffia appunto dall'est.
- Sandokan, - disse Tremal-Naik, la cui fronte si era oscurata.
- Cerchiamo subito la Marianna.
- È quello che faremo, - rispose la Tigre delle Malesia. - Se non
la troveremo dietro a quelle scogliere, torneremo verso il Sedang. Manda
Kammamuri con dei gabbieri sulle coffe e con dei buoni cannocchiali onde
esplorino attentamente l'orizzonte.
Il Re del Mare aveva continuata la sua corsa verso l'est, seguendo
la costa ad una distanza di un paio di miglia per non urtare contro qualche
banco di sabbia; tuttavia nessuna nave appariva in vista.
Una profonda ansietà aveva invaso l'equipaggio e soprattutto
Sandokan e Yanez. L'assenza del loro praho, che doveva trovarsi in quei paraggi
già da parecchi giorni e forse da qualche settimana, inquietava assai tutti,
temendo che fosse stato scoperto da qualche nave nemica ed affondato.
Sambigliong era furioso, più di tutti, e girava e rigirava fra le
torricelle dei grossi cannoni, promettendosi di fracassare l'audace che aveva
osato di abbordare la vecchia Marianna.
La corsa del Re del Mare durò un'ora, senza che i gabbieri
avessero potuto scoprire in alcuna direzione il veliero, poi ad un comando di
Sandokan l'incrociatore virò di bordo, accostandosi ad una barriera d'altissime
scogliere che formavano un braccio di mare fra esse e la costa. Ormai tutti
erano convinti che una disgrazia fosse toccata alla povera nave.
- Attivate i fuochi! - aveva comandato Sandokan. - Se giungiamo in
tempo, faremo pagar caro agli inglesi questo colpo di mano!...
- Che ci raggiunga la squadra degli alleati?... - chiese
Tremal-Naik a Yanez.
- Dobbiamo avere un vantaggio d'una dozzina d'ore almeno, -
rispose il portoghese. - Giungerà troppo tardi.
La nave filava come una rondine marina, a tiraggio forzato.
Tonnellate di carbone venivano precipitate nei forni, sprigionando un calore
così intenso che macchinisti e fuochisti penavano a sopportare.
La notte, chiarissima, essendo sorta la luna poco dopo le undici,
permetteva di discernere sull'argentea superficie del golfo qualsiasi punto
nero, i gabbieri però, ad ogni domanda che veniva loro indirizzata rispondevano
sempre negativamente. Nulla, sempre nulla!... Nessun punto nero
sull'orizzonte!...
- Che quei colpi di cannone abbiano segnata l'agonia della
Marianna? - si chiedevano tutti, con crescente ansietà.
Alla mezzanotte le coste orientali di Sedang cominciarono a
delinearsi, nerissime per la massa imponente delle loro foreste secolari.
Ad un tratto, quando il Re del Mare aveva già imboccato il canale
che s'apriva dietro le scogliere, una voce risuonò sulla piattaforma del
trinchetto.
- Fumo dinanzi a noi!...
Yanez aveva puntato un cannocchiale nella direzione indicata.
Un grosso punto nero, che emetteva una fitta colonna di fumo,
filava fra la costa e le scogliere, fuggendo verso levante.
- Una nave a vapore! - gridò il portoghese. - Duemila metri!...
Buon tiro per dei valenti artiglieri! Fermiamola!... Cento rupie a chi la
tocca!...
Non aveva ancora terminata la frase che il vecchio quartiermastro
americano, che aveva già guadagnati i duecento dollari, era dietro al suo pezzo,
sotto la torretta proviera di babordo.
Vedeva perfettamente la nave che cercava di fuggire. La luna la
illuminava in pieno.
La distanza era ragguardevole, però il vecchio cannoniere aveva
fiducia nei suoi occhi e nel suo pezzo.
- Ora li accomodo io! - disse. - Le cento rupie balleranno nelle
mie tasche in attesa di comperare una montagna di tabacco ed un barile di
ginepro.
Attese che la nave passasse attraverso la prora dell'incrociatore
e fece fuoco rapidamente.
Aveva colpito nel segno, causando all'avversario qualche grave
danno o l'aveva mancato? Gli fu impossibile saperlo, perchè quasi nell'istesso
momento la nave scompariva dietro un ostacolo, che la distanza non aveva
permesso prima di distinguere, un isolotto o qualche scogliera.
Il Re del Mare si era messo in caccia, rallentando però la corsa,
perchè da un momento all'altro poteva trovarsi dinanzi a uno dei tanti numerosi
banchi sabbiosi che si estendono dinanzi alle foci del Sedang.
Giunto ad un chilometro dalle spiaggie, Sandokan aveva dato il
comando di scandagliare.
Non conosceva che imperfettamente quei paraggi e non osava
avanzarsi alla cieca, per paura di arenare l'incrociatore.
La nave però, contro la quale l'incrociatore aveva fatto fuoco,
pareva che fosse scomparsa. Certo aveva approfittato delle scogliere che si
vedevano numerose verso il nord, per cacciarsi in qualche canale e dileguarsi o
cercare un rifugio entro qualche piccola baia.
Il Re del Mare, nella sua seconda corsa, doveva essere rimontato
molto verso il levante del Sedang, quindi Yanez e Sandokan presero il partito
d'abbandonare il fuggiasco, che doveva essere troppo debole per osare di
contrastargli il passo, e di tornare verso ponente per cercare la Marianna.
Era sorto in loro il dubbio che il praho, per potersi sottrarre all'inseguimento,
avesse cercato pure qualche nascondiglio o si fosse gettato alla costa.
Marciava da un quarto d'ora, a velocità ridotta, continuando a
perlustrare, quando presso un gruppo di scogliere apparve una massa nerastra
fornita d'un'alberatura altissima, dove si vedevano delle vele ancora spiegate.
- Nave alla costa! - gridarono in quel momento le vedette delle
coffe.
- Deve essere la nostra Marianna! - gridò Yanez. - Finalmente!...
Il Re del Mare aveva subito virato di bordo, avanzandosi lentamente
verso quelle scogliere.
Tutti si erano precipitati verso prora per meglio osservare quella
nave, la cui immobilità però dava luogo a non poche inquietudini, tanto più che
pareva si trovasse addossata alle rocce.
Un fanale elettrico era stato subito volto verso di essa,
illuminandola come in pieno giorno, eppure, cosa strana, pareva che nessuna
persona si trovasse in coperta.
- Accendete tre razzi, - comandò Yanez. - Se a bordo vi sono degli
uomini risponderanno di certo.
- Che sia proprio la Marianna? - chiese Tremal-Naik, il quale
condivideva le apprensioni dei due comandanti.
- Non te lo posso ancora dire, - rispose il portoghese, -
quantunque le vele siano d'un grosso praho o per lo meno d'un giong.
- Mi nasce un dubbio.
- Che quella nave, per sfuggire alle cannonate dell'inglese si sia
gettata addosso a quelle scogliere, arenandosi? È così Tremal-Naik?
- Sì.
- E temo che tu abbia indovinato.
- E l'equipaggio? Non si vede nessuno?
- E nessuno risponde, - disse Sandokan che si era accostato,
mentre tre razzi lanciati da Kammamuri e da Sambigliong si spegnevano dopo di
aver sparso in aria un nembo di scintille multicolori.
- Allora gli inglesi hanno fatto prigioniero l'equipaggio, - disse
Tremal-Naik.
- E noi andremo a liberarli, dovessi inseguire quella nave fino
entro il Sedang. Fa' calare in acqua una scialuppa e andiamo a vedere se si
tratta veramente della Marianna.
L'incrociatore aveva rallentata la marcia, sempre per tema di
trovarsi improvvisamente dinanzi a dei bassifondi. Gli scandagli avevano già
dati solamente dodici metri e pareva che il fondo si elevasse rapidamente.
La gran barca a vapore fu calata e Sandokan, Yanez e Tremal-Naik,
con venti malesi armati, vi entrarono, dirigendosi verso la scogliera.
Il Re del Mare aveva virato di bordo tornando un po' al largo,
essendo l'ondata piuttosto forte.
La scogliera non distava che cinque o seicento metri. Era una
lunga fila di rocce, di colore molto scuro, tagliate a mo' di sega, coi fianchi
sventrati e corrosi dall'eterna azione delle onde.
La nave si era arenata verso la punta settentrionale e nell'urto,
che doveva essere stato violentissimo, si era piegata su un fianco,
appoggiandosi colle bancazze ad una roccia elevata quanto l'alberatura.
Temendo una sorpresa, Sandokan comandò a dieci uomini di armare i
fucili, poi spinse la scialuppa contro una caletta formata da una cintura di
scogli, dove l'acqua era tranquilla.
Lasciati sei marinai a guardia dell'imbarcazione, cogli altri
raggiunse la nave.
- La Marianna! - gridò ad un tratto, con accento di dolore.
Il disgraziato veliero, od in causa d'una falsa manovra, o
spintovi appositamente, si era sventrato sulle punte delle scogliere in così
malo modo, da ritenerlo per sempre perduto.
Le rocce assai aguzze, gli avevano fracassata la carena,
causandole uno squarcio così enorme, che le onde entravano liberamente nella
stiva, rumoreggiando continuamente.
- In che stato è ridotto quel povero legno! - esclamò Yanez, che
pareva non meno commosso della Tigre della Malesia. - Che l'abbiano costretto a
gettarsi su queste scogliere? E il suo equipaggio?
- Vi è una scala di corda a babordo, - disse Tremal-Naik. -
Saliamo.
- Preparate le armi, - comandò Sandokan. - Vi possono essere degli
inglesi a bordo.
- Pronti! - disse Yanez.
Salì pel primo, quindi Sandokan, poi gli altri, tenendo in mano i
fucili e le pistole.
Un silenzio di morte regnava sulla nave, ma che disordine sulla
tolda!... Si vedevano casse e barili sventrati per ogni dove, fucili e spingarde
rovesciate, poi a prora un buco enorme che pareva fosse stato prodotto da
qualche granata.
Il boccaporto maestro era aperto e giù, nella profondità della
stiva, si udiva l'acqua a muggire cupamente.
- Non vi è nessuno qui, - disse Yanez.
- Che cosa sarà successo dei miei uomini? - si chiese con ansietà
Sandokan. - E del carico che aveva la nave? Mi pare che la stiva sia stata
vuotata.
In quell'istante sulla cima dello scoglio, contro cui s'appoggiava
la Marianna, si udì una voce a gridare: - Il capitano!...
Sandokan e Yanez avevano alzata vivamente la testa, mentre i
malesi, per precauzione, armavano rapidamente le carabine.
Un uomo dalla pelle oscura e semi-nudo, scendeva rapidamente la
roccia, tenendo in mano un parang, la cui larga lama scintillava vivamente ai
raggi della luna.
In pochi istanti raggiunse la murata di babordo e balzò in
coperta, dicendo:
- Vi aspettavo, capitano.
- Tu, Sakkadana! - esclamarono ad una voce Yanez e Tremal-Naik,
riconoscendo in lui il pilota della Marianna.
- Che cosa è successo qui? - chiese Sandokan.
- Siamo stati sorpresi ieri sera da una nave a vapore, che ci ha
costretti a gettarci su queste scogliere, avendoci prodotto due squarci sotto
la linea di galleggiamento. È fuggita vedendo giungere il vostro incrociatore.
- Ha saccheggiato la Marianna il suo equipaggio?...
- Sì, Tigre della Malesia. Ha portato via armi e munizioni.
- Ed i tuoi compagni dove sono?...
- Hanno guadagnato il Sedang.
- E tu sei rimasto?
- Non vi era più posto nella scialuppa, essendo stata l'altra
spaccata da una palla di cannone.
- Non vi siete abboccati coi capi dayaki?
- Sì, - rispose il pilota, - otto giorni or sono, ma nulla abbiamo
potuto concludere. Il rajah, sospettando di loro, ne ha fatto imprigionare per
precauzione una buona parte ed altri li ha esiliati lontani dalle frontiere.
- Maledizione! - esclamò Yanez. - Ecco una notizia che non
m'aspettavo. Addio speranze!...
- Forse abbiamo tardato troppo, - disse Sandokan. - Il rajah ci ha
prevenuti.
- Che cosa faremo ora, Sandokan?...
- Non ci rimane che lottare sul mare, - rispose la Tigre della
Malesia. - Ritorneremo verso il nord, giacchè il grosso degli alleati si trova
nelle acque di Sarawak e riprenderemo la guerra contro le navi mercantili,
arrecando alle linee di navigazione il maggior danno possibile. Se sarà
necessario ci spingeremo fino nei mari della Cina. A bordo, amici!... Non
perdiamo tempo.
Stavano per ridiscendere nella scialuppa, quando udirono un colpo
di cannone rimbombare a bordo del Re del Mare.
Sandokan aveva trasalito.
- Che segnali la flotta degli alleati? - si chiese.
- Lo suppongo, - rispose Yanez. - Vedo che si muove e che punta la
prora verso di noi.
- Guardate! - gridò Tremal-Naik.
Verso l'ovest una luce vivissima illuminava l'orizzonte che poco
prima era ancora tenebroso.
La flotta degli alleati, composta d'una mezza dozzina di navi,
muoveva velocemente per impedire all'incrociatore di prendere il largo.
- Presto, a bordo! - gridò la Tigre della Malesia.
Si lasciarono scivolare l'un dietro l'altro giù per la fune e la
scialuppa mosse velocemente verso il Re del Mare, che dal canto suo le muoveva
incontro.
Le navi nemiche, quantunque fossero ancora lontane, avevano aperto
il fuoco e le cannonate si succedevano alle cannonate e qualche proiettile
s'inabissava a poche dozzine di metri dall'imbarcazione. Fra qualche minuto
quelle masse metalliche dovevano giungere a destinazione.
Il Re del Mare era però ormai a poche gomene. Manovrò in modo da
coprire la scialuppa dai tiri delle artiglierie avversarie, opponendo ai
proiettili i suoi poderosi fianchi, poi la scala fu abbassata d'un colpo solo.
L'ingegnere Horward, Darma e Surama con Kammamuri erano usciti
dalla torretta di poppa, gridando:
- Presto!... Presto!... Salite!...
Alcuni marinai avevano già calati i paranchi per issare la
scialuppa.
Yanez, Sandokan, Tremal-Naik ed i loro compagni si slanciarono
sulla scala, dopo d'aver assicurato i ganci.
- Finalmente! - esclamò l'americano. - Credevo che non arrivaste
in tempo.
- A posto gli artiglieri! - gridò Sandokan. - Doppi timonieri alla
ruota!...
- Avremo da fare per sbarazzarci della squadra; però siamo forti e
veloci, - disse Yanez.
Il Re del Mare, imbarcata rapidamente la scialuppa, aveva subito
virato di bordo lanciandosi verso il nord, onde non impegnarsi fra le scogliere
che si prolungavano verso occidente.
La squadra degli alleati accorreva a tutto vapore, sperando di
tagliargli il passo e forzava le macchine per giungere in tempo.
Nessuna però di quelle navi, tutte di tipo antiquato, logorate
nelle stazioni d'oltre mare, poteva competere col velocissimo incrociatore, il
quale marciava già a tiraggio forzato, nè poteva competere colle sue
formidabili artiglierie, che erano le più moderne di quell'epoca.
I proiettili cadevano fitti sul ponte dell'incrociatore e
battevano anche furiosamente i suoi fianchi e le granate scoppiavano in buon
numero sulle torrette con un fracasso assordante ed alzando lunghe fiammate,
senza però riuscire a spaccare le lastre metalliche.
La nave delle tigri di Mompracem rispondeva con pari energia. I
suoi grossi pezzi da caccia tuonavano senza posa, danneggiando gravemente gli
avversari, troppo deboli per misurarsi con lui.
Yanez, colla eterna sigaretta in bocca, e Sandokan assistevano
tranquillamente a quell'orribile spettacolo, senza che un muscolo del loro viso
trasalisse. Solamente quando qualche proiettile colpiva in pieno le navi
avversarie, manifestavano la loro compiacenza con una fumata più vigorosa il
primo e con una semplice mossa del capo il secondo.
A bordo il rimbombo era assordante, spaventevole.
Getti di fuoco scattavano dalle feritoie delle torricelle e dai
sabordi delle batterie e nembi di fumo avvolgevano i fianchi della poderosa
nave.
Il Re del Mare fuggiva rapidissimo, sottraendosi al minaccioso
accerchiamento della squadra, lasciandosi dietro turbini di fumo e di
scintille.
Passò come un proiettile fra due navi che cercavano di stringerlo,
scaricando addosso a loro due tremende bordate e proteggendosi con due pezzi di
poppa.
La squadra degli alleati, impotente a dargli una caccia vigorosa
per deficienza di velocità, rimaneva indietro, nonostante marciasse pure a
tiraggio forzato. Le sue palle non giungevano più sul ponte dell'incrociatore.
Già le tigri di Mompracem si credevano oramai salve, quando dietro
un'altra scogliera videro uscire a tutto vapore quattro superbi incrociatori,
grossi quanto il Re del Mare.
- Saccaroa! - esclamò Sandokan. - Da dove sono sorte quelle navi,
Yanez?... Fa' mettere la prora al nord!
I quattro incrociatori si erano slanciati sulla via del Re del
Mare, ma disgraziatamente eran comparsi troppo tardi per prendere parte attiva
al combattimento.
- Un momento prima e non so come ce la saremmo cavata, - disse
Yanez, che li osservava attraverso la feritoia di comando.
- Ma ora, signor Yanez, ci rimarranno sempre a poppa, - disse
l'ingegnere americano che li osservava attentamente. - Forse per armamento
potranno competere con noi; non certo per forza di macchine. Guardate:
guadagniamo visibilmente via e fra sei ore non li vedremo più.
- E di chi saranno quelle belle navi? - chiese Tremal-Naik. - Non
vedo alcuna bandiera ondeggiare sulle loro alberature.
- Suppongo che siano inglesi, - rispose Yanez. - Apparterranno
forse alla squadra anglo-indiana. Prima a Labuan, non si vedevano navi così
moderne.
- E pare che non ci vogliano lasciare così facilmente, - disse
Sandokan, che era rientrato in quel momento nella torre. - Fortunatamente siamo
fuori di portata ormai dalle loro artiglierie. Aspetteremo la notte per fare
falsa rotta e piegare verso occidente. Risaliremo dalle coste di Labuan.
- Che credano che noi cerchiamo di tentare un colpo di testa su
quell'isola? - chiese Yanez.
- O su Mompracem, - rispose Sandokan. - Peccato di dover consumare
tanto carbone per mantenere una simile velocità.
- Ne abbiamo ancora abbastanza da farli correre e poi, ci
riforniremo più tardi a spese dei piroscafi mercantili.
Il Re del Mare continuava intanto la sua corsa rapidissima a
tiraggio forzato. La squadra degli alleati, che aveva tentato di circondarlo
presso la scogliera, era ormai quasi fuori di vista, mentre i quattro
incrociatori, pur perdendo via, continuavano vigorosamente la caccia.
Dovevano possedere nondimeno anche essi delle macchine poderose,
poichè, quando l'alba sorse, il Re del Mare non era riuscito a guadagnare che
un miglio e divorando immense quantità di carbone. Avendo però quattro miglia
di vantaggio fino da prima, si teneva benissimo fuori di portata dalle
artiglierie che in quell'epoca non potevano tirare a simile distanza.
A mezzodì la caccia non era cessata, ma un altro miglio era stato
raggiunto.
Yanez, che non aveva lasciato un solo istante la coperta, stava
per scendere nella sala da pranzo, quando fu avvicinato da Darma.
La fanciulla appariva imbarazzata e molto triste.
- Signor Yanez, - disse fermandolo. - L'avete veduto?...
- Chi? - chiese il portoghese, quantunque avesse compreso che cosa
desiderava sapere.
- sir Moreland.
- No Darma. Non l'ho scorto su nessun ponte di comando della
squadra degli alleati.
La fanciulla era diventata pallida.
- Che sia morto? - chiese poi.
- Lui?... E perchè?... Non si è misurato con noi e quando io gli
ho danneggiata la sua scialuppa a vapore era vivo quanto me.
- Che sia su una di quelle quattro navi?
- Non l'ho veduto nemmeno su quelle, Darma. Ho osservato
attentamente i ponti col cannocchiale, senza scorgerlo.
- Eppure il mio cuore mi dice che egli deve essere su uno di quegli
incrociatori.
Yanez sorrise senza rispondere e offertole il braccio la condusse
nella sala da pranzo.
Alla sera i quattro incrociatori erano ancora in vista, ad una
distanza di dodici miglia. I loro camini vomitavano torrenti di fumo, tuttavia
perdevano continuamente strada.
A mezzanotte, il Re del Mare, che non aveva accesi i suoi fanali,
virava bruscamente di bordo dirigendosi verso ponente, in direzione del capo
Tanjong-Datu per gettarsi nel mare della Sonda.
Il bisogno di rifornirsi di carbone s'imponeva e, privi come erano
di porti amici, senza più l'aiuto della Marianna, non avevano altra speranza
che di prenderne alle navi inglesi, le quali non dovevano certamente avere
interrotto i loro viaggi.
Sandokan, dopo essersi assicurato che gli incrociatori non erano
più visibili, aveva ordinato di ridurre la velocità dell'incrociatore onde
economizzare il combustibile, non sapendo quando avrebbe potuto rinnovare le
sue provviste di già nuovamente molto scarse.
Avvistato due giorni dopo il capo Tanjong-Datu, il Re del Mare
aveva proseguita la corsa verso il nord-ovest, sperando di sorprendere in
quella direzione qualche nave proveniente da Singapore o dai porti di Giava o
di Sumatra, tuttavia nei primi giorni che si seguirono nessun fumo fu segnalato
all'orizzonte.
Certo, la voce che un corsaro batteva quei paraggi si era sparsa
su tutte le isola della Sonda ed i piroscafi inglesi non avevano osato
abbandonare i loro ancoraggi ed attendevano che la squadra di Labuan lo
catturasse o lo affondasse.
Sandokan e Yanez, quantunque molto preoccupati, dipendendo
dall'abbondanza del carbone la loro salvezza, non erano però uomini da
disperarsi.
Potevano ancora percorrere, a velocità ridotta, tre o quattrocento
miglia e spingersi quindi fino nei mari della Cina meridionale e, se lo
avessero desiderato, tentare ancora qualche buon colpo.
Non avevano però, almeno pel momento, alcun desiderio di
allontanarsi troppo dalle coste del Borneo. Forse anche la flotta inglese
dell'estremo Oriente doveva già essersi messa in moto per catturarli e non
desideravano affrontarla con una così scarsa dotazione di carbone.
- Aspettiamo, - aveva detto Sandokan a Tremal-Naik che lo
interrogava sui suoi progetti. - Non ci conviene pel momento lasciare questi
paraggi ed oltrepassare le isole Natuna e Bunguran.
So bene che lassù le navi da predare non mi mancherebbero, se lo
volessi; però anche qui il lavoro non ci mancherà.
- Che cosa aspetti qui? Si direbbe che tu attenda qualche cosa?
- Infatti, aspetto, - rispose Sandokan con un sorriso misterioso.
- Desidero raccogliere, ad un tempo i due piccioni ed anche la fava.
- Sono già quattro giorni che abbiamo lasciato le acque di
Sarawak.
- Il tempo per noi non ha valore. Aspettiamo dunque.
- E quegli incrociatori che continuano l'inseguimento?
- Certo, - rispose Sandokan, - ma dietro a chi? Io sono ormai
convinto di averli ingannati e dubito molto di ritrovarli per ora sulla mia
via.
Per quarantott'ore il Re del Mare continuò a navigare verso il nord-ovest,
spingendosi assai lontano dalle coste bornesi, poi, avendo nuovamente avvistate
le isole Natuna e Bunguran, ripiegò verso levante, desiderando i due comandanti
fare una punta a Bruni, la capitale del sultanato del Borneo, sapendo che era
di quando in quando frequentato da piroscafi inglesi.
Non dovevano ingannarsi. Avevano lasciate le isole da una
quindicina di ore, quando una grossa nave si profilò sull'orizzonte
limpidissimo. Era uno steamer a due ciminiere e tambure, che filava in
direzione di Bruni, forse per far scalo colà prima di risalire verso i mari
della Cina.
La bandiera rossa che si vedeva ondeggiare a poppa, aveva
confermato le speranze di Yanez e di Sandokan, i quali pareva che fiutassero da
lontano le navi avversarie.
Lo steamer, accortosi della presenza dell'incrociatore e anche dei
suoi colori, dapprima aveva continuata la sua corsa verso il nordest, poi aveva
bruscamente virato di bordo lanciandosi verso levante, onde cercare un rifugio
in qualche baia del Borneo.
Il suo comandante, prima della sua partenza dai porti dell'India,
doveva aver ricevuto avviso della presenza d'un corsaro malese nelle acque dei
mari della Sonda e si era subito dato alla fuga, non potendo impegnare la
lotta.
Il Re del Mare però, quantunque lo steamer corresse velocissimo e
vomitasse torrenti di fumo dalle sue due ciminiere, segno certo che forzava le
sue macchine, con un'abilissima manovra lo raggiunse, sparando dapprima una
cannonata a polvere, poi a palla, per fargli meglio comprendere che era risoluto
ad affrontarlo.
Vedendo che non obbediva, e che anzi aumentava la velocità, con
una seconda cannonata tirata da uno dei suoi pezzi da caccia gli sconquassò il
cassero.
Un momento dopo la bandiera bianca s'alzava sulle cime del
trinchetto, mentre la velocità scemava.
- Ha del fegato quel comandante, - disse Yanez, mentre si
mettevano in acqua le scialuppe. - Disgraziatamente non possiamo essere
generosi e quel superbo piroscafo andrà a raggiungere gli altri in fondo al
mare della Malesia.
Discese nella lancia a vapore e si diresse verso lo steamer
seguìto da cinque scialuppe montate da settanta uomini, fra malesi e dayaki.
Il piroscafo si era arrestato a dieci gomene dal Re del Mare. Era
una magnifica nave, montata da numerosi passeggeri, i quali, muti, atterriti,
aspettavano ansiosamente l'abbordaggio dei corsari. Il comandante, attorniato
dai suoi ufficiali, non aveva abbandonato il ponte.
Yanez fu il primo a salire a bordo. Attraversò la folla e si fece
sotto il ponte di comando, dicendo al capitano dello steamer, che non si era
mosso per incontrarlo:
- Non siete troppo cortese, signore, verso un uomo che avrebbe
potuto cannoneggiarvi.
- Fatelo, se così vi piace, - rispose freddamente il comandante. -
Io non mi oppongo. Pensate però che a bordo della mia nave vi sono cinquecento
e più donne, molti fanciulli e molti uomini che non sono inglesi.
- Avete scialuppe sufficienti per contenerli tutti, compreso
l'equipaggio?
- Sì.
- La costa bornese non è lontana e il mare per ora non ha alcuna
intenzione di guastarsi. Fate imbarcare tutti e andatevene, perchè il piroscafo
non appartiene ora che a me.
- I miei marinai ed i passeggeri sono liberi di abbandonare la
nave, io resterò qui, qualunque cosa debba accadere, - disse l'inglese. - Io
non cedo ai pirati di Mompracem.
- Ah!... Sapete chi noi siamo? Bravissimo: vi affonderò colla
vostra nave.
- Voi l'affonderete?...
- Ci appartiene per diritto di guerra e, non avendo alcun
interesse per conservarla, la offriremo ai pesci. Vi accordo due ore e aspetto
coll'orologio alla mano.
- Vi ripeto che io non lascerò la nave, - rispose l'inglese con
ostinazione. - Desidero affondare insieme ad essa.
- Se non vi strapperemo colla forza dal ponte di comando, -
rispose Yanez, impazientito.
Il portoghese stava per ritornare verso i suoi uomini che
aiutavano i marinai del piroscafo a mettere in acqua le scialuppe, quando si
vide venire incontro un uomo piccolo, tozzo, col mento accuratamente rasato e
che celava gli occhi sotto due occhiali affumicati.
- Comandante, - gli disse lo sconosciuto, levandosi vivacemente il
cappello e sbottonandosi una lunga zimarra di panno oscuro che pareva non gli
desse alcun fastidio, nonostante il caldo intenso. - Voi siete uno di quei
famosi pirati della Malesia?
- Uno dei capi, - rispose Yanez, guardando con curiosità
quell'omiciattolo panciuto e paffuto.
- Allora mi prenderete con voi, perchè io stavo appunto cercando
una nave che mi sbarcasse a Mompracem.
- Noi non andammo in quell'isola, che d'altronde non è più in
nostro possesso e non imbarchiamo altro che uomini di mare e di guerra.
- Io volevo venire con voi per combattere gli inglesi, signore. Io
conosco tutte le vostre meravigliose imprese.
- Voi! - esclamò Yanez, con accento beffardo.
- Voi non sapete chi sono io.
- No di certo.
- Il demonio della guerra, o meglio, se vi piace, il dottor Paddy
O'Brien di Filadelfia, infine un uomo che potrà causare danni immensi agli
inglesi. Ecco perchè, signore, voi non rifiuterete d'imbarcarmi sulla vostra
nave assieme ai miei bagagli. Vi renderò dei preziosi servigi, tali da far
stupire e anche tremare il mondo!...
Yanez aveva ascoltato pazientemente, guardando con curiosità, non
esente da una certa ironia, quel piccolo uomo che promettevasi quasi di sconvolgere
il mondo, chiedendosi se aveva dinanzi qualche formidabile invenzione o un
pazzo.
Lo sconosciuto, vedendo che il portoghese non si decideva a
rispondere ed indovinando di certo i pensieri che gli passavano pel capo,
disse:
- Voi credete che il dottor Paddy O'Brien abbia il cervello
esaltato, è vero signore? O per lo meno che abbia voglia di scherzare? Ebbene,
no, comandante, perchè io sono riuscito a fare una scoperta prodigiosa, che
otterrà dei risultati terribili.
- Continuate, - disse flemmaticamente Yanez, che cominciava a
divertirsi.
- Sapete che si è ora trovato il mezzo di accendere le lampade
elettriche senza bisogno di filo? A Chicago, nel mio stabilimento elettrico, ho
fatto degli esperimenti straordinari e a delle distanze di quattromila metri.
- Poco interessanti per me quelle esperienze, mio caro signor
Paddy O'Brien. A noi bastano i nostri cannoni per demolire i nostri avversari.
- E che cosa fareste, se io vi dicessi che ho anche trovato il
mezzo di accendere a delle distanze notevoli dei barili di polvere?
- Ah!... - fece Yanez, levandosi da una tasca una sigaretta ed
accendendola. - Una scoperta davvero stupefacente, mirabile.
- Che vi sembra inverosimile, è vero, comandante? - disse lo
scienziato.
- Io non l'ho ancora esperimentata, quindi non devo nè crederla
vera, nè deriderla.
- Acconsentite ora ad imbarcarmi? Se vi rifiuterete sbarcherò a
Bruni ed andrò ad offrire il mio segreto agli inglesi.
- Giacchè desiderate fare una corsa attraverso i mari della
Malesia a bordo del Re del Mare, non mi oppongo affatto. Vi avverto inoltre che
vi faremo ben guardare da uomini fedeli, incorruttibili, fino al momento in cui
si presenterà l'occasione di esperimentare la vostra stupefacente,
meravigliosa, terribile scoperta. Non si sa mai!... Potreste in un momento di
malumore, provarla contro di noi e fare scoppiare il nostro Re del Mare.
- Fate pure.
- E che i vostri bagagli, che devono di certo contenere il segreto
di quella diavoleria spaventosa, si terranno sotto sequestro sotto la mia
personale vigilanza.
- Non mi oppongo.
- E aggiungo ancora che farò intrecciare appositamente un buon
canapo per appiccarvi senza misericordia, se vi saltasse il ticchio di tentare
qualche cosa contro di noi. Mi avete ben compreso signor demonio della guerra?
- Perfettamente, - rispose l'americano.
- E così?
- Accetto, comandante.
- Non dite però a nessuno che voi siete un parente di messer
Belzebù; i nostri uomini sono gente risoluta e coraggiosa, ma potrebbero
spaventarsi sapendo d'aver io imbarcato il demonio della guerra. Dottore fate
cercare i vostri bagagli.
Durante quello strano colloquio, i passeggeri avevano sgombrato lo
steamer, affollandosi confusamente nelle scialuppe, dove erano già imbarcati i
viveri sufficienti per poter raggiungere la costa bornese, senza correre il
pericolo di soffrire la fame e la sete.
Non si erano però ancora allontanate, attendendo il loro
comandante, il quale si era ancora recisamente rifiutato di lasciare la sua nave,
nonostante le preghiere dei suoi ufficiali e le intimazioni di Yanez e dei suoi
uomini.
Il valoroso marinaio anzi si era seduto tranquillamente su una
sedia a dondolo, che aveva fatta portare sul ponte di comando e si era messo a
fumare la sua pipa, con una calma che aveva stupito gli stessi malesi.
Alle minacce di Yanez di farlo imbarcare colla violenza, egli
aveva risposto con una semplice scrollata di spalle.
Il portoghese ammirando quel coraggio, prima di risolversi a
lanciare contro il comandante i suoi primi uomini, aveva fatto avvertire
Sandokan.
- Ah!... Non vuole lasciare la sua nave? - aveva risposto la Tigre
della Malesia, che era a portata di voce. - Che ci rimanga, giacchè così vuole.
Ordinò alle scialuppe di prendere subito il largo, sotto la
minaccia di colarle a fondo, in caso di rifiuto, e non s'occupò più di
quell'uomo.
- E lo lasceremo saltare colla sua nave? - chiese Yanez.
- Pensiamo a vuotare i depositi di carbone ora. Devono essere ben
poco forniti giacchè questa nave stava per finire il suo viaggio. Ti mando un
rinforzo di cento uomini onde non perdere troppo tempo. Siamo troppo vicini a
Bruni e potremmo venire sorpresi.
Come Sandokan aveva già previsto, i pozzi dello steamer erano
quasi tutti esauriti, dovendo esso rifornirsi di carbone a Bruni prima di
proseguire pei mari della Cina.
Non erano rimaste che poche tonnellate di combustibile, quantità
assolutamente insufficiente per completate le provviste del Re del Mare, il
quale aveva molto consumato durante la sua precipitosa ritirata.
Nondimeno ci vollero non meno di quattro ore per trasbordarle
sull'incrociatore, insieme ad una considerevole quantità di viveri e alla cassa
di bordo, molto ben fornita.
Durante quel saccheggio, il comandante inglese non aveva nè
lasciato il suo posto, nè mossa alcuna protesta.
Aveva continuato a fumare colla sua solita flemma ed aveva anche
accettato un bicchiere di whisky che Yanez gli aveva offerto, sorseggiandolo
con perfetta calma. Quando le ultime scialuppe, cariche di carbone, si furono
allontanate, il portoghese s'avvicinò all'inglese e dopo d'averlo salutato
cordialmente, gli disse:
- Signore, noi abbiamo finito.
- Allora tocca a me di finire la mia esistenza, - rispose il
comandante dello steamer.
- Metto a vostra disposizione la mia jola ben fornita di viveri e
anche d'una vela, che vi permetterà di raggiungere le scialuppe prima che
giungano alla costa. Guardate, la brezza soffia dall'ovest e vi è favorevole.
- Vi ho detto che io non abbandonerò la mia nave e manterrò la
parola. Questo steamer, che da sei anni guido attraverso l'oceano, lo amo
troppo per lasciarlo e se deve andare a picco mi inabisserò con lui.
- Ditemi almeno quale morte preferite? Volevo farlo saltare in
aria con una tonnellata di polvere, nondimeno se desiderate lo squarceremo
invece con una palla dei nostri più grossi cannoni. Almeno lo vedrete
sommergersi lentamente e forse potrete pentirvi, prima che scompaia tutto sotto
le onde.
- Ciò non mi riguarda, signore; fate quello che credete.
- Addio, signore, siete un coraggioso.
- Addio comandante e buona fortuna, - rispose l'inglese, un po'
ironicamente. - Ah! vi pregherei di un favore.
- Dite pure.
- Di far avvertire i miei armatori di Bombay, se ne avrete
l'occasione, che John Kopp è morto a bordo della sua nave, come un vero uomo di
mare.
- Lo farò, ve lo prometto. Fra dieci minuti avrò l'onore di
cannoneggiarvi.
- Per quel momento avrò terminata la mia pipata.
Si separarono, levandosi le berrette, poi Yanez scese nella
baleniera che l'aspettava all'estremità della scala, mentre l'inglese sempre
impassibile riprendeva il suo posto sul seggiolone, dopo d'aver issata la
bandiera inglese.
- E dunque non si muove? - chiese Sandokan, quando Yanez fu
sull'incrociatore.
- Ecco un ostinato degno d'ammirazione, - rispose il portoghese. -
Vuole andare a picco colla sua nave. Lo farai tu?
- Non siamo ancora partiti, - disse Sandokan con un sorriso.
S'avvicinò a poppa dove il vecchio artigliere americano stava
appoggiato a una delle torrette e gli sussurrò all'orecchio alcune parole.
Poco dopo l'incrociatore virava di bordo, avanzandosi verso lo
steamer a piccolo vapore. L'inglese fumava sempre, in attesa del colpo di
cannone che doveva sventrare la sua nave.
Sandokan si era portato a prora e lo guardava sorridendo.
Il Re del Mare, guidato da Sambigliong, passò a trenta passi dalla
poppa del vapore, rallentando la marcia.
Allora Sandokan imboccando il porta-voce, gridò all'inglese:
- Signore, vorrei pregarvi di un favore. Se avrete l'occasione di
rivedere i vostri armatori, dite loro che le tigri di Mompracem hanno
risparmiata la loro nave perchè la comandava un coraggioso quale siete voi.
Buona fortuna!
Poi mentre la bandiera di Mompracem salutava l'inglese,
l'incrociatore s'allontanò velocemente verso il settentrione.
L'astuto e prudente Sandokan, non osando trattenersi troppo a
lungo in quei paraggi così prossimi a Labuan, per timore di venire preso fra la
squadra della colonia ed i quattro incrociatori che dovevano cercarlo
accanitamente, aveva preso il partito di dirigersi verso le coste
settentrionali di Borneo, per piombare sulle navi provenienti dall'Australia.
Era impossibile o per lo meno difficile che gli inglesi si
immaginassero che egli potesse allontanarsi così tanto dal golfo di Sarawak.
Era quindi certo di sorprendere parecchie navi australiane prima
che gli armatori, spaventati, pensassero a sospenderne la partenza.
Desiderando rimanere assolutamente incognito, si tenne lontano
dalle vie tenute ordinariamente dalle navi, ed un bel giorno si trovò a sole
quaranta miglia dalla punta settentrionale del Borneo.
Fu una crociera di soli sei giorni, eppure quali disastri dovette
subite la marina mercantile inglese in così breve tempo! Due piroscafi e tre
velieri caddero nelle mani delle implacabili tigri di Mompracem, subendo l'egual
sorte toccata a quelle catturate nel mare della Malesia.
Equipaggi e passeggeri lasciati liberi di salvarsi sulle coste
delle isole, le navi affondate senza misericordia coi loro carichi quasi
completi.
Avendo però appreso da alcuni prahos che anche la squadra della
Cina, allarmata da tante catture, stava per radunarsi, il Re del Mare, coi
pozzi di carbone al completo, aveva un'altra volta preso subito il largo
ridiscendendo verso il sud.
Sandokan e Yanez volevano andare a distruggere gli splendidi steamers
che facevano il servizio fra l'India e la bassa Cocincina.
Una smania terribile di affondare aveva preso Sandokan, il quale
pareva ritornato il sanguinario pirata d'altri tempi. Sapendo che presto o
tardi si sarebbe trovato di fronte a qualcuna di quelle poderose squadre che
l'Ammiragliato aveva lanciato sulle sue orme, prima di cadere vinto, voleva
dare un colpo mortale al commercio inglese e fare stupire a sua volta il mondo
colla sua audacia.
- I nostri giorni sono contati, - aveva detto a Yanez e a
Tremal-Naik. - Fra qualche mese non troveremo più nessuna nave inglese che ci
fornisca il combustibile. Finchè ne abbiamo, approfittiamone; poi accadrà
quello che la sorte avrà decretato.
- Troveremo altre navi che ce ne forniranno, - aveva risposto
Yanez. - Costringeremo quelle d'altre nazionalità a vendercene, dovessimo
ricorrere alla violenza.
- E dopo?!...
- Non ci sono io forse dopo? - disse una voce chioccia dietro di
loro. - La mia invenzione stupefacente distruggerà tutti quelli che cercheranno
di assalirvi.
Era il dottor Paddy O'Brien di Filadelfia, il demonio della guerra
del quale finora quasi nessuno si era più occupato.
- Ah! già, ci siete voi, - disse Yanez, con un sorriso un po'
beffardo. - Voi che al momento del pericolo fermerete i proiettili che verranno
scagliati contro di noi.
- No, signore, v'ingannate, non arresterò i proiettili, io, -
rispose l'omiciattolo con vivacità. - Farò invece saltare le polveriere delle
navi che vi assalteranno8. La mia macchina non fallirà.
- Ed anch'io ne ho la convinzione, - disse in quel momento
l'ingegnere Horward. - Questo mio compatriota mi ha spiegato in che cosa
consiste la sua macchina e, per quanto la cosa possa sembrarvi stupefacente, io
credo che riuscirà a far saltare le navi che ci daranno la caccia.
- Lo vedremo alla prova, - disse Sandokan, con accento di dubbio.
- Se continuiamo a scendere verso il sud, un giorno o l'altro incontreremo di
certo i nostri avversarii. Tenete pur pronta la vostra macchina meravigliosa,
signor Paddy.
Per due altri giorni il Re del Mare scese costantemente verso il
sud, facendo delle punte molto al largo, senza scorgere alcuna nave a vapore in
nessuna direzione.
Gli armatori dovevano aver dato gli ordini necessari per
trattenere nei porti delle isole della Sonda le loro navi, onde non vederle
sommergere dall'audace corsaro che fino allora, colle sue corse fulminee e coi
suoi spostamenti, era sfuggito alla caccia delle squadre.
L'interruzione delle linee di navigazione doveva aver causato
perdite immense agli inglesi.
Che cosa sarebbe avvenuto del Re del Mare quando l'ultima
tonnellata di carbone fosse scomparsa nelle bocche ardenti dei suoi immensi
forni?
- Non avevo pensato che l'arma che io adoperavo avesse un doppio
taglio, - mormorò un giorno Sandokan. - Uno per gli inglesi ed uno per me.
Cinquecento miglia erano state percorse, avvicinandosi il Re del
Mare alle coste di Malacca e ancora nessuna nave inglese si era mostrata.
Alcune ne erano state vedute, tedesche, italiane, francesi ed olandesi, navi
che costituivano piuttosto un pericolo perchè potevano dare avviso
all'Ammiragliato delle rotte del corsaro, temendo che questi un giorno si
rivolgesse anche contro di esse.
Sandokan e Yanez cominciavano a preoccuparsi. Sentivano per
istinto che pel Re del Mare i giorni erano contati e che il cerchio di ferro
stava per stringersi intorno alle ultimi tigri di Mompracem.
Tremal-Naik e Kammamuri li sorprendevano di frequente colla fronte
pensierosa e cogli occhi torbidi. Talvolta invece li vedevano guardare a lungo
Darma e Surama e scuotere la testa con tristezza, come se avessero un rimorso
di averle imbarcate, per travolgerle in una tremenda catastrofe, che ormai
pareva loro certa.
- Fanciulle, - disse un giorno Yanez, mentre Darma contemplava
l'orizzonte infuocato dagli ultimi raggi del sole morente, come se sperasse di
veder comparire già da quella parte l'uomo che amava, - avete paura della morte
voi?
- Perchè ci fate questa domanda signor Yanez? - chiese
l'anglo-indiana con un triste sorriso.
- Perchè forse l'ultima ora sta per suonare per noi tutti.
- Quando morrete, noi vi seguiremo negli abissi del mare, -
rispose Darma.
- Sì, io non lascerò il sahib bianco, che mi ama, - disse Surama,
guardando dolcemente il portoghese.
- Io vorrei però sottrarvi alla morte, prima che essa vi sfiori
colle sue gelide ali e tale è anche il pensiero di Sandokan. Noi corriamo verso
la Malacca e possiamo sacrificare le ultime provviste di carbone per deporvi su
quelle spiagge.
Darma e Surama fecero col capo un energico segno negativo.
- No, - disse la prima, con voce recisa. - Io non lascerò nè mio
padre, nè voi, checchè debba succedere.
- Nè io mi separerò da te, sahib bianco, a cui devo la vita e la
libertà, - disse Surama.
- Pensa, Darma, che tu potresti un giorno diventare sposa felice e
unirti ad un uomo, sia pure inglese, che t'ama immensamente e che io stimo.
- sir Moreland mi avrà a quest'ora dimenticata, - rispose la
fanciulla con un sospiro.
- Pensa che da un momento all'altro la flotta degli alleati può
piombarci addosso e stringerci in un cerchio di fuoco, e che tu sei donna.
- No, signor Yanez, - disse Darma, con maggior fierezza. - Noi non
vi abbandoneremo, è vero Surama?
- Io sarò felice di morire a fianco del mio sahib bianco, -
rispose l'indiana.
Yanez le accarezzò con una mano la lunga capigliatura nera, poi
disse:
- Bah!... chissà!... Non siamo ancora vinti.
No, le ultime tigri di Mompracem non erano vinte ancora, però
potevano esserlo ben presto, non sapendo più dove rifornirsi del combustibile
così necessario a loro, quanto e forse più della polvere da sparo.
Il carbone diminuiva a vista d'occhio ed i pozzi erano quasi vuoti
e nessuna speranza si offriva d'incontrare qualche nave. Era necessario
prendere una decisione suprema, e fu subito presa da Sandokan e da Yanez,
d'accordo con Tremal-Naik e coll'ingegnere americano.
Fu deliberato di raggiungere senza indugio l'isola di Gaya, dove
si erano raccolti i prahos in attesa della fine della guerra, non già che colà
potessero sperare di trovare del combustibile, ma per aver almeno, nel momento
supremo, l'appoggio di quei velieri e nel medesimo tempo per inviarne alcuni a
Bruni a far carico.
Trattandosi di piccoli legni mercantili, che potevano inalberare
qualsiasi bandiera, nessuno avrebbe potuto sollevare ostacoli se avessero
chiesto d'imbarcare del carbone.
La questione consisteva nel poter raggiungere quell'isola, lontana
più di quattrocento miglia, prima che la squadra alleata che doveva ormai aver abbandonate
definitivamente le acque di Sarawak, piombasse sul Re del Mare e lo
sorprendesse coi fuochi semispenti, obbligandolo ad accettare la lotta contro
forze enormemente superiori.
Pel momento non pareva che quel gran pericolo lo minacciasse
perchè al mattino, da un giong che veniva dal sud, avevano avuto
l'assicurazione che nessuna nave da guerra era stata veduta nelle acque di
Labuan, nè in quelle di Bruni.
Il Re del Mare, appena terminato quel breve consiglio, fu subito
diretto verso il nord-est, in modo da passare molto lontano anche da Mompracem
e di tenersi a ponente dei due grandi banchi di Samarang e di Vernon.
Per economizzare più che era possibile il carbone, erano stati
spenti mezzi forni, sicchè l'incrociatore non s'avanzava più che colla velocità
di appena sei nodi all'ora.
Sandokan, più che Yanez, era diventato nervosissimo, di pessimo
umore.
Lo si vedeva passare delle lunghe ore sulla passerella di comando,
scrutare ansiosamente l'orizzonte, in preda ad una crescente preoccupazione.
Non era più l'uomo tranquillo, impassibile d'un tempo, sicuro della sua nave e
delle sue artiglierie, che se ne rideva dei pericoli e li affrontava col
sorriso sulle labbra, fumando flemmaticamente la sua pipa.
Parecchie volte al giorno scendeva nei depositi di carbone, ormai
quasi vuoti, o si arrestava dinanzi ai forni, a quelle bocche affamate che
domandavano insistentemente alimento, provando delle terribili strette al cuore
quando i fuochisti precipitavano, fra le fiamme quasi morenti, palate di
combustibile.
Quando risaliva aveva la fronte tempestosa e passeggiava cupo,
taciturno, per lungo tempo, fra le torri di poppa e di prora, colle braccia
incrociate e la testa china, senza parlare con chicchessia.
Solo duecentotrenta miglia dividevano il Re del Mare dalle coste
occidentali del Borneo, quando una grave notizia si sparse a bordo.
Un piccolo veliero che veniva dal sud e che era stato interrogato,
aveva dato una risposta che aveva fatto fremere l'intero equipaggio
dell'incrociatore.
- Incrociatori inglesi al sud-ovest.
- Quanti?
- Due.
- Incontrati quando?...
- Ieri sera. -
Bisognava fuggire. Quelle due navi dovevano essere le avanguardie
di qualche squadra e potevano giungere da un momento all'altro e scoprire il
corsaro.
- Vadano le nostre ultime provviste di combustibile, - aveva detto
Sandokan a Yanez.
- E poi?
- Saremo pronti pel combattimento.
Il Re del Mare aveva subito affrettata la corsa. Fuggiva a
precipizio, dodici nodi all'ora, sacrificando le ultime tonnellate di
combustibile, colla magra speranza d'incontrare qualche nave mercantile e di
saccheggiarla del suo carbone prima che giungesse la squadra.
La sorveglianza era stata raddoppiata a bordo. Uomini dagli occhi
di linee vegliavano sulle coffe.
Intanto Sandokan aveva dato l'ordine di prepararsi per la
battaglia, che presumibilmente doveva essere l'ultima, a meno d'un miracolo.
Centoquaranta miglia ancora, poi la velocità si rallenta. I pozzi
sono esausti e le caldaie rantolano affievolendosi di minuto in minuto.
Il momento terribile s'avvicina, eppure tutti sono calmi a bordo
perchè tutti, da lungo tempo, hanno fatto il sacrificio della loro vita.
Nessuno ha paura della morte che li minaccia e guardano impassibili le acque
che diverranno i loro veli funebri.
Forse rimpiangono una cosa sola: quella di morire lontani da
Mompracem.
Alle otto di sera il Re del Mare s'arrestò quasi, addosso al
grande bacino di Vernon. Tutto quello che poteva dar calore era stato divorato
dagli immani forni delle macchine.
I barili di catrame, le casse di canape imbevute colle provviste
di liquore del quadro, le materie grasse della dispensa, i mobili delle sale,
perfino le brande e gli effetti dell'equipaggio.
Se si fossero potute trasformare le pareti metalliche della nave
in altrettanto combustibile, quegli uomini non avrebbero esitato a farlo, pur
di raggiungere le coste del Borneo già ancora troppo lontane.
Sandokan, sentendo la nave ad arrestarsi, si era diretto
lentamente verso poppa, più cupo che mai, appoggiandosi alla murata.
Non aveva pronunciata una parola, nè aveva fatto alcun gesto.
Aveva solamente accesa la pipa, fumando con maggiore furia del solito, fissando
gli sguardi sull'orizzonte, che rapidamente diventava tenebroso e Yanez lo
aveva imitato.
Era da quella parte che veniva il pericolo e lo sentivano
appressarsi terribile, formidabile, schiacciante ed implacabile.
L'oscurità era piombata sul mare, tingendo le acque d'un colore
quasi nero. Qualche rada stella appariva in cielo, fra gli strappi delle nubi
salite colla brezza che soffiava dal sud.
Un silenzio profondo regnava a bordo, da che le macchine avevano
cessato di funzionare, eppure tutti i duecento e cinquanta uomini che formavano
l'equipaggio dell'incrociatore erano sulla coperta, chi sulle murate, chi
dietro i giganteschi pezzi delle torri. Ma nessuno parlava.
Verso mezzanotte Tremal-Naik s'avvicinò a Sandokan, il quale non
aveva ancora abbandonato il suo posto.
- Amico mio, - gli disse, - che cosa ci rimane da fare?
- Prepararci a morire, - rispose la Tigre della Malesia, con voce
calma.
- Io sono pronto, e le fanciulle?
Sandokan invece di rispondere, stese la destra verso l'ovest, e
disse:
- Eccole: le vedi?
- Chi, Sandokan?
- Le navi nemiche.
- Di già! - mormorò l'indiano che non seppe frenare un brivido.
- Accorrono come belve feroci per distruggere le ultime tigri
della Malesia. I loro sguardi sono ormai fissi su di noi.
Tremal-Naik guardò nella direzione indicata, mentre gli uomini di
guardia sulla piattaforma gridavano:
- Navi a poppa!
Parecchi punti luminosi scintillavano sull'orizzonte ed
ingrandivano rapidamente.
- Sono pronti i nostri uomini? - chiese Sandokan.
- Sì, - rispose Yanez che gli stava presso.
- E le fanciulle? - domandò con un tremito.
- Sono tranquille.
- Vorrei salvarle.
- Che cosa dovremmo fare?
- Sbarcarle su una scialuppa e allontanarle prima che quelle navi
ci rinchiudano.
- Si rifiuteranno; mi hanno giurato che se dovremo morire, esse
s'inabisseranno con noi.
- Vi è la morte qui!...
- L'aspettano.
- Salvale, Yanez.
- Ti ripeto che si rifiuterebbero; non insistere.
- Ebbene, sia!... Se dovremo morire, non cadremo invendicati!... A
me, tigri di Mompracem!
Le navi nemiche accorrevano a tutto vapore, formando un ampio
semicerchio, che doveva più tardi restringersi fino a rinchiudersi, per prendere
in mezzo il Re del Mare e mandarlo rotto, fracassato, a picco col numero
strabocchevole delle loro artiglierie.
Sandokan e Yanez, che nel supremo momento del pericolo avevano
ritrovata la loro calma, impartivano gli ordini con voce tranquilla.
Quando videro che tutti gli uomini erano a posto di combattimento,
andarono sulla passerella di comando.
Sull'albero militare di poppa avevano fatto innalzare la bandiera
rossa colla testa di tigre nel mezzo.
Quattro fasci di luce, proiettati dai riflettori, si erano
concentrati sul Re del Mare, sempre immobile, illuminandolo come in pieno
giorno.
- Sì, guardateci: siamo noi, - disse Sandokan.
Quattro grosse navi a vapore, senza dubbio le più poderose della
flotta degli alleati, si erano silenziosamente disposte in semi-cerchio intorno
al Re del Mare, minacciandolo colle numerose artiglierie. Nessun colpo era però
stato sparato.
Aspettavano l'alba per impegnare la lotta o per intimare la resa,
parola questa che non esisteva nella lingua del fiero pirata.
Darma si era accostata silenziosamente alla murata di poppa. Era
pallidissima, ma tranquilla, come tutto l'equipaggio dell'incrociatore. Il suo
sguardo vagava da una nave all'altra con viva insistenza. Che cosa cercava?
Certo sir Moreland.
Una voce segreta le diceva che l'uomo amato doveva essere vicino,
su una di quelle poderose corazzate che dovevano demolire il povero ed ormai
impotente Re del Mare.
Intanto le navi alleate, che avevano spenti i riflettori
elettrici, giravano lentamente intorno all'incrociatore, stringendo sempre più
il cerchio. Sfilavano come fantasmi nella notte tenebrosissima e pareva che i
loro fanali, come occhi ardenti, si fissassero sanguinosamente sulla loro
vittima.
Non erano però ancora a portata utile delle grosse artiglierie.
Sicuri ormai di tenere le tigri di Mompracem, non si davano premura di
stringersi troppo addosso ad esse.
Verso le due del mattino, Sandokan e Yanez che non avevano mai
lasciato il loro posto, furono veduti scendere lentamente dalla passerella, e
dirigersi verso il centro della nave. Erano sempre freddi, impassibili.
S'avvicinarono a Tremal-Naik che stava appoggiato ad un argano,
seguendo con gli sguardi inquieti sua figlia che vagava, come un fantasma sul
castello di prora.
- Amico, - gli disse Sandokan con accento triste. - Qui domani si
inabisseranno le ultime tigri di Mompracem.
Tremal-Naik aveva provato un brivido ed aveva alzata vivamente la
testa.
- Chi credi che siano quegli incrociatori per poter vincere la tua
poderosa nave? - chiese.
- I quattro grossi incrociatori che hanno cercato di catturarci
nella baia di Sarawak. Noi siamo certi di non ingannarci.
- E quelli affonderanno il tuo Re del Mare?
- Ne ho la convinzione.
- Ed anch'io, - disse Yanez. - Quelle navi devono possedere
un'artiglieria formidabile e sono in quattro.
- E poi siamo immobilizzati, - aggiunse Sandokan.
- Infine che cosa volete concludere? - chiese l'indiano.
- Proporti di recarti a bordo di una di quelle navi e di
arrenderti, conducendo con te tua figlia e Surama.
Tremal-Naik si era rizzato, facendo un gesto di sorpresa e insieme
di dolore.
- Io allontanarmi da voi! - esclamò. - Oh no, mai! Se qui morranno
le ultime tigri di Mompracem a cui io debbo la vita e tanta riconoscenza,
morranno anche il vecchio cacciatore della jungla nera e sua figlia.
- Io debbo avvertirti però che tua figlia ama ed è riamata da un
uomo che potrebbe farla felice, - disse Sandokan.
- sir Moreland, è vero? - disse Tremal-Naik. - Me n'ero accorto.
Avete informato Darma del grave pericolo che corriamo?
- Sì, - rispose Yanez.
- Che cosa ti ha detto?
- Che non lascerà la nostra nave.
- Non poteva rispondere diversamente, - disse l'indiano, con
orgoglio. - Il buon sangue non mente. Se il destino ha segnato la nostra fine,
si compia il fato.
Si strinsero la mano e si diressero tutti tre verso il ponte di
comando.
Ad un tratto Yanez si fermò, mandando un grido:
- Stupido! Ed io che lo avevo ancora dimenticato.
- Chi? - chiesero ad una voce Sandokan e Tremal-Naik.
- Il demonio della guerra.
Una pazza speranza aveva attraversato il cervello del portoghese.
Si era rammentato in quel momento dello scienziato americano, di Paddy O'Brien,
che teneva come prigioniero in una delle cabine del quadro, guardato giorno e
notte. Scese rapidamente sotto coperta, attraversò la corsia e s'arrestò
dinanzi alla stanzetta occupata dall'omiciattolo:
- Sveglia il prigioniero, - disse al malese di guardia.
- È già in piedi, signor Yanez.
Yanez aprì la porta ed entrò. Paddy O'Brien stava seduto dinanzi
ad un tavolo e pareva immerso in un calcolo intricatissimo, col naso su un
foglio di carta coperto di cifre.
- Voi, signor de Gomera? - disse il dottore, assicurandosi gli
occhiali. - Qual vento vi conduce qui? È molto che non vi vedo e vi aspettavo.
- Dottore, - disse il portoghese senza preamboli, - le navi
nemiche ci hanno circondati e stiamo per venire colati a fondo.
- Ah! - fece l'americano senza scomporsi.
- Voi mi avete detto che siete possessore d'un tremendo segreto.
- E ve lo confermo.
- Ecco giunto il momento di esperimentarlo, signor demonio della
guerra.
- Fate portare in coperta le mie casse.
- Non farete saltare la nostra nave, invece? - chiese Yanez un po'
inquieto.
- Salterei anch'io insieme a voi e per ora non ho alcuna voglia di
morire, - rispose il dottore. - Signor de Gomera, approfittiamo di questi
momenti di calma.
Salirono in coperta, mentre i marinai portavano le casse del
dottore.
- Sono là le navi alleate, - disse Sandokan accostandosi allo
scienziato.
- Sì e vedo che vi hanno circondato, - rispose Paddy O'Brien,
corrugando la fronte. - Ecco quella che salterà per prima.
Una nave, un piccolo incrociatore, che prima non era stato scorto,
si era staccato dal grosso della squadra e girava attorno al Re del Mare
mantenendosi ad una distanza di due a tremila metri. Veniva per spiare o per
provocare il fuoco dei pirati di Mompracem?
Paddy O'Brien fece aprire le sue casse che contenevano degli
apparati elettrici, incomprensibili per Yanez e per Sandokan.
Esaminò attentamente ogni cosa, senza fretta e con gran calma,
come un uomo sicuro del fatto suo, poi volgendosi verso Yanez che lo
sorvegliava colla destra appoggiata al calcio della pistola, gli disse:
- Quando vorrete?
- Fate funzionare il vostro apparecchio.
- Ecco che la nave ci passa a tribordo: salterà, - disse Paddy
freddamente.
Un brivido era corso per le ossa di tutti i marinai che
circondavano l'americano. Sarebbe stato capace di operare quel miracolo quel
piccolo uomo?
- Attenzione, - gridò ad un tratto l'americano.
Aveva appena pronunciate quelle parole che un lampo accecante
ruppe bruscamente le tenebre, seguìto da uno spaventevole rimbombo.
Una immensa colonna d'acqua s'era alzata attorno al piccolo
incrociatore, mentre una tempesta di rottami cadeva tutto all'intorno.
Un immenso urlo, sfuggito da centinaia di petti, era echeggiato
lugubremente per l'aria, spegnendosi bruscamente.
La nave era saltata e affondava rapidamente coi fianchi
squarciati.
Nel medesimo istante una granata scoppiava sul ponte del Re del
Mare fra l'apparecchio e Paddy O'Brien. L'americano aveva mandato un grido ed
era caduto quasi ai piedi di Yanez, il quale era sfuggito miracolosamente alle
scheggie del proiettile.
- Dottore! - gridò il portoghese, precipitandosi verso di lui.
- Le... mie... le... mie... - mormorò il disgraziato inventore,
agitando le braccia con un gesto disperato.
Si portò le mani al petto, per comprimersi il sangue che sfuggiva
da un'orribile ferita.
Sandokan si era slanciato verso le casse.
Un grido di disperazione gli sfuggì.
La granata aveva distrutto l'apparato, e sminuzzato le pile.
Yanez aveva alzato dolcemente la testa dell'americano.
- Signor O'Brien, - disse, mentre un singhiozzo gli moriva in
gola.
Il ferito aprì gli occhi fissandoli sul portoghese. Un rauco
sibilo gli usciva dalle labbra a lunghi intervalli.
- Fi... nito... fi... nito... - rantolò. Colla destra lorda di
sangue strinse quella di Yanez, poi si raggomitolò su se stesso e ricadde.
- Morto, - disse Yanez con voce triste.
- Ecco la prima vittima, - rispose Sandokan.
Yanez depose sulla tolda il disgraziato inventore, gli chiuse gli
occhi, lo coprì con una tenda strappata lì presso, poi levandosi in tutta la
sua altezza, disse:
- Tutto è finito: qui morranno le ultime tigri di Mompracem. Tremal-Naik,
Darma, Surama, nella mia torretta e voi, ai vostri pezzi! Le nostre vite sono
nelle mani di Dio!...
- Ai vostri posti di combattimento! - gridò Sandokan. - Mostriamo
a costoro come sanno morire i pirati della Malesia.
L'alba, un'alba rosea che annunciava una superba giornata, fugava
rapidamente le tenebre, tingendo le acque di miriadi di pagliuzze d'oro.
Un colpo di cannone in bianco partì dall'incrociatore più
prossimo, il più grosso dei quattro: intimava la resa.
Sandokan fece alzare subito la bandiera rossa, segnale di
combattimento.
L'incrociatore nemico invece di aprire il fuoco fece dei segnali
colle bandiere che significavano:
- Prima di cominciare il fuoco, mandate al mio bordo le due
fanciulle. Sir Moreland risponde delle loro vite.
- Ah! - esclamò Yanez. - Abbiamo l'anglo-indiano dinanzi.
Cercheremo di affondargli una seconda volta la nave. Darma, Surama!
Le due fanciulle erano uscite dalla torretta.
- Si propone a voi di salvarvi su quelle navi, - disse Sandokan. -
Accettate voi? Una scialuppa è pronta.
- Mai! - risposero energicamente le due fanciulle.
- Pensateci.
- No, - disse Darma. - Non lascerò nè voi, nè mio padre.
- Comunicate la loro risposta, - comandò Yanez.
Un quartiermastro americano segnalò subito.
Allora si videro salire lentamente sugli alberetti di maestra dei
quattro incrociatori, quattro bandiere nere. Un colpo di vento le allargò
mostrando nel mezzo, in giallo, una mostruosa figura con quattro braccia che
tenevano nelle mani degli strani emblemi.
Un grido di stupore ed insieme di furore era sfuggito dalle labbra
di Yanez, di Sandokan e di Tremal-Naik. Avevano riconosciuto l'emblema dei
thugs, degli strangolatori indiani.
Erano dunque quelle le navi del figlio di Suyodhana, del loro
implacabile e invisibile nemico? Quelle bandiere lo confermavano.
A bordo del Re del Mare successe un lungo silenzio, tanto era lo
stupore che aveva invaso tutti, poi la voce metallica di Sandokan lo ruppe
bruscamente:
- Fuoco! Fuoco! Fuoco!
Spaventevoli detonazioni coprono le sue ultime parole. Le granate
piovono da tutte le parti sul Re del Mare, che il flusso ha insensibilmente
portato verso il banco di Vernon e che si trova sempre immobilizzato coi fuochi
spenti.
Sono uragani di ferro e d'acciaio che escono dai grossi pezzi
della coperta e da quelli di medio calibro delle batterie: ma non sono diretti
sul ponte del Re del Mare dove si trovano, entro la torretta blindata, Darma e
Surama.
Quelle masse metalliche battono invece solamente i fianchi
dell'incrociatore, come se gli artiglieri avessero ricevuto l'ordine di
risparmiare le fanciulle, i due comandanti e Tremal-Naik che sono con loro.
Delle granate vengono però lanciate contro le torri che riparano i
grossi pezzi da caccia, cercando d'imbroccarli o di frantumare le grosse
piastre di ferro.
Il Re del Mare si difende furiosamente. È un vulcano che
fiammeggia da tutte le parti. Le ultime tigri di Mompracem sono ben risolute a
far pagar cara la vittoria allo strapotente nemico.
I suoi grossi obici battono in breccia le navi avversarie, danneggiando
i ponti, squarciando le ciminiere e aprendo larghi fori nelle piastre
metalliche. In mezzo a quel rimbombo assordante, si ode tratto tratto la voce
formidabile di Sandokan che urla:
- Fuoco, tigri di Mompracem! Distruggete, massacrate!
Ma quanto potrà resistere il Re del Mare al tiro terribile di
tante bocche da fuoco?
I suoi fianchi, quantunque solidissimi, dopo mezz'ora cominciano a
cedere; anche i suoi pezzi uno ad uno vengono smontati e ridotti al silenzio.
Le sue torri, ad eccezione della torretta di comando, sempre risparmiata,
cominciano a sfasciarsi sotto quella pioggia incessante di granate, e nelle
batterie i morti si accumulano.
Sandokan e Yanez, chiusi nella torretta, contemplano quel
terribile spettacolo, calmi e sereni. Il primo si morde di quando in quando le
labbra a sangue; il secondo fuma flemmaticamente la sua eterna sigaretta e
sembra solamente un po' commuoversi, quando il suo sguardo s'incontra con
quello di Surama.
Darma, seduta in un angolo, su un mucchio di cordami, a fianco di
Tremal-Naik, colle mani appoggiate agli orecchi per attenuare il rombo
assordante delle grosse artiglierie, sembra che guardi nel vuoto.
D'improvviso, il Re del Mare, sollevato da una forza misteriosa,
sobbalza da prora a poppa, mentre una enorme colonna d'acqua si rovescia sulla
sua coperta spazzandola. Tutto il suo scafo vibra e sembra sfasciarsi come se
scoppiassero le munizioni del Re del Mare.
Horward, l'ingegnere americano, si precipita in quel momento entro
la torretta, pallido, esterrefatto:
- Hanno torpedinato il Re del Mare! - grida. - Coliamo a fondo!
Grida selvagge salgono dalle batterie, confondendosi cogli ultimi
spari dei due pezzi da caccia della coperta, ancora servibili.
Il fuoco cessa bruscamente sulle quattro navi nemiche.
Sandokan volge un triste sguardo ai suoi due compagni, poi dice:
- Ecco il momento supremo:
la tomba è aperta per le ultime tigri di Mompracem.
Alza Darma ed esce dalla torretta, seguìto da Yanez, da
Tremal-Naik e da Surama, e si arresta al di fuori a guardare la sua nave.
Povero Re del Mare! La superba nave che ha resistito a tante prove
e che pareva invincibile, non è più che una carcassa affondante.
Ondate di fumo sfuggono dai boccaporti dai quali irrompono, neri
di polvere e lordi di sangue, gli uomini delle batterie.
- Una scialuppa in mare! - comanda Sandokan.
- Non occuparti di noi. Gli equipaggi degli incrociatori vengono a
raccoglierci.
Infatti numerose imbarcazioni si staccano dai fianchi delle navi
vittoriose ed accorrono a forza di remi. Nella prima si vede sir Moreland, il
quale sventola un fazzoletto bianco.
La scialuppa, montata dalle due fanciulle, da Tremal-Naik, da
Kammamuri e da quattro rematori, s'allontana dal Re del Mare perchè la nave
affonda sempre.
- Ed ora, - disse Sandokan con un gesto superbo, - lassù, avvolto
nella mia bandiera. Vieni Yanez: tutto è finito.
- Bah! - fece il portoghese, gettando in aria una boccata di fumo.
- Non si può mica vivere all'infinito.
Attraversarono il ponte ingombro di frammenti di palle e di
granate e salirono sulle griselle dell'albero militare, arrestandosi sulle
piattaforme.
In lontananza, Tremal-Naik, Darma e Surama facevano cenno a loro
di gettarsi in acqua. Risposero con un saluto della mano e un sorriso.
Poi Sandokan, strappando la sua rossa bandiera che gli sventolava
sopra la testa, si avvolse fra le sue pieghe, dicendo:
- È così che muore la Tigre della Malesia.
Sotto di loro, gli ultimi Tigrotti di Mompracem, un centinaio
circa, per maggior parte feriti, aspettavano, impassibili e silenziosi, che il
gran gorgo li aspirasse, tenendo gli sguardi fissi sui loro due capi.
Il Re del Mare affondava lentamente, vibrando, e si udivano le
acque a muggire cupamente entro la stiva.
Le scialuppe degli incrociatori facevano sforzi disperati per
giungere in tempo a raccogliere quei naufraghi, votatisi volontariamente alla
morte. Quella di sir Moreland era sempre la prima ed era subito seguìta da
quella montata da Tremal-Naik e dalle due fanciulle che tornava verso la nave,
avendo l'indiano compreso il disegno disperato dei suoi vecchi amici.
Sandokan, sempre avvolto nella sua bandiera, li guardava
impassibile, con un superbo sorriso sulle labbra. Yanez, colla fronte un po'
corrugata, fumava la sua ultima sigaretta colla sua calma abituale.
Quando le acque cominciarono ad invadere la coperta, il portoghese
lasciò cadere la sigaretta quasi finita, dicendo:
- Va' ad aspettarmi in fondo al mare!
Ad un tratto, quando pareva che lo scafo dovesse tutto
sommergersi, la discesa di quella enorme massa cessò bruscamente. Il flusso che
aveva spinto la nave verso l'est, doveva averla portata addosso al banco di
Vernon, più di quanto l'equipaggio supponeva e la chiglia doveva essersi
indubbiamente posata sul fondo.
Ed infatti, nel momento in cui le due scialuppe montate una da sir
Moreland e da sei marinai indiani e l'altra da Tremal-Naik, Darma e Surama coi
rematori malesi giungevano sotto la scala di babordo, lo scafo s'inclinava
dolcemente a tribordo coricandosi di sul fianco.
Sir Moreland, vedendo la nave ormai immobile, erasi affrettato a
salire sul ponte, seguìto subito da Tremal-Naik e dalle due fanciulle.
Yanez si era voltato verso Sandokan, la cui faccia appariva assai
abbuiata.
- Nemmeno la morte ci vuole, - gli disse. - Che cosa vuoi fare?
Si sbarazzò della bandiera e scese lentamente la grisella, colla
maestà d'un re che scende i gradini d'un trono e si fermò dinanzi a sir
Moreland, dicendogli:
- Ebbene? Che volete fare di noi?
L'anglo-indiano, che pareva in preda ad una viva commozione, si
levò il berretto salutando i due eroi della pirateria, poi disse con nobiltà:
- Permettetemi una parola, prima, signori.
Prese per una mano Darma, che era salita a bordo con Surama e,
conducendola dinanzi a Tremal-Naik, gli disse:
- Io l'amo ed ella m'ama: io non potrei vivere senza vostra
figlia, eppure i numi dell'India sanno quanto io ho fatto per dimenticarla.
Colmate con una vostra parola il rivo di sangue che mi separava da voi onde il
grido terribile del mio assassinato genitore si spenga per sempre. La sua anima
mi è comparsa ieri notte e mi ha detto di perdonare a tutti!
- Che cosa dite, sir Moreland? Di qual genitore parlate? - chiese
Tremal-Naik, con angoscia.
- Darma, mi amate? - chiese sir Moreland, senza rispondere all'indiano.
- Sì, immensamente, - rispose la fanciulla arrossendo e abbassando
gli occhi.
- La guerra è finita fra noi, - disse sir Moreland, - e la macchia
di sangue è cancellata. Tremal-Naik benedite i vostri figli.
- Ma chi siete voi? - gridarono ad una voce Yanez, Sandokan e
Tremal-Naik.
- Io sono... il figlio di Suyodhana! Venite! Siete miei ospiti.
Venti minuti dopo i quattro incrociatori lasciavano il banco di Vernon
su cui affondava a poco a poco nel fango la carcassa del valoroso Re del Mare.
Sul più grosso, su cui si trovavano imbarcati tutti i superstiti,
compresi Kammamuri, Sambigliong e l'ingegnere Horward, si erano radunati nella
sala del quadro Tremal-Naik, le due fanciulle, i due capi della pirateria ed il
figlio di Suyodhana.
Una viva ansietà, non esente da una grandissima curiosità, pareva
che si fosse impadronita di tutti. Gli sguardi erano tutti fissi sul tigrotto
dell'India, che fino allora avevano creduto un ufficiale della marina
anglo-indiana e che si era seduto accanto a Darma.
- Io debbo a voi delle spiegazioni, - disse il figlio del
terribile thug, - che non dispiaceranno nemmeno a Darma e che serviranno a
scusare la guerra lunga e ostinata che io ho fatto a voi tutti. Non fu che a
venticinque anni che io fui informato per la prima volta dal mio precettore, un
indiano d'alto sapere e d'alta casta, che io non ero il figlio d'un ufficiale
anglo-indiano, come fino allora mi avevano fatto credere, bensì del capo della
setta dei thugs, che aveva sposata segretamente una donna inglese morta dandomi
alla luce.
Affidato alle cure d'una famiglia del gallese, stabilita da molti
anni a Benares, come l'orfano d'un ufficiale della Compagnia Indiana e allevato
all'inglese, comprenderete facilmente quale terribile impressione produsse in
me la notizia comunicatami al mio venticinquesimo anno, d'essere invece il
figlio del capo d'una setta da tutti gli onesti condannata. Il testamento
lasciato da mio padre, che mi rendeva padrone di centosettanta milioni di
rupie, depositati nella banca di Bombay, m'imponeva di vendicare la morte della
Tigre dell'India. Esitai a lungo, credetelo, ma alfine il grido del sangue
s'impose e per quanto mi ripugnasse l'idea di farmi vendicatore di quella
setta, io, che allora ero ufficiale della marina anglo-indiana, mi lasciai
vincere, suggestionato anche dal mio precettore.
Conoscevo tutta l'istoria, sapevo dov'era il vostro rifugio e mi
preparai alla guerra facendo costruire cinque poderose navi. Sapendo che il
governo inglese viveva in continue inquietudini per voi, troppo vicini a Labuan
e che il rajah di Sarawak, il nipote di James Brooke, altro non attendeva che
l'occasione per vendicare suo zio, andai a offrire al governatore della colonia
il mio aiuto e le mie navi. Volevo avervi tutti nelle mie mani, per vendicare
la morte di mio padre.
Mentre io mi preparavo sul mare, il mio precettore, fingendosi un
pellegrino della Mecca, sollevava i dayaki del Kabatuan. Fortunatamente l'amore
operò in me un cambiamento. Spense a poco a poco l'odio che io nutrivo per voi
e mi abbandonai al destino. Gli occhi di questa fanciulla mi avevano stregato e
mi fecero vedere quasi con orrore, l'enormità del delitto che io stavo per
commettere, nel voler vendicare quella sanguinaria setta riprovata da tutti gli
onesti.
Io non odo più, da molte notti, il terribile grido di vendetta di
mio padre. La sua anima deve essersi placata. Mi perdoni, ma io, uomo civile,
non posso più diventare il vendicatore del thug dell'India. Signor Yanez, Tigre
della Malesia, siete liberi, assieme a tutti i vostri uomini. Io solo vi ho
vinti, io solo quindi ho il diritto di condannarvi o di assolvervi e vi
assolvo.
Il figlio dei thugs stette fermo un istante, poi rivolgendosi verso
Tremal-Naik, gli disse:
- Volete essere mio padre?
- Sì, - rispose l'indiano. - Siate felici, figli miei, e che la
pace non sia più mai turbata, ora che i thugs non sussistono più.
L'anglo-indiano e Darma con una mossa simultanea si erano gettati
nelle braccia aperte di Tremal-Naik.
Kammamuri, che era disceso silenziosamente nella saletta, piangeva
in un angolo, di commozione.
- Signor Yanez, signor Sandokan, - disse sir Moreland, - dove
desiderate che vi conduca? Noi torneremo in India e voi?
La Tigre della Malesia stette un istante pensieroso, poi rispose:
- Mompracem ormai è perduta, ma abbiamo a Gaya i nostri prahos ed
i nostri uomini e là abbiamo amici devoti. Conduceteci in quell'isola, se non
vi rincresce. Fonderemo una nuova colonia lassù, lontani dalle minaccie degli
inglesi.
Poi, dopo un'altra breve pausa, continuò:
- Chissà che non ci rivediamo un giorno nell'India. Da tempo
accarezzavo un sogno.
- Quale? - chiesero Tremal-Naik, Darma e sir Moreland.
Sandokan fissò i suoi sguardi su Surama quindi rispose:
- Tu sei figlia di rajah e t'hanno rubato il posto che ti
aspettava. Perchè non daremo a te, fanciulla, un trono da dividere con Yanez,
che diverrà fra giorni tuo sposo? Ne riparleremo, mia buona Surama.
1 I malesi per addormentare le persone, ricorrono a quella strana
compressione, e l'uomo così trattato, durante quel sonno, è in preda ad una
anestesia completa.
2 È la divinità protettrice dei cacciatori di nidi di rondini
salangane.
3 Vengono chiamati con tale nome dai malesi.
4 Nel 1844, un piroscafo da guerra olandese, mandato dal
governatore di Macassar a castigare i pirati del Cotti, diede una terribile
lezione a quel sultanato. Arse mille case della capitale, impose una taglia di
120.000 fiorini, il risarcimento dei danni subiti dalle navi mercantili
assalite e volle ostaggi fino al pagamento completo delle somme fissate.
5 Questa tortura crudelissima, fu largamente usata dai soldati
americani del generale Smith contro gli insorti delle isole Filippine.
6 Mio signore.
7 Un tipo di alghe brune.
8 In America, nello stabilimento elettrico di Davson, sono
riusciti con una corrente elettrica a far scoppiare cinquanta punds di polvere
alla distanza di 800 metri.
di.Emilio
Salgari
Carroccio Editore - S. Lazzaro di Savena, 1964
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